Brandon Bernard, arrestato nel 1999, è stato giustiziato in Indiana. È la prima esecuzione in 130 anni ad avvenire durante la transizione presidenziale.
Gli Stati Uniti stanno vivendo un tragico momento storico. Nell’anno delle 59esime elezioni presidenziali, che si sono tenute il 3 novembre e hanno visto il democratico Joe Biden trionfare contro il presidente uscente Donald Trump, e nel bel mezzo di una pandemia che ha visto gli Usa tra i paesi più colpiti al mondo, l’ennesimo caso di razzismo ha scosso la popolazione.
George Floyd, un uomo di 46 anni di origini afroamericane, è stato ucciso dalla polizia a Minneapolis, in Minnesota, nel mese di maggio. Dopo essere stato fermato per aver tentato di usare una banconota falsa in un supermercato, è stato immobilizzato a terra dall’agente Derek Chauvin, che gli ha tenuto un ginocchio premuto sul collo per 8 minuti e 46 secondi. “I can’t breathe”, “non riesco a respirare”, continuava a ripetere Floyd, invano. Ed è così che ha perso la vita, lasciando sola una figlia di sei anni. Chauvin è accusato di omicidio volontario, mentre gli altri tre agenti coinvolti sono stati arrestati con l’accusa di complicità.
La vicenda non ha infiammato solo Minneapolis ma svariate altre città statunitensi, tra cui Los Angeles, Dallas, New York e Filadelfia, dove migliaia di persone hanno manifestato per le strade urlando lo slogan “black lives matter”. Un movimento di protesta che ci porta indietro nel tempo, alla lotta di Martin Luther King per il riconoscimento dei diritti civili degli afroamericani: una battaglia che, a quanto pare, non è ancora finita.