Lunedì 10 gennaio 2022 è un giorno che i bambini e i ragazzi dell’Uganda ricorderanno a lungo. Perché è quello in cui finalmente hanno avuto la possibilità di tornare nelle loro scuole da cui mancavano addirittura dallo scoppio dell’emergenza sanitaria, a marzo 2020. Una chiusura di quasi due anni che non ha eguali in nessun altro paese del mondo. E che si teme possa lasciare pesanti strascichi sul loro futuro.
La lunghissima chiusura delle scuole in Uganda
“Le scuole devono essere gli ultimi posti a chiudere e i primi ad aprire”, si legge a caratteri cubitali nel profilo Twitter dell’Unicef, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia. “Bisogna compiere ogni possibile sforzo per riportare in carreggiata l’istruzione dei bambini”, gli fa eco il segretario generale dell’Onu António Guterres.
2022 cannot be yet another year of disrupted education.
Un appello che tuttavia non sempre è stato ascoltato. A partire dallo scoppio dell’emergenza sanitaria, quasi tutti gli Stati del mondo sono stati costretti ad aprire e chiudere le scuole a singhiozzo. Superata la prima fase di assestamento, soltanto sei hanno continuato a sospendere la didattica in presenza nell’intero territorio nazionale: Bahamas, Belize, Brunei, Repubblica Dominicana, Filippine e – appunto – Uganda, che si è distinto per la sua scelta di tenere le aule vuote per quasi due anni ininterrotti, da marzo 2020 a gennaio 2022.
Janet Museveni, ministra dell’Educazione e moglie del presidente Yoweri Museveni, ha giustificato questa scelta con la volontà di tutelare la salute delle famiglie. L’opposizione ritiene invece che l’amministrazione di Museveni, in carica dal 1986, abbia usato il lockdown come pretesto per impedire le proteste dopo le contestate elezioni di gennaio 2021.
A court in Uganda has charged a prominent author and government critic with "disturbing" the country's veteran President Yoweri Museveni and his powerful son in unflattering social media postshttps://t.co/bjcwIPS8CP
Durante questi lunghissimi due anni i 10,4 milioni di studenti ugandesi sono stati invitati a seguire le lezioni da remoto attraverso la radio, la televisione e internet. Il 51 per cento tuttavia non ha avuto questa possibilità; un dato che non stupisce, in un paese in cui appena il 41,3 per cento della popolazione ha accesso all’energia elettrica. Si teme quindi che, per molti di loro, si sia creato un vuoto di formazione e competenze ormai incolmabile. Vanificando così gran parte dei progressi fatti dal 1997 in poi, l’anno in cui l’Uganda fu tra i primi paesi africani a garantire la scuola elementare gratuita.
Già prima del coronavirus, l’Unicef stimava che pressoché la totalità dei bambini si iscrivesse al ciclo di istruzione primaria, ma solo il 40 per cento al termine fosse in grado di leggere e scrivere. E che soltanto uno su quattro proseguisse con la scuola superiore.
A queste debolezze strutturali ora si aggiungono anche i due anni lontani dalle aule, in cui molti ragazzi hanno iniziato a lavorare per aiutare i genitori. Per questo, secondo le proiezioni riportate dal New York Times, circa uno su tre non si presenterà in aula. Gli altri invece rischiano di scoprire che la loro è una delle oltre 3.500 scuole elementari o delle 830 scuole superiori fallite per mancanza di fondi. O che gli stessi insegnanti hanno trovato un altro impiego per mantenersi.
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