La Russia ha ammassato oltre 100mila soldati al confine con l’Ucraina e si teme un’invasione. Secondo l’Occidente e la Nato, Putin vuole riprendere il controllo dell’area.
Dalla fine di novembre 2021 la Russia ha inviato le sue truppe verso il confine ucraino, la Nato si è mobilitata di conseguenza.
La Russia ha mire sui territori contesi dell’Ucraina, vuole destabilizzare il suo governo filo-europeista e mandare un messaggio all’Occidente.
Secondo alcuni analisti l’invasione dell’Ucraina è imminente, per altri invece il dispiegamento di forze è una forma di ricatto.
Per gli ultimi aggiornamenti sulla crisi in Ucraina leggi i nostri approfondimenti qui e qui.
Tra i dossier internazionali più caldi di questo inizio 2022 c’è l’Ucraina. Da diverse settimane ha iniziato a esserci movimento al confine orientale del paese, con la Russia che ha inviato più di 100mila soldati a presidiarlo. L’Occidente teme che Mosca voglia invadere il suo vicino per affermare una volta per tutte la sua influenza, dopo che ha fatto qualcosa di simile nel 2014 nella regione ucraina della Crimea (e prima ancora in altri stati come la Georgia). Da Mosca accusano invece l’Occidente, o meglio la Nato (Organizzazione del trattato dell’Atlantico del Nord, cioè l’alleanza militare a carattere difensivo tra 30 stati del Nord America e dell’Europa), di star allargando sempre più i suoi tentacoli sugli “stati cuscinetto” della Russia, con tanto di addestramento militare delle forze locali e piani di adesione all’Alleanza atlantica.
Una situazione molto tesa, dove si sprecano i report e gli studi degli analisti a proposito di quello che dovremmo aspettarci nelle prossime settimane. C’è chi parla di un’invasione russa imminente, a cui seguirebbe una risposta militare della Nato. Ma per altri è probabile si resti nel campo della guerra fredda, con una forte pressione da entrambe le parti per ottenere il più possibile in termini diplomatici senza mai arrivare allo scontro diretto.
Un riassunto della storia dell’Ucraina
L’Ucraina è uno stato indipendente dal 1991, anno dello scioglimento dell’Unione Sovietica. Culturalmente e socialmente molto vicina alla Russia, per lungo tempo ha mantenuto ottimi rapporti con Mosca, ma con l’avvento del nuovo secolo il rapporto ha cominciato a deteriorarsi. Nel 2004 le elezioni presidenziali tra il candidato filorusso Viktor Janukovyč e l’oppositore filo-occidentale Viktor Juščenko portarono alla vittoria del primo, ma migliaia di persone riempirono le piazze per denunciare brogli. Venne chiamata la rivoluzione arancione e la Corte suprema le diede ragione, invalidando i risultati e proclamando un nuovo voto. Che vide la vittoria di Juščenko.
Fu un duro colpo per il presidente russo Vladimir Putin, che da quel momento assunse un atteggiamento più aggressivo nei confronti del vicino ucraino che iniziava a guardare verso occidente. Il suo delfino Viktor Janukovyč ricoprì comunque la carica di premier fino al 2007, poi divenne presidente nel 2010 e il problema, per Mosca, sembrava rientrato. Nel 2013 il rifiuto di Janukovyč di firmare l’accordo di associazione con l’Unione europea e la scelta di legarsi in modo ancor più netto alla Russia portarono a profondi moti di piazza, divenuti noti con il nome Euromaidan. Dopo mesi di scontri che costarono la vita a decine di manifestanti e nuove leggi restrittive per limitare il dissenso, nel febbraio 2014 il presidente abbandonò il paese e il parlamento lo rimosse.
La transizione politica non avvenne però in modo pacifico. La parte filorussa del paese nei mesi successivi insorse con il sostegno più o meno diretto di Mosca, combattenti armati occuparono gli edifici governativi in Crimea, che tramite un referendum non riconosciuto da diversi attori internazionali come l’Ocse decise per l’annessione alla Russia. La guerra andò avanti in altre aree dell’Ucraina orientale, in particolare in Donbass, dove tra escalation, momenti di maggiore tranquillità, la proclamazione delle repubbliche di Donetsk e Luhansk e un bilancio complessivo di oltre 14 mila morti, oggi i separatisti filorussi e le forze ucraine continuano a combattere. Sempre nel 2014 venne eletto presidente Petro Poroshenko, che firmò un nuovo accordo di integrazione con l’Ue.
Cosa sta succedendo in Ucraina oggi
Oggi il presidente dell’Ucraina è Volodymyr Zelensky, eletto nel 2019. Filo-europeista, ha definito il dispiegamento di queste settimane di truppe russe al confine orientale con il suo paese “un ricatto”, sottolineando come l’ultimo dei suoi desideri sia arrivare a una guerra.
Dalla fine di novembre 2021 Mosca ha inviato le sue truppe verso il confine ucraino, nell’area contesa del Donbass. Non ci sono numeri ufficiali sulla quantità, ma dalle immagini del satellite e le proiezioni del Pentagono statunitense si parla di almeno 100mila soldati. Non è la prima volta che succede qualcosa di simile: già nell’aprile scorso l’esercito di Mosca si era avvicinato minacciosamente alla regione, poi l’allarme era rientrato. Stavolta sembra che le cose si stiano mettendo peggio dato che la presenza è superiore e meglio equipaggiata.
