Roberta Redaelli, nel suo saggio Italy & Moda, raccoglie le voci del tessile. E invita il consumatore a fare scelte che lo spingano alla sostenibilità.
Tutti pazzi per la seta vegana
Non comporta l’uccisione di bachi da seta, ma l’estrazione di polpa di pino ed eucalipto: la fibra cellulosica è la nuova frontiera vegan del lusso.
- Le alternative vegane ai materiali classici sono sempre più diffuse nel mercato, che è sempre più ricettivo.
- Dopo la seta non-violenta, che prevede che i bachi da seta completino il loro ciclo vitale, è stata prodotta anche la seta vegana.
- È ricavata dalla polpa di legno di pino ed eucalipto provenienti da foreste certificate e sostenibili e non soggette a deforestazione.
A trainare gli acquisti sostenibili in fatto di tessile ci pensa la Gen Z: il 90 per cento dei più giovani è disposto a pagare di più per articoli sostenibili e ben il 95 per cento cerca espressamente opzioni vegane. Ai materiali di origine vegetale in sostituzione alla pelle ci siamo abituati già da un po’, ma cosa ne sappiamo della seta vegana?
Seta non violenta
La seta a tutto fa pensare fuorché a scenari che richiamino in qualche modo l’idea di violenza, però è un fatto che, per ricavare la fibra da filare, i bozzoli dei bachi da seta vadano tuffati in acqua bollente per far morire i bruchi al loro interno. Si stima che per produrre un chilo di seta vengano uccisi più di seimila bachi da seta, bolliti vivi nei loro stessi bozzoli. Si stima inoltre che una camicia di seta richieda 376 litri di acqua, lasciando una grave impronta idrica sull’ambiente. Dall’India e dalle sue zen vibes, ha iniziato però a diffondersi un tipo di seta che viene definita ahimsa, cioè non violenta, o peace silk.
Il processo sostanzialmente è lo stesso, solo che si consente alla larva di completare la metamorfosi e di trasformarsi in farfalla, operazione che implica il fatto che il filo venga strappato in corrispondenza del buco praticato dalla farfalla per uscire. Il filo di seta, che può arrivare fino a 300 metri di lunghezza, è più pregiato e più semplice da filare se rimane integro: la seta “normale” rimane infatti più morbida. La seta non violenta viene però ormai utilizzata moltissimo anche nel lusso e sono sempre più i brand che stanno cercando delle alternative più sostenibili.
Seta vegana
Come per la pelle, materiale per cui la ricerca ha già dato alternative a go-go, anche per la seta si stanno iniziando ad affacciare sul mercato delle alternative vegane, ovvero senza che alcun animale sia coinvolto nel processo. Sono infatti polpa di legno di pino ed eucalipto gli ingredienti principali della fibra cellulosica Naia™, materiale tessile molto duttile che dà al tatto la stessa sensazione della seta. Al di là di non coinvolgere organismi viventi in nessuna fase del processo, la sostenibilità di questa fibra sta anche nel metodo di produzione: per abbassare le emissioni di carbonio acqua e solventi vengono recuperati per essere riutilizzati e riciclati.
Abbiamo già parlato del poliestere e delle sue qualità simili alla seta che, se non comporta l’uccisione dei bachi, nella sua versione non riciclata è comunque una scelta poco sostenibile trattandosi di un derivato del petrolio. La seta vegana e di cellulosa proposta da Naia invece proviene da foreste o piantagioni certificate e sostenibili; l’acido acetico utilizzato per trattare le fibre è ricavato da un processo brevettato, che utilizza rifiuti plastici indifferenziati e li scompone nei mattoni molecolari di base. Rispetto al processo standard, il pet non viene separato dalle altre plastiche: questo permette di dare nuova vita a un range più ampio di rifiuti, anche difficili da smaltire. Tutto il processo industriale, inoltre, è circolare perché l’acqua viene riutilizzata, i solventi sono sicuri e vengono reimmessi nel ciclo produttivo; non solo, le fibre così ottenute sono compostabili.
Uno dei punti di forza di Naia™ è la trasparenza: i boschi e le piantagioni di pini ed eucalipti sono gestiti in modo sostenibile, per garantire la salvaguardia di foreste antiche o in via di estinzione, tanto che l’impegno del brand nei confronti della sostenibilità ambientale è stato riconosciuto anche nell’Hot button report 2020 di Canopy. A Naia™ è stato riconosciuto l’impegno per quanto riguarda l’innovazione grazie anche al recente lancio di Naia™ Renew, una fibra circolare prodotta da un portafoglio di materiali di scarto difficili da riciclare.
L’applicazione nel lusso
Gretes è un brand di lingerie creato dalla designer lituana Grėtė Švegždaitė che, dopo gli studi in giurisprudenza, ha deciso di cambiare rotta e nel 2018 ha esordito sul mercato con un marchio di elastici per capelli in seta e successivamente ha ampliato il suo portfolio di prodotti. La crescita è stata rapida, tanto che Grtes si è guadagnato un posto anche alla New York Fashion week. Man mano che cresceva il successo, però, cresceva anche la consapevolezza della scarsa sostenibilità della filiera della seta.
Ecco che Grėtė, che fino a quel momento aveva basato su quel materiale l’intero concept de brand, ha iniziato a cercare un’alternativa più green che fosse però in grado di offrire la stessa sensazione di lusso e morbidezza, trovandola nella fibra cellulosica Naia™. Grėtė Švėgždaitė ritiene che la spinta a sostituire la seta naturale con la seta vegana sarà sempre più diffusa, e sicuramente con Gretes ha dato il buon esempio, almeno per quanto riguarda il mondo del lusso.
“Il nostro comportamento di acquisto è già stato dannoso per la natura; quindi, la scelta di tessuti vegani, riciclati e realizzati in modo sostenibile, così come il il riciclo di vecchi vestiti, scarpe o oggetti è in grado di compensare almeno in parte il danno causato”, spiega la designer. “È nostro dovere, come consumatori, spingere i brand del mondo della moda e del lusso ad apportare un vero e proprio cambiamento e produrre prodotti in linea con i nostri valori”. Oggi viene riciclato solamente l’1 per cento dei raccolti in tutto il mondo, è ora di far crescere questa percentuale.
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