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Turchia: cosa c’è dietro al mega-progetto immobiliare al confine con la Siria
L’avanzata della Turchia verso la Siria mira a rilanciare il settore delle costruzioni attraverso un progetto per dare alloggio a 2 milioni di rifugiati. Un regalo alle aziende chiave del Paese.
in collaborazione con Murat Cinar
L’offensiva lanciata in Siria dalla Turchia, il 9 ottobre, e ancora in corso, non mira solamente a rivendicare le aree al confine tra i due stati, sotto il controllo delle forze popolari composte dalle Unità di protezione popolare (Ypg), dalle Unità di protezione delle donne (Ypj) e dalle Forze democratiche siriane (Sdf), ma anche a rilanciare l’economia del paese turco attraverso un vasto progetto immobiliare capace di permettere l’insediamento di circa due milioni di rifugiati siriani, scappati dalla guerra civile nel proprio paese e che attualmente si trovano in Turchia.
Il progetto di alloggi in zone “sicure” – la cosiddetta zona cuscinetto all’interno del territorio siriano lunga 482 chilometri e profonda 28 – ha quindi un doppio obiettivo. Da una parte il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan può affrontare la crescente rabbia pubblica per la presenza di milioni di siriani in Turchia, dall’altra sostenere il settore delle costruzioni che include stretti alleati che hanno contribuito a mantenerlo al potere.
L’offensiva militare turca, tra edilizia e corruzione
Il progetto di costruzione nella “zona sicura” prevede la realizzazione di 140 villaggi per una popolazione media di cinquemila persone ciascuno, più dieci città da 30mila abitanti, con seimila case con una metratura che va dai 250 ai 350 metri quadri più giardino, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Reuters. A completare questo quadro faraonico ospedali, campi da calcio, undici moschee, nove scuole e numerose altre strutture.
Per la realizzazione di questo progetto (di lusso), il presidente Erdogan ha dichiarato di voler arruolare la Public housing development administration (Toki), l’agenzia immobiliare pubblica della Turchia, nota per il suo coinvolgimento in alcuni dei piani di sviluppo più controversi del paese.
La Toki, infatti, dal 1992 costruisce case per i terremotati, case in edilizia popolare a prezzi calmierati, stadi sportivi, abitazioni provvisorie per i rifugiati, luoghi di culto, ospedali e scuole. Nel 2013 sedici funzionari della Toki sono stati arrestati all’interno della più grande inchiesta per corruzione e riciclaggio di denaro, inchiesta divisa in più fasi e che ha visto coinvolti anche diversi ministri (allora Erdogan era primo ministro), molti iscritti al partito del governo Akp, banchieri, i figli di Erdogan stesso e persino alcuni affiliati del movimento terroristico Al Qaida. Per tutta risposta, il governo guidato da Erdogan aveva ordinato una “purga” nei confronti della polizia turca coinvolta nelle indagini, facendo licenziare o assegnando nuove funzioni a migliaia di ufficiali di polizia e centinaia di giudici e procuratori – inclusi coloro che guidavano l’inchiesta – e fece passare una legge in cui aumentava il controllo governativo sulla magistratura.
La Toki è stata citata più volte in giudizio in relazione a scandali, ai tempi di consegna non rispettati, alla scarsa qualità delle costruzioni. Tra i casi più eclatanti quello di Nusaybin, località distrutta tra il 2016 e il 2018, durante gli scontri tra le forze armate dello stato e le organizzazioni armate locali.
Il progetto di ricostruzione – come quello attuale soggetto anch’esso a propaganda elettorale – prevedeva la realizzazione di 9.500 appartamenti per il ricollocamento degli abitanti di Nusaybin. Tuttavia nel mese di maggio 2019 alcuni commissari del ministero dell’Ambiente e dell’Urbanizzazione hanno identificato una serie di irregolarità nei materiali utilizzati per la realizzazione degli edifici. Così gli appartamenti in parte costruiti non sono ancora stati consegnati a nessun cittadino.
