Giovedì 28 maggio, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo con l’obiettivo di ridurre la possibilità, da parte delle aziende che gestiscono i social network, di censurare o segnalare i contenuti pubblicati dai propri utenti. Anche quando essi sono falsi, imprecisi o alimentano l’odio sociale. Finora, infatti, gli amministratori di
Giovedì 28 maggio, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo con l’obiettivo di ridurre la possibilità, da parte delle aziende che gestiscono i social network, di censurare o segnalare i contenuti pubblicati dai propri utenti. Anche quando essi sono falsi, imprecisi o alimentano l’odio sociale. Finora, infatti, gli amministratori di piattaforme come Twitter o Facebook hanno goduto di una sostanziale “immunità”, che li ha posti al riparo da potenziali contenziosi nel momento in cui decidevano, ad esempio, di cancellare un post. Ora, con la nuova normativa voluta dalla Casa Bianca, la libertà d’azione dei colossi del web dovrebbe essere fortemente ridotta. Le autorità garanti potranno infatti intervenire per valutare se le compagnie abbiano o meno leso la libertà di espressione, in caso appunto di interventi sui post degli utenti.
Il decreto è stato presentato e firmato a pochi giorni di distanza da un evento che ha riguardato personalmente lo stesso Trump. Twitter ha infatti segnalato due tweet del presidente come “potenzialmente fuorvianti”. Senza cancellarli, ma allegando un link per approfondire i fatti che sarebbero stati riportati erroneamente dal leader americano. Che, parlando dall’ufficio ovale prima di firmare l’ordine esecutivo, ha affermato che la sua decisione è volta a “difendere la libertà di espressione da uno dei pericoli più gravi che si sia dovuto affrontare nella storia americana”.
Un botta e risposta ai confini dei poteri di Trump
“Sui social media – ha aggiunto Trump – una manciata di realtà controllano una vasta porzione di tutte le comunicazioni pubbliche e private negli Stati Uniti. Hanno avuto il potere incontrollato di censurare, limitare, modificare, modellare, nascondere, alterare, praticamente qualsiasi forma di comunicazione tra cittadini privati”.
Esistono però alcuni “limiti di manovra” all’operato in materia del presidente. L’ordine esecutivo firmato da Trump, infatti, prevede che il dipartimento del Commercio e il procuratore generale, William Barr, propongano una modifica della legge alla Federal communications commission (Fcc), l’agenzia governativa degli Stati Uniti che si occupa di telecomunicazioni. Questo organo è indipendente dal governo e dovrà decidere se modificare o meno le regole attuali, considerando i social network al pari dei giornali. In particolare, Trump chiede alla Fcc di valutare se i social network possano perdere le tutele concesse dalla “sezione 230” del Communications Decency Act nel caso in cui rimuovano o blocchino contenuti giudicati “in malafede”. Il decreto firmato non avrà quindi conseguenze immediate e potrebbe non averne del tutto, se la Fcc non dovesse decidere di conseguenza.
Ciò che è chiaro è che Trump punta a ridurre il potere delle grandi piattaforme di social media, reinterpretando una legge che dal 1996 protegge i siti web e le società tecnologiche dalle azioni legali. Non a caso, esperti del settore hanno sollevato una serie di preoccupazioni sulla proposta. A loro avviso essa potrebbe risultare incostituzionale, perché tenta di eludere gli altri due rami del governo: ovvero il Congresso e la Corte suprema. E perché rischia di violare i diritti del Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti che garantisce la libertà di parola e di stampa.
La #Section230 che concede l’immunità ai social network
L’ordine esecutivo accentua l’escalation di Trump contro le aziende che gestiscono i social, che a loro volta lottano con il crescente problema della disinformazione sui social media. Il presidente americano da tempo accusa i social di censurare le sue idee. Giovedì, però, Trump ha riconosciuto che le sfide legali sono all’orizzonte, ammettendo che è “sicuro che faranno causa. Immagino infatti – ha continuato il presidente – che l’ordine esecutivo sarà contestato in tribunale”.
Il testo firmato da Trump attacca, come detto, la sezione 230 del Communications Decency Act, una legge emanata nel 1996 per regolamentare le responsabilità dei fornitori di accesso a Internet. La norma è stata soprannominata, a causa della brevità del testo “le 26 parole che hanno creato Internet”. Le aziende informatiche, e tra loro i social network, non sono responsabili legalmente dei contenuti che gli utenti pubblicano sui social network, dato che sono “piattaforme” e non giornali, che invece sono direttamente responsabili dei contenuti degli articoli.
“Nessun fornitore di servizi internet e nessun utilizzatore di tali servizi può esser ritenuto responsabile quale editore o quale autore di una qualsiasi informazione che sia stata fornita da terzi“. Communications Decency Act, Sezione 230
Secondo Trump, al contrario, testate giornalistiche e social dovrebbero essere trattati allo stesso modo. Anche legalmente. “Questa pratica di censura (quella perpetrata a detta del tycoon nei confronti della sua attività social da Twitter, ndr) è fondamentalmente non americana e antidemocratica. Quando le grandi e potenti società di social media censurano le opinioni con cui non sono d’accordo, esercitano un potere pericoloso”, ha chiosato il presidente degli Stati Uniti.
