Dal mischiglio della Basilicata alla zucca malon del Friuli al cappero di Selargius, in Sardegna: i presìdi Slow Food che valorizzano prodotti dimenticati, ma di fondamentale valore per la biodiversità, il territorio e le comunità.
Il cinema e il cibo. La vita in pasto
Il cibo si fonde nella passione, la passione s’accende con il cibo. Il cinema, che di passioni vive, ha saputo offrirci delizie culinarie per tutti i gusti.
Cucine colorate piene di pentole e posate che accolgono amici, un pasto davanti a cui ci si racconta, un piatto che evoca ricordi. I suoni di pentole e forchette che diventano parte essenziale dei dialoghi. Sono molti i film che mettono al centro delle loro storie il cibo.
Il cinema fa sognare, proietta in un mondo fantastico, ci risolleva dalla quotidianità. Ultimamente, sa anche denunciare. Ovviamente, i temi del cibo e dell’alimentazione, passione atavica di tutti noi, bisogno elementare e raffinata espressione culturale, permeano moltissime pellicole. Il cibo è un grande generatore di narrazioni cinematografiche: ha ispirato storie d’amore, d’amicizia, ha legato tra loro persone di diverse parti del mondo evocando emozioni, ricordi. Sa raccontare molto del personaggio e spesso è un elemento importante per costruire l’atmosfera e il quadro storico della storia.
Rustico. Un americano a Roma (di Steno, Italia 1954), è il film di Alberto Sordi dell’impagabile sequenza in cui parla col paiolo di pastasciutta: “Macarone… m’hai provocato e io te distruggo, macarone! Io me te magno”.
Tradizionale, di sapore antico. Storia di ragazzi e di ragazze (di Pupi Avati, Italia 1989). Piccoli impacci, ruvide cortesie, momentanee tensioni in un pranzo di fidanzamento, nei toni del lontano ’36. Con le venti succulente pietanze vanno in tavola le storie dei trenta invitati (le famiglie dei due giovani),
allusioni a segreti coniugali, sprazzi di spontaneità. Un’Italia antica.
Al ristorante. La cena (di Ettore Scola, Italia/Francia 1998). Le tante storie di tanti personaggi al ristorante romano “Arturo al Portico” sotto l’occhio della moglie del proprietario, Flora (Fanny Ardant). A volte un retrogusto un po’ amaro… ma l’ultima portata è una sorpresa.
In famiglia. Mangiare, bere, uomo, donna (di Ang Lee, Taiwan-Usa 1994). Il miglior chef di Taipei, vedovo, riacquista il gusto della vita cucinando, insieme alle tre figlie. Il cibo qui è mezzo di comunicazione, metafora di vita. Il mangiare è un rito familiare con cui si supera l’incapacità di condividere dei sentimenti.
Esotico. Il profumo della papaya verde (di Tran Anh Hung, Vietnam/Francia 1993). Premiato a Cannes con la Caméra d’or per l’opera prima. È la storia di Mui, una giovane di campagna che va a servire nella casa di un ricco pianista. Sarà amore… Un film delicatamente orientale nella squisita attenzione ai gesti e ai riti della preparazione dei cibi, nei deliziosi indugi sui più piccoli incanti della natura.
Carnale. Prosciutto prosciutto (di Juan José Bigas Luna, Spagna 1992). Le sensuali Penélope Cruz e Stefania Sandrelli giocano i ruoli di un intrigo farsesco in cui le forme, gli odori, gli afrori, i sapori del cibo simboleggiano quelli del sesso.
Filosofico. La mia cena con André (di Louis Malle, Usa 1981). Quando la tavola è il luogo per discutere. In un ristorante di New York un grande regista di successo e uno scrittore spiantato cominciano a tavola una conversazione che si trasforma in una discussione filosofica sulla vita, l’arte, il teatro di Grotowski, un viaggio nel Nepal e… le necessità quotidiane.