Un milione di case rimaste invendute
Non sarà solo la Toki a beneficiare di un simile progetto ma l’intero settore delle costruzioni, che si è contratto del 13 per cento nell’ultimo trimestre: gli investimenti in costruzioni sono diminuiti del 29 per cento e le vendite di abitazioni hanno continuato a calare, lasciando un patrimonio immobiliare invenduto di quasi 1 milione. Il rapporto di agosto 2019 diffuso dall’Associazione dei produttori di materiali da costruzione (Imsad) ha rivelato una riduzione del 60 per cento dei permessi di costruzione nella prima metà di quest’anno. Il forte calo delle nuove costruzioni ha portato a una riduzione del 20 per cento della produzione di materiali da costruzione.
“Il progetto abitativo previsto dalle autorità turche è una possibile fortuna per le imprese di costruzione turche vicine all’Akp [il partito attualmente al potere, ndr]”, ha dichiarato Wolfango Piccoli, amministratore delegato di Teneo, una società di consulenza mondiale attiva anche in Turchia. Dopo l’annuncio del progetto, infatti, le azioni del produttore di cemento Mardin Cimento sono cresciute in due giorni come non crescevano da quasi 20 anni. La società è la più vicina alla Siria ed è vista come un possibile beneficiario del progetto faraonico di costruzione.
La questione dei finanziamenti
Una domanda sorge spontanea: con quali soldi il governo di Ankara porterà a casa l’impresa? Parliamo di un progetto stimato in 150 miliardi di lire turche (oltre 20 miliardi di euro). Con la crisi immobiliare in atto in Turchia sembra impossibile che il governo di Erdogan possa finanziare un simile progetto da solo. Pertanto, trovare i soldi per l’edilizia abitativa turca nella zona sicura richiede tutta una serie di negoziati con potenziali partner. Il presidente ha detto che chiederà aiuto economico agli Stati Uniti, all’Europa e alla Banca mondiale, per poi rivolgersi ad Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. L’Arabia Saudita, in particolare, potrebbe svolgere un ruolo di rilievo.
Nell’ultimo incontro dell’organizzazione della cooperazione islamica, il 9 dicembre, a Istanbul, Erdogan ha dichiarato: “Abbiamo iniziato a fare i primi lavori per la realizzazione del progetto di ricollocazione dei rifugiati siriani presenti in Turchia. Nel vertice della Nato e nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite ho consegnato a tutti i leader i dettagli del nostro progetto. Purtroppo, non abbiamo ricevuto nessun riscontro di sostegno finora. È chiaro che nessuno avrebbe il coraggio di sostenere da solo il peso economico che creano circa nove milioni di profughi presenti in zona [tra quelli in Turchia, Siria, Giordania, Iraq, ndr]. Dunque prima o poi tutti dovranno sostenere il nostro progetto di costruzione di nuove abitazioni”.
I siriani in Turchia sono un “problema”
In Turchia cresce il malcontento nei confronti dei rifugiati siriani, malcontento che sfocia quotidianamente in azioni violente, razziste, tra cui diversi tentativi di linciaggio nei loro confronti. Il 29 giugno del 2019, un raid notturno ha distrutto una serie di negozi nella città di Istanbul appartenenti ai rifugiati siriani. Anche nelle città al confine con la Siria si registrano episodi di violenza: a gennaio, nella città di Antep, alcuni cittadini siriani sono stati presi di mira da una campagna di linciaggio collettivo lanciata sul web. Secondo gli aggressori, le vittime avrebbero partecipato a un episodio di violenza avvenuto in città qualche giorno prima. L’accusa si è rivelata infondata e purtroppo tre cittadini siriani sono stati accoltellati e feriti gravemente. Secondo la ricerca realizzata dalla fondazione Hrant Dink nel mese di novembre del 2019, i rifugiati siriani sono in prima posizione nella lista delle categorie colpite dall’odio sui social.
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