Donald Trump inizierà il nuovo mandato a gennaio, ma intanto capiamo come si posizionerà sui dossier Ucraina, Medio Oriente, Cina e Ue.
- Sull’Ucraina è probabile che Donald Trump ridurrà l’impegno degli Stati Uniti, ma la pace in 24 ore è impossibile.
- La vittoria di Trump è una buona notizia per Israele, ma il Medio-Oriente interessa poco al tycoon.
- I rapporti con la Cina resteranno all’insegna dei dazi, ma c’è chi nel paese preferisce Trump a Harris.
- Anche per l’Unione europea si prospetta una nuova guerra commerciale con l’elezione di Trump.
Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali e sarà il 47esimo presidente degli Stati Uniti. In estate, quando era emersa in tutta la sua forza la debolezza del presidente e rivale democratico Joe Biden, l’esito sembrava scontato, ma l’avvicendamento di Kamala Harris aveva rimesso tutto in gioco, o così dicevano i sondaggi.
Alla fine Trump si è affermato in tutti gli stati in bilico, come la North Carolina e la Georgia, e questo ha spianato la strada per la sua vittoria. Il suo insediamento avverrà a gennaio, ma quello che possiamo fare ora è provare a immaginare cosa farà la nuova amministrazione repubblicana nel campo della politica estera. I dossier delicati a livello internazionale sono tanti, ma i più caldi sono senza dubbio quelli relativi all’Ucraina, al Medio Oriente, alla Cina e all’Unione europea.
Proviamo a capirci qualcosa, con l’aiuto degli esperti.
Trump e l’Ucraina
Se c’è un paese che più di tutti ha tenuto il fiato sospeso davanti alle elezioni statunitensi, quello è l’Ucraina. Da quando nel febbraio 2022 la Russia di Vladimir Putin ha dato il via all’invasione, l’Ucraina ha fatto sempre più affidamento sulle armi e gli aiuti occidentali. Nel 2023 poco meno della metà della sua spesa militare (25 miliardi di dollari) è stata effettuata grazie alle donazioni statunitensi, e se la candidata democratica Kamala Harris ha sempre mostrato l’intenzione di continuare in questa direzione in caso di elezione, il candidato repubblicano Donald Trump ha fatto dichiarazioni opposte. Ora che quest’ultimo ha vinto le elezioni, le cose potrebbe cambiare di parecchio sul dossier ucraino.
“Un disimpegno possibile e per certi aspetti probabile degli Stati Uniti dal sostegno a Kiev significherebbe per il governo ucraino dover accettare una pace a condizioni sicuramente meno favorevoli di quelle che avrebbe potuto spuntare in caso di un’elezione di Kamala Harris”, spiega a LifeGate Gianluca Pastori, analista dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi). “Chiaramente la scelta del disimpegno dipende anche da quelli che saranno gli assetti che emergeranno a livello di sistema politico americano in generale”, continua Pastori. “Noi conosciamo l’atteggiamento di Trump e del vicepresidente J. D. Vance però la politica estera non è fatta solo dal presidente, dal vicepresidente e dall’amministrazione. C’è anche il Congresso che sarà sicuramente a maggioranza repubblicana ma non sarà necessariamente un Congresso amico. Per capire esattamente come evolverà la politica statunitense bisogna attendere ancora qualche tempo, anche se chiaramente il trend sarà quello di un impegno sull’Ucraina meno pressante rispetto all’attuale”.
Tra le promesse di Donald Trump in campagna elettorale c’è stata anche quella di poter fermare la guerra in Ucraina nel giro di 24 ore. “Una dichiarazione che non è assolutamente credibile”, continua Pastori. “Le paci sono sempre frutto di un processo negoziale e un processo negoziale richiede tempo e di essere lontano dai riflettori”.
Trump e il Medio-Oriente
Tra i primi a congratularsi pubblicamente con Donald Trump, dopo la sua vittoria, c’è stato il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Nel suo primo mandato, quello iniziato nel 2017, Trump è stato un presidente molto vicino a Israele, indicando Gerusalemme come capitale del paese e spostando lì l’ambasciata statunitense, ma anche lavorando duramente per normalizzare i rapporti tra Israele e le nazioni arabe con gli accordi di Abramo e ritirando gli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano. Durante la campagna elettorale Trump ha confermato il suo sostegno al paese, sottolineando allo stesso tempo però di voler porre fine a tutte le guerre nel più breve tempo possibile.
