Nella regione del Sahel, sconvolta da conflitti inter comunitari e dai gruppi jihadisti, 29 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria.
L’8 febbraio è la Giornata mondiale contro la tratta delle persone, per sfatare i miti dietro all’intolleranza
Dalle 21 alle 35 milioni di persone al mondo. È questa la dimensione del fenomeno a cui è dedicata la Giornata mondiale contro la tratta di esseri umani voluta da papa Francesco l’8 febbraio. Un tema che interessa tutto il mondo e in particolare l’Italia, destinazione principale della rotta migratoria attraverso il Mediterraneo. Il mare che molte delle persone
Dalle 21 alle 35 milioni di persone al mondo. È questa la dimensione del fenomeno a cui è dedicata la Giornata mondiale contro la tratta di esseri umani voluta da papa Francesco l’8 febbraio. Un tema che interessa tutto il mondo e in particolare l’Italia, destinazione principale della rotta migratoria attraverso il Mediterraneo. Il mare che molte delle persone attraversano partendo dalla Libia, usata come ponte per raggiungere l’Europa. Il Mediterraneo, quel mare chiamato “the river”, il fiume, dalle vittime della tratta (e del traffico) perché inconsapevoli della pericolosità del viaggio che li vede rinunciare a un pezzo della loro umanità a causa di violenze terribili.
Chi sono le vittime della tratta?
La tratta delle persone è un risvolto drammatico del fenomeno più ampio delle migrazioni. Non tutti i migranti, rifugiati e richiedenti asilo, infatti, sono vittime di tratta. È fondamentale capire la differenza tra questi termini:
- un migrante sceglie di spostarsi per motivi spesso economici;
- un richiedente asilo è in attesa che gli venga riconosciuto lo status di rifugiato da un paese che non è il suo;
- un rifugiato è riconosciuto legalmente come una persona che, secondo quanto stabilito dalla Convenzione di Ginevra del 1951, ha lasciato il proprio paese perché perseguitato per motivi religiosi, di genere o per la presenza di conflitti;
- esiste anche il beneficiario di protezione umanitaria, soggetto non protetto dalla legge internazionale ma che necessita di assistenza a causa della sua vulnerabilità.
Queste definizioni sono riportate all’interno del protocollo deontologico della Carta di Roma.
Chi favorisce la tratta di persone è responsabile davanti a Dio. Preghiamo per la conversione dei cuori. @M_RSezione
— Papa Francesco (@Pontifex_it) 8 febbraio 2017
Le vittime di tratta, invece, sono coloro che vengono costretti tramite violenze e ricatti fisici e psicologici a spostarsi per essere sfruttati e schiavizzati una volta lasciato il proprio paese. Coloro che si affidano a canali illegali per spostarsi – ma non a scopo di sfruttamento – sono vittime di traffico. Il business della tratta delle persone vale 32 miliardi di dollari l’anno e costituisce un giro d’affari illegale tra i più grandi al mondo e tra i più redditizi d’Europa.
Il traffico di persone è definito come il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’accoglienza e l’ospitalità di persone, dietro minaccia di ricorso o ricorso alla forza o ad altre forme di costrizione, o tramite rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità, o dietro pagamento o riscossione di somme di denaro o di altri vantaggi per ottenere il consenso di una persona esercitando su di essa la propria autorità, a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento include, senza pretesa di esaustività, lo sfruttamento della prostituzione di terzi e altre forme di sfruttamento sessuale, i lavori o servizi forzati, la schiavitù o pratiche simili alla schiavitù, la servitù o l’espianto di organi. Il consenso di una vittima della tratta di persone allo sfruttamento è irrilevante nei casi in cui qualsivoglia dei mezzi usati di cui sopra è stato utilizzato. (Protocollo di Palermo del 2000)
Cosa succede nel Mediterraneo
“Da anni si parla di invasione ma dal punto di vista numerico quella della migrazione potrebbe non essere una crisi“, questo lo spunto di riflessione di Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Ufficio di coordinamento per il Mediterraneo, con sede a Roma, dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) dal 2016 parte integrante delle Nazioni Unite. Perché chi viene in Italia, come le 181mila persone dello scorso anno, corrisponde solo allo 0,3 per cento della popolazione italiana. Perché un milione su una popolazione di 510 milioni di cittadini europei non è in sé un’emergenza numerica ma, invece, una crisi umanitaria che ha visto 255 persone morire nel Mediterraneo dall’inizio del 2017, come rivela il Missing migrants project dell’Oim, un database che raccoglie il numero di morti e sparizioni lungo le rotte migratorie mondiali.
7,495 #migranti hanno perso la vita nel 2016 nel Mediterraneo. Negli ultimi 3 anni 18501 vittime: 20 al giorno. https://t.co/k06Vujykoy
— OIM Italia (@OIMItalia) 6 gennaio 2017
Di Giacomo, durante il Convegno migrazioni e traffico di essere umani organizzato da Pime, Caritas e Manitese l’8 febbraio a Milano, ha sottolineato come i flussi verso l’Italia sono cambiati negli ultimi anni: se nel 2014 sono stati 42mila i siriani ad arrivare nel nostro paese questo numero è sceso a 1200 nel 2016. Si è visto invece un incremento delle persone provenienti dall’Africa occidentale, soprattutto dalla Nigeria, una tendenza legata alla situazione sempre più drammatica in Libia, dove i trafficanti si sono moltiplicati. E se in passato molte delle persone che lasciavano l’Africa subsahariana in cerca di opportunità economiche le trovavano proprio in Libia, ora le condizioni di lavoro – forzato – sono così insopportabili da spingere molti a tornare nel paese d’origine o proseguire nel loro spostamento, decidendo così di attraversare il Mediterraneo.
Cosa succede in Italia
Nel nostro paese sono dalle 50 alle 70mila le donne vittime di tratta, la maggior parte delle quali soggette a sfruttamento sessuale ma sempre di più impiegate anche nel lavoro forzato, ambito tradizionalmente riservato agli uomini che sono, invece, 150mila. Persone, dunque, che contribuiscono sostanzialmente a quel 13 per cento del pil italiano che si stima venga generato dall’economia sommersa. Decine di migliaia di donne, la metà delle quali nigeriane, che soddisfano una domanda di 9-10 milioni di prestazioni sessuali acquistate in Italia ogni mese secondo i dati riportati da Anna Pozzi, giornalista e autrice del libro Mercanti di schiavi durante il Convegno: nel solo 2016 sono arrivate in Italia 11mila donne nigeriane. E decine di migliaia di uomini che lavorano in condizioni di schiavitù soprattutto nel settore agricolo all’interno di un sistema di caporalato che vede ben 80 epicentri distribuiti in tutto il paese secondo il rapporto Agromafie e caporalato del maggio 2016.
Ma le vittime di tratta vengono silenziate ed emarginate a causa di una “narrazione tossica”, nelle parole di Di Giacomo, che genera una visione distorta di queste ma anche dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati come parassiti. Invece, come puntualizza il portavoce Oim, in un’Europa la cui popolazione invecchia, il continente “se vuole sopravvivere ha bisogno di migrazione”. Perché se non sono i valori dell’inclusione, della solidarietà e della diversità a unirci, allora il compito spetta alla razionalità. “La migrazione è qualcosa che resterà, chiudere le frontiere non serve a nulla”, afferma Di Giacomo – se non a dare più lavoro ai trafficanti, potremmo aggiungere. Perché oltre ad alternative al lavoro in nero e allo sfruttamento il compito degli stati è anche quello di sottrarre le persone ai trafficanti fornendo alternative valide e sicure per attraversare terra e mare.
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