Satellite imagery by Maxar Technologies shows Russia amassing some 100,000 troops near Ukraine's borders, a buildup the West says is preparation for a war to prevent Ukraine from ever joining the NATO Western security alliance https://t.co/SEPbBnsJUlpic.twitter.com/vU07gap7lh
Il motivo di questo dispiegamento è sempre lo stesso. La Russia continua ad avere mire sui territori contesi dell’Ucraina orientale, inoltre ha interesse a destabilizzare il governo ucraino filo-europeista. Ma soprattutto, da Mosca vogliono mandare un messaggio all’Occidente. Quest’ultimo, sotto la veste degli Stati Uniti, dell’Unione europea e più in generale della Nato, da anni sostiene sia diplomaticamente sia economicamente l’Ucraina. Come ha sottolineato la presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, l’Unione e le sue istituzioni finanziarie dal 2014 a oggi hanno allocato oltre 17 miliardi in trasferimenti e prestiti al paese. La Nato e gli Usa fanno lo stesso, con anche addestramento militare e presenza di propri specialisti sul territorio, come denunciato dal ministro della Difesa russo Sergei Shoigu alla fine di dicembre. E Mosca, che non ci sta a una tale presenza più o meno diretta occidentale in un’area che continua a ritenere storicamente sotto la sua sfera di influenza, ha alzato la pressione sui confini.
Alla fine del 2021 il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrovha posto agli Stati Uniti e alla Nato una serie di condizioni per far rientrare la tensione. In particolare, che l’Ucraina non entri mai nella Nato (una cosa che è in ballo anche se in modo poco concreto dal 2008) e che essa ritiri le sue forze militari dai “paesi cuscinetto” come Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e molti altri, che fanno parte della Nato dal 1999. La richiesta, insomma, è che l’Alleanza Atlantica metta fine alla sua presenza in Europa orientale e che si torni agli equilibri dei primi anni post guerra fredda. Un piano irricevibile per l’Occidente, dato che significherebbe una resa totale, e che infatti si è concluso con un nulla di fatto. A gennaio ci sono stati incontri tra le due diplomazie, per esempio a Ginevra tra la vicesegretaria di Stato americana, Wendy Sherman, e il viceministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov, che però non hanno sbloccato la situazione, così com’era avvenuto in un altro meeting a dicembre.
Cosa aspettarsi nelle prossime settimane da Russia e Stati Uniti
La Russia per tutte queste settimane ha ribadito di non avere piani di invasione dell’Ucraina e che i movimenti delle truppe al confine hanno ragioni interne. Una versione che fatica a stare in piedi, visto che in passato situazioni simili come quella in Georgia nel 2008 si sono trasformate in un conflitto, e che viene smentita anche dall’attività diplomatica in corso. Qualche giorno fa Joe Biden, durante una conferenza stampa, ha detto che se deve fare una previsione, Putin attaccherà presto l’Ucraina. Il presidente Usa ha anche ammesso che all’interno della Nato non c’è una linea comune su come rispondere a questa eventualità: in caso di un attacco limitato potrebbe non esserci una risposta mentre se l’operazione dovesse essere su larga scala Mosca pagherà un caro prezzo.
President @JoeBiden warns that if Russia invades Ukraine, "this would be the largest invasion since World War II. It would change the world." pic.twitter.com/7UH4lni7o2
Alcuni analisti sono convinti che un’invasione russa sia imminente. Secondo Melinda Haring dell’Atlantic Council, Putin si è stancato di stare dietro al dossier ucraino e vorrebbe risolvere la questione una volta per tutte, convinto che gli Usa non si impantanerebbero in una guerra con tutti i loro problemi interni di questo periodo. Il Center for strategic and international studies (Csis)si è spinto oltre e ha fatto previsioni su tempi e modalità dell’attacco: dovrebbe avvenire entro marzo e svilupparsi su tre fronti, arrivando a invadere e conquistare fino a tutta l’Ucraina. Secondo altri analisti, come Frederick Kagan, le mosse al confine avrebbero più a che fare con la deterrenza e l’obiettivo non sarebbe uno scontro diretto, quanto piuttosto alzare la tensione per cercare di ottenere delle concessioni. “Facendo sembrare possibile un’invasione, Putin può tentare di ottenere qualcosa, come una mano più libera nell’Europa orientale”, ha sottolineato il consulente militare.
Breaking: BBC understands the UK Foreign Office has started to withdraw some diplomats & families from the British embassy in Kiyv. Follows State Department decision to order families of US diplomats to leave Ukraine + authorise voluntary departure of non-essential staff.
Intanto l’ambasciata russa a Kiev è stata evacuata per la maggior parte del personale e a stretto giro hanno fatto lo stesso gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’Australia. Washington ha allertato8.500 militari per un loro possibile dispiegamento in Europa orientale se la situazione dovesse precipitare una volta per tutte, mentre è stata intensificata la consegna di armamenti all’Ucraina.
Il partito Sogno georgiano confermato con il 53,9 per cento dei voti. Ma piovono accuse di brogli e interferenze. L’Ue chiede di indagare. Intanto la presidente del Paese invita alla protesta. I vincitori: “Questo è un colpo di Stato”.
Due leggi approvate da Israele a larga maggioranza renderanno di fatto impossibile per l’Unrwa operare a Gaza e in Cisgiordania. La comunità internazionale insorge.
Continua ad aumentare il numero di sfollati nel mondo: 120 milioni, di cui un terzo sono rifugiati. Siria, Venezuela, Gaza, Myanmar le crisi più gravi.
Continua l’assedio israeliano su Gaza nord, dove per l’Onu l’intera popolazione è a rischio morte. Nuovi missili contro l’Iran, mentre in Libano uccisi tre giornalisti.
Dopo tredici anni di conflitto, la crisi umanitaria in Siria è una delle più gravi. Grazie anche al lavoro di WeWorld insieme alla cooperazione italiana, si cerca di dare strumenti agli studenti con disabilità per professionalizzarsi.