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Trivelle, sì al referendum per un’economia equa e trasparente
A pochi giorni dal referendum sulle trivellazioni di domenica 17 aprile, la partita è ancora perta. La presidente di Legambiente invita a riflettere sulle ragioni del sì.
Manca poco al voto referendario del 17 aprile e negli ultimi giorni si è acceso il confronto tra i sostenitori del no e quelli del sì. Questi ultimi vorrebbero veder abrogare la norma, introdotta con la legge di Stabilità del 2016, che cede in concessione alle compagnie petrolifere i nostri fondali entro le 12 miglia per estrarre gas e petrolio sino ad esaurimento del giacimento. Senza limiti di tempo insomma. In questi giorni è sempre più chiaro che questo è un confronto tra due modi di vedere il sistema economico italiano: l’uno legato al vecchio industrialismo rappresentato da una forte concentrazione societaria, tipico dell’era Mattei, quando il bene di Eni era il bene dell’Italia. L’altro invece che propone un modello di produzione economica e di ricchezza trasparente, distribuito, diversificato ed integrato al territorio.
Petrolio è sinonimo di corruzione
Il petrolio è il simbolo e il carburante del modello economico nato e prosperato nel secondo Novecento, punto d’appoggio insostituibile dei processi di industrializzazione che hanno investito prima l’Occidente, poi altre parti del mondo. Carburante di un modello che ha creato una ricchezza fondata sullo sfruttamento indiscriminato di risorse naturali, storicamente accompagnata da un interminabile elenco di crisi ambientali e conflitti sociali. E da un sistema diffuso d’illegalità su scala globale, per una marea di reati ambientali e fiscali, in genere corruttivi e di malaffare. Piuttosto che democrazie, il petrolio ha sostenuto e foraggiato controfigure di questa. Controfigure più o meno presentabili. Facendo un rapido calcolo, prendendo in esame solo i principali scandali nel settore che hanno caratterizzato gli ultimi due anni e mezzo, in Italia sono state almeno 97 le persone sotto indagine (in alcuni casi già condannati) per reati ambientali e sanitari e 92 per reati legati a corruzione, truffa e frode fiscale, per un totale di 189 soggetti tra alti dirigenti d’azienda, manager, funzionari pubblici, notabili. Secondo Transparency International, a livello internazionale il settore delle estrazioni di petrolio e gas è in assoluto fra i più a rischio corruzione, con un tasso del 25 per cento di corruzione percepita. Per l’organizzazione non governativa Global Witness, che riprende i dati Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) del dicembre 2014, petrolio, gas e risorse minerarie costituiscono tuttora i settori a maggior rischio corruzione del mondo. Su un campione di 427 casi di corruzione registrati fra il 1999 e il 2014, quelli riguardanti i settori citati rappresenterebbero da soli il 19 per cento del totale.
C’è bisogno di giustizia ambientale
L’alta propensione alla corruzione nel settore delle estrazioni di gas e idrocarburi è principalmente dovuta proprio alla sproporzione fra la forza contrattuale ed economica messa in campo dai singoli operatori economici titolari e/o gestori degli impianti e la debolezza politica ed economica dei territori dove insistono realmente le piattaforme estrattive. Anche l’Italia ha visto consumarsi sul suo territorio diverse inchieste per corruzione e/o diffuse illegalità nelle gestione delle piattaforme di estrazione e di raffinazione e stoccaggio di greggio. Negli ultimi decenni si sono moltiplicati procedimenti giudiziari, tutti accomunati dalla difficoltà dei pubblici ministeri di reggere le accuse per reati ambientali nelle aule giudiziarie, sia per l’inadeguatezza della normativa (almeno fino alla recente approvazione della legge 68/2015 sui cosiddetti reati ambientali, che ha introdotto nel codice penale sei delitti ambientali, più un lungo elenco di aggravanti) che per la sproporzione di forze all’interno delle aule di tribunale: da una parte principi del foro e luminari infaticabili nel produrre studi e ricerche scientifiche a sostegno dei facoltosi imputati, dall’altra periti male assistiti e demotivati, spesso costretti ad anticipare le spese del complesso lavoro istruttorio. E laddove non è arrivata l’inadeguatezza della norma e la sproporzione di forze in campo, ad assicurare l’impunità per i peggiori crimini ambientali è intervenuta la prescrizione che ha spazzato via ogni barlume di giustizia ambientale.
Un sì all’innovazione
Tra qualche giorno si vota e al netto dell’ostruzionismo mediatico e degli scandali legati alla vicenda dell’emendamento Tempa Rossa, che hanno messo in luce il sistema di corruzione legato al mondo petrolifero, quello che emerge è una straordinaria mobilitazione popolare che cerca di bucare la disinformazione e di spiegare che questo non è un referendum inutile. Si vota per chiedere a gran voce un futuro diverso. Partecipare al referendum non significa solo voler porre un limite alla durata delle concessioni di ricerca ed estrazione di petrolio e gas entro le 12 miglia: vuol dire indicare quale futuro desideriamo per i cittadini e i territori di questo paese; vuol dire spingere verso un modello economico pulito, libero dall’illegalità, dai rischi e dall’inquinamento che caratterizzano la filiera del petrolio. Per questo invitiamo tutti i cittadini ad andare a votare e a votare sì. Affinché il nostro paese prenda con decisione la strada che ci porterà fuori delle vecchie fonti fossili, innovando il nostro sistema produttivo, combattendo con coerenza l’inquinamento e la febbre della Terra, rispettando gli impegni che il governo italiano ha preso alla Cop 21 di Parigi a fine 2015.
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