Il dramma che vive la città di Valencia è soltanto un assaggio di ciò che rischiamo senza un’azione immediata e drastica sul clima.
Uffa che caldo! Il libro di Luca Mercalli che spiega il clima ai bambini
Il climatologo Luca Mercalli ci parla del suo libro Uffa che caldo! e della sua importante missione: aiutare i bambini a sensibilizzare gli adulti sul tema, ormai urgentissimo, del riscaldamento globale.
Ormai non è rimasto più tempo. Se vogliamo lasciare alle nuove generazioni un pianeta ancora vivibile, dobbiamo intervenire adesso. Lo dicono gli scienziati, lo dicono le Nazioni Unite e ce lo “dice” con chiari segnali anche il nostro pianeta. A ribadirlo una volta di più, con il suo libro Uffa che caldo! (ElectaKids), è Luca Mercalli, climatologo, presidente della Società Meteorologica Italiana, cittadino impegnato per un mondo sostenibile, nonchè appassionato divulgatore e autore di programmi tv, come Scala Mercalli.
Questo suo ultimo libro, però, ha in sè una grande novità: parlare direttamente ai bambini per affidare loro il compito, non certo di salvare il pianeta da soli, ma di pungolare gli adulti, affinchè si rimbocchino subito le maniche, senza più rimandare a domani.
Con un linguaggio accessibile e tante illustrazioni chiare e immediate Mercalli ci consegna, così, il libro che ancora mancava nel panorama editoriale. L’idea vincente per catturare subito l’attenzione è quella di utilizzare la metafora della Terra con la febbre, che chiede aiuto a gran voce agli uomini affinché si attivino per invertire tutti quei processi di sfruttamento incontrollato delle sue preziosi risorse, innescando al più presto tutti quei comportamenti virtuosi e sostenibili che la scienza ha già chiaramente indicato.
Partendo dalla spiegazione di come funziona il clima e di come si misura, l’autore dipinge gli scenari del futuro, mostrando chiaramente che, andando avanti di questo passo, la temperatura della Terra si alzerà di cinque gradi entro il 2100, con conseguenze devastanti. Tra queste l’aumento dei fondali marini, che causerebbe la scomparsa degli atolli corallini e gravi danni a intere città, come Venezia e New York; ma anche siccità, invasione di insetti dannosi, cicloni e altri eventi terribili.
Nella seconda parte del libro si passa a illustrare le modalità con cui tutti noi possiamo intervenire per limitare i danni, per esempio con la scelta di fonti rinnovabili, risparmiando le energie attraverso la casa ecologica, riciclando correttamente i rifiuti e usando mezzi di trasporto non inquinanti. Un vero e proprio vademecum per insegnare come diminuire la propria impronta ecologica, cominciando da piccoli gesti quotidiani alla portata di tutti, bambini compresi. Per misurare la propria coscienza ecologica, infine, il libro mette alla prova i lettori con un rapido quiz e con una simpatica chiamata alle armi per tutta la famiglia, riunita intorno a alla più classica tavolata natalizia. Un momento perfetto per iniziare la missione qui affidata ai bambini.
Da dove si comincia a parlare ai bambini di surriscaldamento climatico?
I bambini oggi sono molto reattivi e, quando vengono loro spiegate queste cose, stanno attenti . Il problema è che poi possono fare poco, compiendo qualche piccolo gesto più simbolico che altro, come, per esempio, fare la raccolta differenziata. Ma nel momento in cui capiscono che in gioco c’è la loro vita futura, possono fare di più: sensibilizzare gli adulti, che sono quelli che possono davvero risolvere il problema. Il tema fondamentale è che abbiamo poco tempo e che non possiamo affidare ai bambini la soluzione, perché quando loro saranno grandi sarà troppo tardi per intervenire. L’unica finestra di azione è oggi e i pochi anni che abbiamo davanti, come ribadito anche dalle Nazioni Unite. Quindi, la nostra unica chance è che i bambini chiedano a gran voce ai loro genitori di fare qualcosa.
Come e quando è nata l’idea di Uffa che caldo!?
Io ho sempre fatto divulgazione e scritto libri per adulti, ma mancava un testo pensato per i bambini. Si tratta di un tema molto difficile e forse per questo poco affrontato. Per tradurlo in un formato comprensibile ci è voluto un anno di lavoro, durante il quale ho collaborato con gli illustratori Alice Lotti e Patrizio Anastasi e con i miei collaboratori della Società Metereologica Italiana, tra cui Alessandra Buffa. Insieme abbiamo ideato forma e contenuti.
E’ piu facile parlare di questi temi ai bambini o agli adulti?
E’ più facile parlarne ai bambini, che sono più aperti e ricettivi. Io faccio attività formativa nelle scuole da trent’anni e vedo che è più difficile parlare con i ragazzi del liceo, piuttosto che con quelli delle medie. L’unico limite è che per approfondire ci vuole un minimo di formazione scientifica.
Questo libro è accattivante per i bambini, ma interessante anche per gli adulti. Lo avete pensato proprio come lettura comune?
