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Elif Shafak, assolta la scrittrice accusata di offesa all’identità turca
Era stata accusata di offesa all’identità turca. Il suo racconto parlava del genocidio armeno.
L’autrice del libro Baba ve Pic (Il bastardo di Istanbul), era stata accusata dall’avvocato ultranazionalista Kemal Kerincsiz di aver infranto il contestato articolo 301 del nuovo codice penale, che punisce l’offesa all’identità turca. La legge è malvista anche dall’Unione Europea, che ha chiesto più volte al governo turco di modificarla perché ritenuta un serio ostacolo alla libertà di pensiero e di parola. Il caso di Elif Shafak aveva attirato l’attenzione dei media per più motivi. Non solo si trattava di una scrittrice e accademica molto nota che rischiava da sei mesi a tre anni di prigione solo per aver scritto un romanzo. Shafak era anche incinta e ha passato gran parte della sua prima gravidanza con l’angoscia del processo incombente.
Un racconto sul genocidio armeno
Ma il suo racconto parlava del genocidio armeno e questo bastava per far finire davanti a una corte penale una donna innocente incinta di otto mesi. Una situazione paradossale che in queste settimane ha smosso istituzioni, università e intellettuali, primo fra tutti Orhan Pamuk, l’altro scrittore turco, finito sotto processo lo scorso dicembre, e che si è battuto fino all’ultimo con tutte le sue forze perché il procedimento venisse sospeso. Ma le autorità di Istanbul sono state irremovibili e non hanno nemmeno concesso alla scrittrice uno spostamento della prima udienza, per permetterle di partorire.
Ci ha pensato il destino, forse più benevolo della burocrazia turca, e domenica sera Elif ha dato alla luce la sua prima bambina, che si chiama Sehrazat e pesa tre chili. Un parto tenuto segreto fino alla vigilia del processo, per consentire alla famiglia della scrittrice di vivere qualche momento di apparente serenità. Il giorno prima della sua entrata al tribunale di Beyoglu, Shafak non le ha certo mandate a dire. Con il coraggio e la fermezza che la caratterizzano, la scrittrice ha definito l’articolo 301 «un grave ostacolo, che getta molte ombre sulla Turchia».
In difesa di Shafak
Ad Ankara l’ambiente non era certo più tranquillo. Nell’Akp, partito islamico-moderato alla guida del parlamento e di cui fa parte anche il premier Erdogan, è scoppiata una lite fra la corrente conservatrice e quella progressista. Il ministro degli Esteri Abdullah Gul ha chiesto espressamente di iniziare il dibattito per modificare l’articolo 301 del nuovo codice penale. Ma il ministro della Giustizia Cemil Cicek ha risposto che per il momento non era nell’agenda del governo. In difesa della Shafak sono scese in campo tutte le istituzioni più importanti del Paese, per la prima volta si è schierata anche la Confindustria, gesto senza precedenti. Decine di giornalisti e intellettuali da tutto il mondo hanno espresso il loro sostegno alla scrittrice.
Anche l’università americana di Tucson, in Arizona, dove Shafak ha insegnato per anni, non ha fatto mancare la sua solidarietà. Mentre l’Europa, primo fra tutti il commissario all’Allargamento Olli Rehn, stava a guardare con il fiato sospeso, il premier Erdogan ha alzato la cornetta per congratularsi con la scrittrice e suo marito per la nascita della loro bambina. «Spero che Dio vi doni una vita felice e prospera» ha detto. Forse preludio al felice esito del processo di oggi. Kemal Kerincsiz, che aveva già accusato anche Orhan Pamuk, ha perso per la seconda volta consecutiva.
La vicenda mette in luce l’esistenza di due Turchie: una che guarda al passato, un’altra, quella di Shafak, di Pamuk e delle centinaia di persone che nei giorni scorsi sono scese in piazza, che guarda all’Europa, senza paura di articoli utilizzati per reprimere la libertà di pensiero o dei Lupi grigi. Ma non è finita. Se stasera Elif potrà tornare in pace dalla sua bambina, c’è un’altra scrittrice che rischia grosso. Si chiama Ipek Calishar e il prossimo cinque ottobre rischia quattro anni di carcere. La sua colpa è quella di aver offeso Ataturk, o meglio di avere scritto un libro dove parla dell’ex moglie del grande statista, raccogliendo le memorie di sua sorella. Un’opera giudicata scandalosa, perché ancora una volta va contro la verità ufficiale.
Tratto da La Stampa
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