Nella vittoria di Erdoğan al ballottaggio, si specchia la sconfitta di Kılıçdaroğlu. Che ne sarà dell’opposizione in Turchia, fallito il tutto per tutto?
- Erdoğan ha vinto il ballottaggio contro Kılıçdaroğlu assicurandosi un terzo mandato presidenziale.
- Il leader dell’opposizione ha pagato la scelta di adottare posizioni nazionaliste, per inseguire gli elettori più conservatori.
- In questo modo ha perso il sostegno dell’Hdp, il partito delle province a maggioranza curda.
- Erdoğan ha vinto ancora, nonostante l’economia in crisi e gli sfavori di molti pronostici. Quale sarà ora il futuro dell’opposizione?
Alla fine, Erdoğan ha vinto ancora le elezioni in Turchia. Il presidente uscente si è assicurato il suo terzo mandato al ballottaggio tenutosi ieri, domenica 28 maggio, in cui ha sconfitto Kemal Kılıçdaroğlu, candidato kemalista di opposizione. Al termine dello spoglio, il leader del Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) si è imposto con oltre il 52 per cento dei voti, contro il 48 per cento del suo avversario. Due settimane fa Kılıçdaroğlu aveva arginato Erdoğan impedendo al leader di imporsi al primo turno. Il risultato – che mai si era verificato in 20 anni di governo del Sultano di Ankara aveva tenuto viva qualche flebile speranza per chi sperava in una svolta radicale per la nazione, nonostante il mancato appuntamento con la vittoria al primo turno aveva ridimensionato, e di molto, le possibilità di Kılıçdaroğlu.
Come se non bastasse, durante le ultime due settimane colui che era stato presentato come il “Gandhi turco” ha giocato piuttosto male le sue carte, abbandonando le posizioni progressiste e i toni concilianti della campagna elettorale per aderire a slogan nazionalistici nella speranza di attrarre nuovi segmenti di elettori. Una tattica che si è rivelata sbagliata e anzi, gli ha fatto perdere una parte consistente dei voti nelle province a maggioranza curda. Ancora una volta, i voti del Partito democratico dei popoli (Hdp) si sono dimostrati la vera spina nel fianco di Erdoğan, imprescindibili per chiunque voglia insediare il suo potere in Turchia.
Kılıçdaroğlu, il miraggio di una svolta per la Turchia
Nella vittoria di Erdoğan, si specchia l’amara sconfitta di Kemal Kılıçdaroğlu. Alla vigilia delle presidenziali del 14 maggio, il capo dell’opposizione e leader del Partito popolare repubblicano (Chp) sembrava addirittura il favorito. Alcuni sondaggi lo davano vincente al primo turno. Le scelte di tono e gli argomenti portati in campagna elettorale lo avevano presentato all’elettorato come l’uomo che avrebbe riaperto la società turca dopo anni di adesione ad un modello confessionale e islamista di Stato. Nelle speranze di qualcuno Kılıçdaroğlu avrebbe dovuto rimettere assieme i cocci del kemalismo. Per farlo, aveva contrapposto a Erdoğan la più ampia e composita delle opposizioni – il cosiddetto “Tavolo dei sei” – che radunava idee progressiste e di sinistra con posizioni più conservatrici. Un fronte sicuramente composito e non esente da contraddizioni interne, che tuttavia rappresentava il più serio tentativo di costituire una forza anti-Erdoğan dalla salita alla presidenza del “Sultano di Ankara”, nel 2013.
A dare appoggio informale a Kılıçdaroğlu era stato poi il Partito democratico dei popoli (Hdp), che riunisce le che unisce forze filo-curde e forze di sinistra nel Paese e che è sospettato, secondo un fascicolo presentato alla Corte costituzionale turca, di legami con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). Anche grazie all’Hdp Kılıçdaroğlu era riusciti ad assicurarsi un ampio margine nelle province a maggioranza curda a est, non riuscendo tuttavia nella tanto sperata vittoria al primo turno.
La strategia (sbagliata) di Kılıçdaroğlu
Ma è nelle due settimane successive che la figura di Kılıçdaroğlu è andata irreversibilmente in crisi. Durante la campagna per il ballottaggio, mentre Erdoğan è sembrato entrare in un letargo strategico salvo poi dare la zampata decisiva negli ultimi giorni, Kılıçdaroğlu ha tentato con ogni mezzo di accaparrarsi nuovi segmenti di elettorato. In particolare, si è rivolto agli oltre 2 milioni di elettori che avevano dato fiducia al candidato ultraconservatore Sinan Oğan, che aveva ottenuto il 5 per cento al primo turno. Nonostante le posizioni di Oğan e del cartello di partiti che rappresentava fossero tradizionalmente più vicine a Erdoğan, il candidato di opposizione ha appello ai nazionalisti promettendo di rimpatriare tutti i 3,7 milioni di rifugiati siriani presenti nel Paese.