Sì, c’è talmente poca informazione su questo tema che leggerlo in famiglia potrebbe essere molto utile.
Tra i consigli che vengono dati nel libro c’è anche quello di non seguire ciecamente la moda. Avere a cuore il pianeta vuol dire saper andare anche controcorrente?
Sì, nella misura in cui copiare la moda vuol dire seguire un modello insostenibile. Anche in termini pratici, perché, per definizione, la moda cambia in fretta e quindi produce oggetti usa e getta e porta a sostiuire prodotti che andrebbero ancora bene. Quindi c’è un aspetto più astratto e culturale, ma anche un aspetto pratico. Le mode producono rifiuti e consumano risorse. Scegliere oggetti duraturi permette di usarli fino al loro fine vita naturale. Pensiamo per esempio ai jeans che vengono venduti già strappati: una pratica totalmente contraria alla visone della sostenibilità.
Lei insegna da tempo nelle scuole e nelle universitá. Che sensibilità c’è nelle nuove generazazioni su questi temi?
Poca. Nel senso che, quando gli spieghi queste cose le capiscono, ma poi sono tutti troppo distratti, isolati o rassegnati. Cioè oggi manca la capacità di aggregazione, finalizzata a cambiare le cose. E pensare che i ragazzi oggi hanno in mano uno strumento come lo smartphone, che in un attimo potrebbe permettere di creare gruppi, capaci di diventare una forza sociale e politica. Invece questo non accade. Gli studenti sono privi di una visione aggregativa, mentre quarant’anni fa, con mezzi molto più limitati, si facevano sentire, per esempio volantinando nelle piazze. Oggi, invece, usano gli strumenti che hanno per trasmettere stupidaggini e mai per organizzarsi e difendere il loro futuro.
Non le è mai capitato di vedere qualche esempio virtuoso nelle scuole?
No, mai niente di rilevante, mai un nucleo concreto. Solo qualche orto scolastico alle elementari o alle medie o piccole iniziative, mosse da qualche docente illuminato, che durano qualche anno e poi finiscono. Bisognerebbe essere molto più incisivi. Io vorrei vedere nascere un gruppo organizzato, che fonda un sito internet per chiamare alle armi i coetanei. Servirebbe un apripista in questo senso. Non posso farlo io, perché io non ho il loro linguaggio. Io posso partecipare dando loro informazioni e visibilità, ma poi devono essere i ragazzi a parlare ai loro pari. E ribadisco, tra le centinaia di scuole in cui sono andato, nessuna finora ha mai preso questo genere di iniziativa in Italia.
Iniziano a esserci quantomeno nuovi edifici scolastici progettati in modo più sostenibile…
Sì, ma sono pochissimi. La grande maggioranza degli edifici è fatiscente. Anche di fronte a questo gli studenti dovrebbero ribellarsi e non tollerare più di vivere in strutture del genere, con enormi sprechi energetici.
I programmi scolastici italiani danno spazio al tema del riscaldamento globale?
No, il problema è questo: studiamo ancora le guerre puniche, ma non si parla mai del problema climatico. E anche se fosse introdotto mancherebbero i docenti preparati. Ho constatato anche tra loro una scarsa consapevolezza. E inoltre sono occupati a gestire una burocrazia impegnativa e vecchia. Solo ogni tanto incontro docenti illuminati, che mi chiedono di andare nelle loro scuole a fare una lezione sul tema. Ma, evidentemente, io non posso andare ovunque. Posso consigliare i libri sui cui prepararsi, ma poi dovrebbero essere loro a farla. In sintesi dovrebbe nascere prima una forte consapevolezza nei docenti, che poi dovrebbero trasmetterla con una regolarità, che però nei programmi italiani non è contemplata.
Concludendo con una domanda sull’attualità: i durissimi fenomeni di maltempo che hanno colpito l’Italia di recente sono una dimostrazione che l’allarme climatico è molto più imminente di quello che si pensava?
In realtà la scienza lo aveva previsto da tempo. È la società che lo ha ignorato. Tutto sta accadendo come era stato previsto oltre trent’anni fa. Per noi scienziati non c’è nessuna sorpresa. Tutto sta accadendo esattamente come da previsioni. È la gente che continua a sorprendersi e a far finta di niente. E così si continua a rimandare la cura…
Un ruolo cruciale è giocato anche dai cittadini stessi?
Esattamente, i cittadini sembrano essere impermeabili a queste problematiche. Basta guardare l’Italia, che da nord a sud, con piccole eccezioni, è una discarica a cielo aperto. Altro che terra dei fuochi. Purtroppo esiste solo una piccola nicchia frustrata di persone sensibili, che viene addirittura attaccata con fastidio quando si espone. Sembra quasi che l’ambiente sia un accessorio, mentre invece è fondamentale! Questo è il risultato di non aver mai investito in educazione ambientale finora. Se lo avessimo fatto oggi avremmo una generazione più informata e sensibile, come probabilmente accade in Paesi come la Svezia, la Danimarca, la Svizzera o la Germania.
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