Uno sguardo al recente picco di violenza in Uganda, dove almeno 45 persone sono morte in seguito ai disordini legati all’arresto del candidato dell’opposizione Bobi Wine.
Per più di dieci anni l’Uganda è stata uno dei paesi più sicuri in Africa, ma da quando il 9 novembre è iniziata la campagna presidenziale in vista delle elezioni del 14 gennaio 2021, il paese si è trasformato in una polveriera. Scontri tra i sostenitori dei diversi candidati alla presidenza sono diventati all’ordine del giorno, e spesso si è fatto ricorso alla violenza.
In Uganda scoppiano gli scontri
Le rivolte sono iniziate in diverse parti del paese il 18 novembre, quando Robert Kyagulanyi, noto con il nome d’arte Bobi Wine, è stato arrestato nel distretto orientale di Luuka. Il musicista 38enne guida il partito National unity platform ed è uno dei candidati più popolari dell’opposizione contro il presidente Yoweri Museveni, al potere da 34 anni. Dopo essere rimasto in custodia della polizia per cinque giorni gli è stata concessa la libertà su cauzione. L’accusa è di aver violato le linee guida per la prevenzione della Covid-19. Wine dovrà tornare in tribunale il 18 dicembre.
Wine è stato arrestato per aver organizzato manifestazioni da migliaia di persone, soprattutto giovani sostenitori, ignorando le misure di contenimento del coronavirus, che per i raduni prevedono un limite di 200 persone. Subito dopo il suo arresto si sono verificati gravi disordini a Kampala, la capitale, e in altri centri importanti. I disordini sono aumentati ulteriormente dopo che sono circolate online notizie false che annunciavano la sua morte. Durante la campagna elettorale erano già scoppiati scontri durante i raduni e la polizia aveva risposto con gas lacrimogeni, ma la situazione è nettamente peggiorata il 18 novembre, quando le forze di sicurezza hanno usato proiettili veri per disperdere i rivoltosi, alcuni dei quali avevano iniziato a saccheggiare i negozi a Kampala.
Secondo il portavoce della polizia Fed Enanga, 45 persone sono state uccise nella città e in altre parti del paese. Basandosi su fonti interne all’apparato di sicurezza, i media locali hanno riferito che la maggior parte di queste persone è stata uccisa da agenti in borghese. Inoltre 836 persone sono state arrestate e 362 sono state incriminate.
JUST IN: Police and military surround Double Dream Hotel, Hoima city where @NUP_Ug Presidential Candidate Robert Kyagulanyi Ssentamu alias @HEBobiwine is spending the night. The motive for this operation is not yet clear #NTVNews
Wine, considerato un importante sfidante per Museveni, è stato arrestato più volte negli ultimi anni e nel 2018 si è rotto una gamba durante una colluttazione scoppiata mentre era detenuto nella città settentrionale di Arua (in seguito è stato trasportato in aereo negli Stati Uniti per ricevere le cure necessarie). All’epoca le rivolte innescate dall’incidente provocarono la morte di almeno tre persone.
Nelle recenti rivolte fomentate dalla detenzione di Wine i manifestanti hanno bruciato pneumatici, bloccato alcune strade e scagliato pietre contro dei veicoli. Sono stati anche usati archi, frecce e machete per attaccare la polizia, e sono stati saccheggiati negozi e bancarelle. “Ero nel mio negozio quando un gruppo di dieci giovani è entrato, ha saccheggiato tutti i miei prodotti e ha rubato il denaro nella cassaforte”, ha affermato Faridah Nakazi, un negoziante di Kampala. “Prima di scappare mi hanno anche picchiato”. Il tassista Silvester Owor racconta di quando “i teppisti hanno riempito la strada di oggetti costringendo i miei passeggeri a scendere dal taxi, per poi picchiarli e derubarli di tutto quello che avevano”.
Il presidente Museveni ha avvertito che tutti i soggetti coinvolti saranno arrestati e perseguiti. Ha affermato inoltre che alcuni gruppi di manifestanti sono controllati da stranieri che lavoravano per destabilizzare l’Uganda. “Sono usati dai gay nei paesi occidentali per disturbare la pace nel nostro paese”, ha affermato il presidente.
Secondo una task force congiunta che comprende forze militari, di polizia e intelligence, “le violente manifestazioni sono state coordinate da un gruppo di trecento capibanda che si sono occupati della distribuzione di pneumatici nei luoghi in cui sono avvenuti gli scontri”. Nella dichiarazione, Bobi Wine è anche accusato della continua inosservanza delle linee guida della commissione elettorale.
