Il 26 aprile 1986 è una data che milioni di persone in tutto il mondo hanno ancora impressa nella mente. L’esplosione che ha distrutto il reattore numero 4 della centrale nucleare di Chernobyl, nell’ex Unione Sovietica, ha cambiato per sempre il modo di percepire il nucleare, facendo nascere dubbi sulla sua sicurezza. La centrale utilizzava acqua naturale per il raffreddamento e grafite come moderatore: così era possibile adoperare l’uranio naturale come combustibile abbassando notevolmente i costi di costruzione ed esercizio. Ecco perché l’energia elettrica costava meno. Il problema però è che un impianto così è intrinsecamente instabile, perché in assenza di acqua, invece che spegnersi (come molti reattori occidentali) impenna la potenza fino a conseguenze estreme. Sebbene ci siano controversie ancora in atto sul bilancio delle vittime e sulle conseguenze ambientali, è sicuro che un’area di 2.600 chilometri quadrati tra l’Ucraina e la Bielorussia, parte della zona di esclusione, rimarrà contaminata per sempre, o almeno per i prossimi 24mila anni.