Surreale. Il fascino discreto della borghesia (di Luis Bunuel, Italia/Francia 1972). I Thévenot e i Sénéchal continuano a scambiarsi inviti per un pranzo, ma non riescono mai a mangiare. Un pranzo continuamente interrotto smaschera la borghesia e le sue istituzioni. Un compendio di tutto il cinema bunueliano.
Pantagruelico. La grande abbuffata (di Marco Ferreri, Italia/Francia 1973). Marcello Mastroianni, Ugo Tognazzi, Philippe Noiret e Michel Piccoli sono quattro amici che si riuniscono in una villa fuori Parigi decisi a compiere una “grande bouffe”, un amplesso mortale di eccessi gastronomici ed erotici. Mangiano, mangiano, mangiano, si sfidano; poi ai cibi s’aggiungono le donne, i quadri erotici, le cavalcate sulla Bugatti, e una maestrina all’apparenza innocente (Andréa Ferréol) fino… alla fine. Le ricche pietanze sono di Fauchon, dal 1886 storico paradiso dei gourmet in Place de la Madeleine, Parigi.
Da cannibali. Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante (di Peter Greenaway, Paesi Bassi/Francia/Gran Bretagna 1989). Si fonda sul trinomio cibo-sesso-violenza il film più sarcastico, feroce e divertente di Greenaway. Scanditi dalle musiche di Michael Nyman, dieci giorni, in dieci pranzi, in un ristorante francese di Londra, dove si consuma con la complicità dello chef l’adulterio tra la moglie d’un mafioso e un bibliotecario. Il marito, scoperta la tresca, uccide l’amante. La moglie si vendica: glielo servirà, in una “cena speciale”, cotto al forno e ben glassato.
Un po’ perverso. Affare di gusto (di Bernard Rapp, Francia 1999). Frédéric Delamont, ricco industriale, raffinato e decadente, assolda un giovane cameriere affinché gli faccia da “assaggiatore”. Un rapporto che sbocca in un legame perverso, di prevaricazione, di sottomissione: e l’arma utilizzata è sempre il cibo. Per forgiare i suoi gusti, gli fa subire indigestioni di crostacei; per soggiogarlo, lo sottopone a privazioni. Dal romanzo ‘Affaires de goût’ di Philippe Balland.
Per un duetto erotico-gastronomico. Tom Jones (di Tony Richardson, Usa/Gran Bretagna 1963). Memorabile la scena di questo film (4 premi Oscar) ambientato nel ‘700, dal romanzo di Henry Fielding: Albert Finney e Joan Greenwood mimano e pregustano, azzannando l’uno di fronte all’altra la selvaggina portata nei loro piatti, l’unione d’amore.
Tenero. Ricette d’amore (di Katja Studt, Germania/Italia/Austria/Svizzera 2001).
Martha è in una situazione di apatia verso tutti i piaceri della vita, l’unica cosa che sembra interessarle è il suo lavoro: è chef del Lido, raffinatissimo ristorante francese (in Germania). La sua vita è scossa dal doversi prendere cura della piccola nipote, che, persa la madre, rifiuta il cibo, anche gli irresistibili piatti della zia, e dall’arrivo di Mario, estroso chef italiano. Sarà proprio lui a far tornare l’appetito alla piccola – con un piatto di spaghetti! – e a risvegliare il gusto per la vita della zia.
La specialità. Pomodori verdi fritti (alla fermata del treno) (di Jon Avnet, Usa 1991).
“Il segreto della vita? Il segreto è nella salsa”. Il racconto delle peripezie di due vecchie amiche che gestirono insieme il Whistle Stop Café a una fermata di un treno che non c’è più (dove si poteva gustare la specialità locale, i pomodori del titolo) cambia la vita della triste Evelyn (Kathy Bates). Che decide di portare a casa con sé colei che gliel’ha narrate, la nuova amica, l’anziana Ninny (Jessica Tandy).
Speziato. Un tocco di zenzero (Tassos Boulmetis, 2003). Un viaggio nella memoria tra le spezie. La preparazione del pranzo per il nonno e i suoi amici che dopo anni vanno a fargli visita è l’occasione per Fanis di fare un viaggio nella memoria. Torna bambino, quando passava le giornate nel negozio di spezie del nonno a Costantinopoli, tra cassetti pieni di zenzero, sale, cannella. Un film delicato, pieno di colori, profumi, consistenze.