Una tattica che si è rivelata azzardata e disorientante, che ha messo in discussione i capisaldi di tolleranza e apertura democratica su cui si reggeva la sua candidatura. Come se non bastasse, l‘endorsement di Oğan al sultano pochi giorni prima del ballottaggio a certificato il fallimento di quella scelta. Nonostante Oğan non fosse così capace di spostare voti come qualcuno aveva paventato, alla fine i suoi elettori si sono divisi tra i due candidati e in parte hanno rivotato Oğan, annullando di fatto l’ipotetico vantaggio.
Ballottaggio in Turchia, la perdita di consensi nelle province curde
Se tendersi verso i nazionalisti non ha portato più voti a Kılıçdaroğlu, è altresì vero che sembra abbia aperto una vera e propria emorragia nelle province curde, dove il sostegno al candidato del Chp è sceso dall’81,7 per cento al 75,7. Il voto a Kılıçdaroğlu, che già nel primo turno era apparso ridimensionato rispetto alle attese, si è dunque dimostrato una coperta troppo corta per provare il tutto per tutto al ballottaggio, uscendo prepotentemente fuori dai temi che avevano contrassegnato la sua campagna elettorale. Un gesto pagato anche in alcuni centri urbani storicamente roccaforti del Chp. Nel distretto di Maltepe di Istanbul, per esempio, gli elettori sono apparsi più divisi, hanno raccontato alcuni osservatori al Middle East Eye.
Cosa non abbiamo capito della forza di Erdoğan
Quando Kılıçdaroğlu è comparso sulla scena di queste elezioni, in molti lo hanno presentato come la figura capace di avvicinare la Turchia alle democrazie occidentali. Non a caso, Kılıçdaroğlu era il candidato che avrebbe dovuto accendere la partecipazione nelle fasce più giovani dell’elettorato, catalizzando anche il voto degli oltre 5 milioni di giovani chiamati al voto per la prima volta.
In realtà, le vicende dei giorni successivi hanno mostrato chiaramente quanto 20 anni di leadership di Erdoğan abbiano contribuito a plasmare geneticamente la politica turca, divenuta sempre di più espressione cristallina delle profondissime divisioni culturali in seno alla società. Una società nella quale Erdoğan ha imporsi come difensore delle istanze della popolazione musulmana e attaccata ai valori tradizionali. In termini geografici, il sultano ha sapientemente compattato i consensi nelle province dell’Anatolia centrale. Non a caso, la sua roccaforte più inespaugnabile è Konya, città che ha la reputazione di essere una delle città più religiose e conservatrici dell’intera Turchia. Se questa faccia della società turca ha trovato in Erdoğan un leader insostituibile, non si può dire lo stesso dell’opposizione. Con Kılıçdaroğlu gli oppositori del presidente hanno provato a costruire un‘alternativa anche in termini comunicativi, portando avanti quel processo di personalizzazione che ha toccato anche le generazioni più giovani a cui Kılıçdaroğlu ha iniziato a parlare con insistenza su Tik Tok. Un tentativo che, tuttavia, è parso la copia sbiadita dell’originale, specialmente quando Kılıçdaroğlu ha tentato di inseguire il rivale sui temi della sicurezza e della gestione dei rifugiati.
Che ne sarà dell’opposizione a Erdoğan in Turchia?
È probabile che la sconfitta di Kılıçdaroğlu ne segni la fine come capo del Chp. Così come quella della coalizione che era stato chiamato a rappresentare. Nella prima uscita dopo la sconfitta non ha detto che si dimetterà da capo del partito che guida dal 2010. C’è inoltra da chiedersi quanta credibilità rimanga ad un’opposizione che ha tentato il tutto per tutto proprio quando Erdoğan sembrava un leone ferito, fiaccato dall’inflazione galoppante in Turchia che aveva aumentato i malumori di una parte della popolazione.
Quel che è probabile, è che l’esito delle urne lasci tra le fila dell’opposizione una domanda radicale su dove debba tendere il futuro dell’opposizione al sultano. Una direzione che non può e non deve essere appannaggio esclusivo della vecchia politica, ma che deve trovare espressione diretta nelle istanze che, giorno per giorno, si levano all’interno di una società civile sempre più in bilico tra oriente e occidente, islamismo e kemalismo, autoritarismo e apertura democratica.
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