“Come l’Ucraina, il Medio-Oriente è un altro teatro da cui Trump si vuole sfilare perché una delle indicazioni che è emersa in questa campagna elettorale è che la priorità di politica estera di Trump sarà il rapporto con la Cina e quindi gli altri passeranno in subordine”, continua l’analista di Ispi Gianluca Pastori. “L’intenzione di sfilarsi dal Medio-Oriente e di ridurre l’impegno statunitense nell’area passa attraverso una delega tutto sommato ampia a favore dell’alleato israeliano, quindi sicuramente Trump alla Casa Bianca è una benedizione per Netanyahu“.
Ma che ne sarà di uno stato palestinese, la questione irrisolta per eccellenza nell’area? “Se Kamala Harris si era espressamente spesa a favore della soluzione a due stati e l’amministrazione Biden era stata ed è tuttora a favore della soluzione a due stati, Trump su questo punto è molto più vago“, continua Pastori, secondo cui la questione palestinese è il grosso elefante nella stanza ed è sempre meno importante, interessante e attrattiva per le leadership dei paesi arabi.
Quello che potremmo aspettarci nei mesi successivi all’insediamento di Trump e una pressione su Israele perché ponga fine alle sue offensive militare, non tanto dettata dalla voglia di pace, quanto di ricreare un equilibrio nel triangolo Stati Uniti-Israele-paesi arabi funzionale agli affari commerciali statunitensi nell’area.
Trump e la Cina
La competizione tra la Cina e gli Stati Uniti è esplosa durante il primo mandato di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Nel 2018 il tycoon diede il via alla guerra commerciale, imponendo dazi su 50 miliardi di dollari di beni importati dal paese e alzando anche l’asticella della tensione dialettica con il Partito comunista cinese. In campagna elettorale l’imminente presidente ha detto di voler continuare su questa via.
“Sul piano commerciale Trump ha già annunciato la ripresa dei dazi in grande stile”, spiega Gianluca Dottori. “Trump ha detto che il cuore della politica estera americana sarà il contenimento della Cina, tarpare le ali a un’ascesa del ruolo internazionale di Pechino e per questo l’arma privilegiata sarà l’arma economica“. Come sottolinea l’analista dell’Ispi, c’è una convergenza abbastanza chiara di vedute tra le proposte politiche di Trump e quelle di Harris sulla Cina. “Trump è quello che ha avviato la guerra commerciale con Pechino, ma l’amministrazione Biden ha fatto molto negli ultimi quattro anni per sostenerla. Ecco questo forse è veramente il grosso punto bipartisan, che ci dice quanto sia importante oggi la sfida cinese per gli Stati Uniti e quanto gli Stati Uniti la percepiscano come importante.
Ma come è stata recepita in Cina la vittoria di Donald Trump? “Gli analisti cinesi avevano specificato che sia con una vittoria di Trump sia di Harris sarebbe cambiato poco, sottolineando come probabilmente l’unica cosa in comune dei due candidati fosse la percezione della minaccia cinese“, spiega a LifeGate Simone Pieranni, giornalista esperto di Cina. “Poi c’è chi ha sottolineato che Trump, da imprenditore, potrebbe essere un interlocutore migliore e chi ha detto il contrario. Di sicuro aspettano le prime mosse per capire l’entità di questa vittoria, tenendo presente che gli Usa instabili o percepiti come tali a causa della presidenza Trump sono generalmente considerati un vantaggio dai leader cinesi, così da presentare la Cina come unica potenza responsabile. Pensiamo, per esempio, alla firma degli accordi sul clima“.
Trump e l’Unione europea
La vittoria di Donald Trump ha portato a reazioni di grande entusiasmo in una fetta politica dei paesi dell’Unione europea. Da Matteo Salvini alla premier italiana Giorgia Meloni, passando dal presidente ungherese Viktor Orbán e dalla presidente del Rassemblement National francese Marine Le Pen, è stato un susseguirsi di messaggi di giubilo. Eppure, è probabile che la nuova amministrazione Trump si metterà su posizioni ostili nei confronti del Vecchio continente.
“Trump è stato molto chiaro, ha parlato esplicitamente di dazi lineari, che quindi vanno a colpire l’import cinese ma anche l’import europeo”, sottolinea Gianluca Dottori. “Dobbiamo prepararci anche in questo campo a delle tensioni che saranno significative anche perché l’Unione europea ideologicamente e come struttura sovranazionale rappresenta qualcosa contro cui Trump sta combattendo e contro cui si sente in guerra“.
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