Tpp, cos’è l’accordo bocciato da Trump e cosa succederà ora

Non è ancora passata una settimana dall’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, ma già si fa fatica a stare dietro al moltiplicarsi di provvedimenti, firme, prese di posizione. Il 24 gennaio ha annunciato il ritiro dal Tpp, vale a dire il Partenariato Trans-Pacifico (Trans Pacific Partnership), un gigantesco accordo commerciale siglato da dodici paesi sulle due

Non è ancora passata una settimana dall’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, ma già si fa fatica a stare dietro al moltiplicarsi di provvedimenti, firme, prese di posizione. Il 24 gennaio ha annunciato il ritiro dal Tpp, vale a dire il Partenariato Trans-Pacifico (Trans Pacific Partnership), un gigantesco accordo commerciale siglato da dodici paesi sulle due sponde del Pacifico.

Cos’è il Tpp, il Partenariato Trans-Pacifico

Fortemente voluto dall’amministrazione Obama, che vi aveva speso ben due anni di sforzi diplomatici, il Tpp è uno dei più grandi accordi commerciali mai sottoscritti. Il suo testo è stato firmato, alla fine del 2015, da dodici Paesi, che messi insieme rappresentano il 40 per cento degli scambi globali: Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Vietnam e Stati Uniti. Il trattato è incentrato sul taglio di dazi e tariffe su oltre 18mila prodotti agricoli e industriali. Cosa che, secondo le stime dell’amministrazione Obama, avrebbe dato nuovo slancio al commercio tra i firmatari (le previsioni erano del +11 per cento). L’intento era insomma quello di creare un mercato unico, semplificando le normative sul copyright ed eliminando gli ostacoli agli investimenti. Le voci contrarie, anche di orientamento opposto a quello del neopresidente, erano parecchie: da Bernie Sanders al premio Nobel Joseph Stiglitz.

Cosa accadrà dopo il “no” di Trump

C’è da dire che si è trattato di una mossa poco più che simbolica, visto che mancava ancora la ratifica del Congresso, che era di orientamento contrario. Ma così facendo Trump ha rispettato una promessa fatta in campagna elettorale. Confermando ancora una volta la sua ferrea volontà di mettere al centro l’industria statunitense e i lavoratori statunitensi, all’insegna del protezionismo che è sempre stato la sua bandiera. D’ora in poi la Casa Bianca sarà impegnata nella stipula di accordi bilaterali con le singole nazioni asiatiche, accordi in cui – comprensibilmente – partirà da una posizione di vantaggio. L’altro lato della medaglia, però, sta nel fatto che Trump possa aver fatto un grosso favore al suo nemico numero uno. Cioè alla Cina, che insieme alla Corea era l’unica potenza dell’area che risultava tagliata fuori dal Tpp. Già si vocifera, infatti, che Pechino possa di fatto sostituirsi agli Usa per riportare in vita il trattato.

Anche il Ttip, probabilmente, non si farà

Il Tpp non riguarda direttamente l’Europa. Non va quindi confuso con il Ttip (Partenariato transatlantico sul commercio e gli investimenti), l’accordo di libero scambio che Stati Uniti e Unione europea hanno negoziato, fondamentalmente in segreto, per oltre tre anni. E che ancor prima dell’insediamento di Trump era considerato praticamente defunto, per via delle posizioni apparentemente inconciliabili tra le due sponde dell’Atlantico. Possono quindi tirare un sospiro di sollievo le centinaia di migliaia di persone (tra ambientalisti, attivisti per i diritti umani, sindacati e così via) che lo scorso anno sono scesi in piazza a più riprese contro un accordo che, a detta loro, avrebbe spostato pericolosamente l’ago della bilancia del potere a favore delle multinazionali. Aprendo la strada, nel contempo, all’ingresso in Europa di prodotti attualmente vietati come il glifosato e gli ogm.

Tutto quello che ha fatto Donald Trump finora

Nel primo giorno del suo mandato, Donald Trump ha immediatamente firmato un decreto per mettere un freno ai lavori di attuazione dell’Obamacare. Nel frattempo, sparivano senza preavviso dal sito della Casa Bianca le pagine dedicate al cambiamento climatico e ai diritti Lgbt.

Sul fronte dell’energia, la stoccata è arrivata il 24 gennaio, quando ha ridato ufficialmente il via alla costruzione degli oleodotti Keystone XL e Dakota Access, opere ciclopiche che Obama aveva fermato, dando ragione agli ambientalisti e alle popolazioni di nativi americani. L’Epa (Agenzia per la protezione dell’ambiente) da diversi giorni tace, avendo ricevuto l’ordine di non esprimersi tramite il sito istituzionale, i comunicati stampa e i social media.

In questo mercoledì 25 gennaio, un’altra attesa (e temuta) conferma: il muro tra Stati Uniti e Messico si farà. Non è escluso che anche questo tema sia in discussione all’incontro di oggi tra l’amministrazione statunitense e una delegazione del governo messicano, in cui si parlerà del Nafta, l’accordo di libero scambio tra Messico, Canada e Usa, fortemente inviso al nuovo presidente.

 

Foto in apertura © Spencer Platt/Getty Images

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