Magico. Come l’acqua per il cioccolato (Alfonso Arau, 1992). Il realismo magico del romanzo da cui è tratto emerge in tutto il film: Laura Esquivel. Siamo in Messico, nei primi anni del Novecento: Pedro e Tita si amano sin da bambini, ma la loro passione è ostacolata dalla famiglia. Tita trascorre la sua vita in cucina dove apprende tutti i segreti della buona tavola: così, con stuzzicanti e provocanti ricette cercherà di far arrivare il suo amore a Pedro, che nel frattempo per poterle stare comunque vicino ha sposato sua sorella Rosaura.
Arte culinar-culturale. Il pranzo di Babette (di Gabriel Axel, Danimarca 1987). Da un racconto di Karen Blixen. Oscar per il miglior film straniero. Babette Hersant (Stéphane Audran), cuoca francese emigrata, al servizio di due anziane signorine norvegesi allestisce un pranzo per dodici persone… che diviene una scioccante rivoluzione di costume.
Ferragostano. Il pranzo di Ferragosto (Gianni Di Gregorio, 2008). Generazioni a confronto a tavola. Una storia tenera e delicata, che vede raccolti intorno a un tavolo un figlio pieno di vizi, una madre anziana capricciosa e altre donne anziane il giorno di Ferragosto. Il pranzo diventa il pretesto per raccontarsi, punzecchiarsi, stare insieme, per mettere a confronto un uomo di mezza età con delle signore anziane. È una piccola e tenera storia in cui il cibo riesce a mettere a confronto due generazioni in un’atmosfera scanzonata, ma molto delicata.
Democratico. La cuoca del presidente (Christian Vincent, 2012). La disciplina della cucina unisce le classi sociali. La storia si ispira liberamente alla vita di Danièle Delpeuch, la cuoca che nel 1986 fu assoldata all’Eliseo per cucinare per François Mitterrand. Nel film è Hortense Laborie la protagonista, che attraverso le regole, la disciplina e la cura per il cibo si avvicina al Presidente della Repubblica francese.
Edificante. Soul Kitchen (Fatih Akı, 2009). Zinos gestisce un ristorante chiamato Soul Kitchen. È un luogo trascurato, che offre piatti dozzinali ad avventori rozzi: un improvviso malore costringe Zinos a lasciare la cucina e ad assumere un nuovo cuoco, che trasformerà il luogo in un ristorante ricercato. Il ristorante diventa davvero uno spazio per l’anima, per riscoprirsi attraverso la cura al cibo, all’ambiente e ai rapportu umani.
Curativo. Emotivi anonimi (Jean-Pierre Améris, 2010). Il cioccolato che cura l’insicurezza. Angélique è una maestra cioccolataia che ha paura di tutto e frequenta un gruppo di sostegno chiamato “emotivi anonimi”. Rimasta senza lavoro, conosce Jean-René, un uomo timido, terrorizzato dalle donne, proprietario di una piccola fabbrica di cioccolato. Tra paure, fughe, ansie i due iniziano a conoscersi, a lavorare insieme a fuggirsi e forse ad innamorarsi.
Dolce. Chocolat (di Lasse Hallström, Usa 2000). Vianne (Juliette Binoche) risveglia, con un negozietto di cioccolata aperto proprio di fronte alla chiesa, i sopiti appetiti e le golosità di una cittadina di provincia…
Il caffè. Coffee and cigarettes (di Jim Jarmusch, Usa 2003). All’ultima Mostra di Venezia, fuori concorso, anche un Benigni inedito, nel collage in bianco e nero di Jarmusch di tre ‘corti’ girati nell’arco di 15 anni. Il comico toscano appare accanto a Steven Right in un episodio girato nell’86. Il tema, le chiacchiere “da bar” di fronte alla fumante tazzina.
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