L’antefatto sulla sfida tra Trump e Twitter
Nel caso specifico, i due tweet “incriminati” sono stati posti al vaglio degli amministratori del social network nella giornata di martedì 26 maggio. Nel primo veniva affermato, senza prove, che le votazioni per posta avrebbero portato a una diffusa frode elettorale nei confronti degli americani. Trump ha immediatamente respinto la valutazione del social, accusandolo di censura e avvertendo che se avesse continuato a mettere sotto la lente i suoi messaggi, avrebbe usato il potere del governo federale per reprimere questo loro diritto e forse eliminarlo. Il decreto firmato da Trump cita infatti specificamente Twitter per l’applicazione “selettiva” di etichette che bollano come non inaffidabili alcuni tweet. Il miliardario americano, tuttavia, non fa mancare nel decreto riferimenti anche a Google, che a suo avviso aiuterebbe il governo cinese a sorvegliare i cittadini americani. Mentre Facebook trarrebbe profitto grazie alla pubblicità in arrivo dalla stessa nazione asiatica.
Uno scontro che fa comodo a Donald Trump
L’ultimo scontro con Twitter serve a Trump per alimentare la sua narrativa, secondo la quale esistono potenti social media alleati contro di lui. Mentre la sua sarebbe l’unica voce di cui i suoi sostenitori possono fidarsi. “Questo gioca direttamente a favore della campagna del presidente Trump” ha dichiarato Jason Miller, direttore delle comunicazioni per la campagna di Trump alle presidenziali del 2016. “Gli hanno fatto un regalo enorme”.
Allo stesso modo, gli alleati politici di Trump si sono precipitati in sua difesa: “Twitter sta esercitando interferenze elettorali per le presidenziali. Sta mettendo il pollice del like sulla bilancia della corsa alla Casa Bianca”, ha dichiarato il rappresentante repubblicano della Florida Matt Gaetz, fedele sostenitore di Trump apparso nel podcast di War Room Pandemic prodotto da Steve Bannon, ex stratega del presidente americano, punto di riferimento dell’estrema destra americana e fondatore di una “scuola sovranista” in Italia nella Certosa di Trisulti, in provincia di Frosinone. Il responsabile della campagna di Trump, Brad Parscale, ha dichiarato di non voler più sponsorizzare i post del presidente sul social network, ovvero pagare per garantire loro maggiore visibilità, e ha accusato il colosso di aver intenzionalmente influenzato le elezioni per colpire il presidente.
Contro il social dell’uccellino si è schierato anche Mark Zuckerberg: “Credo fortemente che Facebook non debba essere l’arbitro della verità di tutto ciò che la gente dice online”, ha detto l’amministratore delegato della società in un’intervista a Fox. “Le società private, specialmente queste piattaforme usate da milioni di utenti, non dovrebbero essere nella posizione di farlo”. Nell’attesa di capire cosa accadrà, però, l’imprenditore aggiunge: “In generale penso che la scelta di un governo di censurare una piattaforma perché è preoccupato della sua censura non sia la giusta reazione”.
Facebook e Google: la Casa Bianca rischia di danneggiare l’intero settore
Facebook e Google hanno affermato che la proposta di Trump rischia di danneggiare l’intera economia digitale. “Esponendo le aziende alla potenziale responsabilità per tutto ciò che dicono miliardi di persone in tutto il mondo, si penalizzano quelle che scelgono di consentire ai propri utenti di portare avanti controversi che non hanno il sostengo di prove. Stando alla modifica proposta dal presidente Trump si incoraggerebbero le piattaforme a censurare qualsiasi cosa possa offendere o disinformare chiunque”, ha detto il portavoce di Facebook Andy Stone in una nota. Twitter ha dichiarato alla fine della giornata convulsa del 26 maggio che l’ordine esecutivo di Trump è un approccio reazionario e politicizzato a una legge storica: “La#Section230 protegge l’innovazione americana e la libertà di espressione, ed è sostenuta da valori democratici”, ha twittato l’azienda. “I tentativi di indebolirla minacciano il futuro del dibattito online e della libertà su Internet”.
Il tweet di Trump del 29 maggio che fa riferimento alle sommosse anti-razziste di Minneapolis iniziate a causa della morte di George Floyd è stato ucciso dalla polizia il 25 maggio. Twitter ha messo davanti al post di del presidente degli Stati Uniti un avviso in cui si avverte che quel contenuto viola le regole del social network sull’esaltazione della violenza
L’ultimo capitolo della saga
Venerdì 29 maggio, la saga Twitter vs Trump si arricchisce di un nuovo episodio. Drammatico. Il presidente degli Stati Uniti in un tweet dice di aver parlato con il governatore del Minnesota Tim Walz e di “avergli detto che l’esercito è con lui fino alla fine”. Un passo indietro: il 25 maggio a Minneapolis, il quarantaseienne George Floyd, è stato ucciso della violenza della polizia locale. Quest’ennesimo gesto di brutalità razziale ha scatenato in città proteste accese che hanno portato la polizia al punto di arrestare, venerdì, il giornalista Omar Jimenez e la sua troupe dell’emittente CNN mentre erano in diretta per raccontare i disordini che continuano da giorni e che si sono allargati anche ad altre città.
Twitter ha messo davanti al post del presidente degli Stati Uniti un avviso in cui si avverte che quel contenuto viola le regole del social network sull’esaltazione della violenza. A quel messaggio Trump aveva infatti aggiunto: “Quando iniziano i saccheggi, si inizia anche a sparare”. Il social ha specificato di non aver voluto oscurare il tweet perché “potrebbe essere di pubblico interesse”.
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