“La task force congiunta intende rispettare la libertà di riunione e i diritti democratici delle persone, ma non consentirà a manifestanti violenti e criminali opportunisti di interrompere la pace di cui abbiamo goduto negli ultimi anni. Abbiamo intensificato la presenza del nostro personale di sicurezza e ridotto al minimo l’uso di gas lacrimogeni (che per loro natura colpiscono indiscriminatamente) e incentiviamo il ricorso a manganelli, più precisi e controllabili”, prosegue il comunicato.
Lontano dai riflettori, i giornalisti vengono attaccati
L’arcivescovo cattolico dell’Uganda Cyprian Kizito Lwanga ha chiesto alle organizzazioni di sicurezza di smettere di uccidere civili disarmati. Anche il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres è intervenuto per condannare le violenze: ha rilasciato una dichiarazione attraverso un portavoce in cui “esorta tutti i leader politici e i loro sostenitori a partecipare pacificamente al processo elettorale, in conformità con le normative pertinenti, e ad astenersi da qualsiasi incitamento alla violenza o all’odio”. Ha anche chiesto che gli autori delle violazioni dei diritti umani siano ritenuti responsabili, e ha parlato in favore dell’immediato rilascio di chiunque sia stato arrestato arbitrariamente.
Malgrado l’attenzione dei media sulla detenzione di Wine, i giornalisti che si sono occupati della campagna presidenziale si sono ritrovati ad affrontare una forte repressione da parte delle forze di sicurezza. Quindici giornalisti sono stati arrestati e almeno cinque sono stati ricoverati in ospedale a causa di gravi ferite. Robert Ssempala, direttore esecutivo della Rete dei diritti umani per i giornalisti in Uganda, ha condannato gli attacchi per mano sia della polizia che dei rivoltosi.
Tra i professionisti dei media presi di mira dalle percosse compaiono Saif-llah Ashraf Kasirye, che lavora per Radio One e come cameraman per la Ghetto TV, Sam Balikowa per City FM e Nile TV, l’editode del Daily Monitor Yasiin Mugerwa, i giornalisti del Daily Monitor Arthur Wadero, Patrick Matsiko wa Mucoori, Daniel Lutaaya e il cameraman Thomas Kitimbo per la NBS television. Inoltre Moses Bayo, giornalista freelance e regista di documentari, è stato ferito da un proiettile di gomma sparato dalla polizia mentre riprendeva la campagna di Wine, e il 3 novembre alcuni giornalisti di diverse testate sono stati spruzzati con spray al peperoncino mentre documentavano la nomina del candidato.
“Le agenzie di sicurezza dovrebbero smetterla di attaccare i giornalisti mentre stanno facendo il loro lavoro”, ribadisce Ssempala. “Nella maggior parte dei casi le violenze sono partite dalle agenzie di sicurezza, specialmente contro i giornalisti che coprivano le notizie sui candidati dell’opposizione”, come Wine e Patrick Oboi Amuriat del partito Forum for democratic change. Anche l’African centre for media excellence (Acme) ha condannato le violenze. “Queste azioni non minacciano solo i giornalisti, ma anche la libera circolazione delle informazioni“.
L’incertezza sul futuro dell’Uganda
Nelle elezioni presidenziali previste per il prossimo gennaio undici candidati si affrontano per ricoprire la più alta carica del paese. Tra questi ci sono una donna, due generali dell’esercito in pensione e un giovane di 24 anni, oltre a due candidati che non hanno nemmeno veicoli per fare campagna elettorale e spesso chiedono soldi ai loro sostenitori per i trasporti. È presto per sapere se il rilascio di Wine abbia stabilizzato a sufficienza la situazione e se la repressione dell’opposizione politica sia sufficientemente diminuita per poter tenere elezioni libere ed eque.
Resta anche da vedere se l’Uganda (la cui industria del turismo è esplosa negli ultimi anni, con un numero di visitatori che ha anche raggiunto i due milioni all’anno) tornerà ad essere “il posto più sicuro per godersi la vita vera”, come è stata descritta da un ufficio turistico internazionale solo due anni fa.
Drogata e stuprata per anni, Gisèle Pelicot ha trasformato il processo sulle violenze che ha subìto in un j’accuse “a una società machista e patriarcale che banalizza lo stupro”.
La scarcerazione di Narges Mohammadi è avvenuta per motivi di salute e durerà tre settimane. Cresce la pressione sul regime dell’Iran per renderla definitiva.
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