Il parlamento Ue stoppa l’import di prodotti realizzati nei campi di lavoro uiguri

Una risoluzione non vincolante contrasta l’ingresso nell’Ue di merce frutto della schiavitù degli uiguri. Ora la palla passa alla Commissione europea.

  • Gli eurodeputati vorrebbero l’introduzione di un sistema di vigilanza sulla merce importata dallo Xinjiang.
  • Alla fine del 2021 negli Usa è stata approvata una legge che limita l’importazione di prodotti dalla regione cinese.
  • A fine maggio nuovi file hanno acceso i riflettori sulla violenza nei campi di rieducazione uiguri.

Il parlamento europeo ha approvato un decreto non vincolante che vieta l’importazione di prodotti realizzati attraverso il lavoro forzato degli uiguri. Un modo per mettere pressione alla Commissione Ue e agli stati membri per definire una legge definitiva sul tema, dopo che nelle scorse settimane un’inchiesta ha rivelato nuovi tremendi dettagli sulla repressione cinese nei confronti della minoranza cinese dello Xinjiang

Una protesta contro il genocidio degli uiguri
Una protesta contro il genocidio degli uiguri © Drew Angerer/Getty Images

Alla fine del 2021 già gli Stati Uniti avevano introdotto una nuova legge, questa volta vincolante, che vieta l’importazione di prodotti realizzati attraverso la schiavitù del popolo uiguro.

Una legge contro la schiavitù degli uiguri

Nella risoluzione approvata dal parlamento europeo i deputati sottolineano che la separazione dei bambini dalle loro famiglie, i programmi di sterilizzazione forzata e il lavoro forzato nella regione cinese dello Xinjiang “sono crimini contro l’umanità e possono costituire genocidio”. Da qui la condanna dura nei confronti di Pechino, con un voto a favore dell’introduzione di uno strumento commerciale con cui bloccare l’importazione di prodotti frutto della schiavitù uigura.

Una misura non vincolante che però finirà inevitabilmente per influenzare i lavori della Commissione europea, portando auspicabilmente a una legge vera e propria che impegni in questo senso tutti gli stati membri. Secondo Raphaël Glucksmann, eurodeputato tra i promotori della risoluzione, occorre lavorare sul tema della vigilanza, introducendo una serie di verifiche con cui l’importatore europeo dovrà dimostrare che la merce acquistata non abbia nulla a che fare con le violazioni dei diritti umani nello Xinjiang. Nel 2021 la presidente della Commissione Ue, Ursula Von Der Leyen, si era espressa a favore dell’introduzione di limitazioni all’importazione di prodotti nati dallo sfruttamento lavorativo. E alla fine dell’anno scorso una legislazione in questo senso è stata introdotta negli Stati Uniti.

L’Uyghur forced labor prevention act prevede che le aziende che utilizzano merci provenienti dallo Xinjiang debbano di volta in volta verificare e dimostrare che esse siano state prodotte senza il ricorso al lavoro forzato. Una disposizione che segue a un’altra simile del 2020, con cui si bloccava specificatamente l’importazione di cotone e pomodori dalla regione nordoccidentale cinese, due tra le produzioni in cui la schiavitù uigura è più diffusa secondo i rapporti e le inchieste internazionali.

Nuove rivelazione sulle torture nello Xinjiang

La richiesta del parlamento europeo di bloccare i prodotti frutto della schiavitù uigura arriva a poche settimane dalla pubblicazione da parte di un consorzio di media internazionali tra cui l’inglese BBC, il francese Le Monde, il tedesco Der Spiegel, lo statunitense Usa Today e l’italiano L’Espresso, di materiale inedito sulla persecuzione della minoranza musulmana dello Xinjiang.

I Xinjiang police files contengono migliaia di documenti tra audio, foto e video relativi al biennio 2017-2018 in cui si fa chiarezza sui crimini contro l’umanità commessi dalle autorità cinesi nella regione. Il materiale è stato hackerato dai server della polizia locale ed è stato sottoposto a un lungo lavoro di fact-checking prima di venire pubblicato. Quello che emerge scorrendo i leaks è molto brutale. Intanto viene confermata ancora una volta l’esistenza di campi di rieducazione, dove gli uiguri sono sottoposti a programmi forzati di sinizzazione e assorbimento della cultura cinese. Campi dove chi prova a scappare e ribellarsi deve essere fucilato a vista e dove, come emerge dalle foto pubblicate, le persone vivono in condizioni deprecabili, sottoposte a torture e violenze di ogni tipo. Prove che smentiscono la versione ufficiale cinese, secondo cui quelle strutture sarebbero semplici scuole.

Tra gli elementi più importanti dei “Xinjiang police files” c’è la prova del coinvolgimento delle autorità centrali cinesi in queste violazioni massive dei diritti umani. Il presidente Xi Jinping è consapevole e anzi risulta che abbia avallato le misure più pesanti adottate nella regione, dai campi di rieducazione alla sorveglianza di massa anche attraverso la tecnologia di riconoscimento facciale.

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