Il ghiacciaio del Pico Humboldt – 4.940 metri di altezza -, che si trova nel Parco nazionale della Sierra Nevada, è l’ultimo ghiacciaio del Venezuela. La crisi climatica ha accelerato il suo scioglimento che è diventato sempre più rapido durante l’ultima decade. Per la scomparsa totale del ghiacciaio è ormai questione di anni. Pochi. E intanto una nuovabiodiversità colonizza le rocce rimaste nude. Ad affermarlo è un nuovo studio dell’Istituto di scienze ambientali ed ecologiche dell’università delle Ande (Ula) che ha così documentato il drammatico impatto dei cambiamenti climatici sui ghiacciai andini.
Il ghiacciaio del Venezuela perde massa da oltre 100 anni
A valle del Pico Humboldt c’è Mérida: la chiamavano la città della neve eterna. Affacciato sulla cordigliera delle Ande, il centro urbano adesso è custode del poco che resta del ghiacciaio venezuelano. Le cime delle montagne innevate disegnavano il suo paesaggio unico: era la sola città dalla quale si poteva vedere la neve in tutto il Paese. Ora il ghiaccio è rimasto solo sulla vetta dell’Humboldt, e resiste ancora grazie alla sua posizione sulla montagna, protetto da un’insenatura, mentre una nuova biodiversità coglie l’opportunità di colonizzare le terre innaturalmente esposte.
I ricercatori hanno raccolto immagini e campioni del ghiacciaio venezuelano tra il 2019 e il 2020 e hanno notato che esso si è ritirato a un ritmo insolito e allarmante. Dal 1910, l’anno della sua prima misurazione, prima che l’anno successivo il Pico Humboldt fosse asceso nella sua altezza, il ghiacciaio avrebbe infatti perso il 99% della sua massa.
Ora, secondo il nuovo studio dell’Istituto di scienze ambientali ed ecologiche dell’Università delle Ande, nel 2019 l’area coperta dal ghiacciaio era appena equivalente a cinque campi da calcio, ovvero 4,5 ettari. Contro i 300 del 1910. Con l’aumento delle temperature dall’inizio del Ventesimo secolo, d’altra parte, i ghiacciai di tutto il mondo sono stati colpiti dagli effetti negativi del riscaldamento globale. E le Ande tropicali sono una delle regioni più vulnerabili.
Dal 1961 al 2016 sono state perse quasi 10 miliardi di tonnellate di nevi perenni dei ghiacciai in tutto il mondo, con un ritmo crescente negli ultimi anni, secondo ricerche di United Space in Europe (Esa). Inoltre, dopo la Groenlandia e l’Antartide, i ghiacciai dell’America Latina, sono quelli che maggiormente contribuiscono all’innalzamento dei mari e sono ancora più a rischio a causa delle pressioni delle lobby minerarie, come in Cile.
Il ghiaccio sparisce e una nuova biodiversità avanza
La scienziata Alejandra Melfo dell’Ula ha dichiarato all’agenzia di stampa Afp che è molto interessante essere in grado di vedere come la vita si forma gradualmente sulle rocce”, facendo riferimento alla crescita di nuove forme di vita non artiche che stanno invadendo la regione originariamente gelata. Ora è diventato fondamentale comprendere cosa succede dopo la morte di un ghiacciaio, ovvero seguire l’adattamento dell’ecosistema: “Stiamo studiando le zone dove il ghiacciaio è già scomparso. Vediamo il ritorno della flora, dei licheni, dei batteri e dei muschi che si combinano per creare nuovo suolo, insieme all’arrivo degli animali e degli insetti impollinatori”. Al momento la ricerca del team venezuelano è pioniera in questo campo. “L’unica soluzione – ha aggiunto la ricercatrice – è tenere sotto controllo l’azione umana sui cambiamenti climatici, proteggendo le zone vicino ai ghiacciai che sono molto fragili”.
La scienziata si è unita ad una squadra che ha scalato il Pico Humboldt per documentare la vita dopo il ritiro del ghiacciaio. Intitolato L’ultimo ghiacciaio venezuelano, la vita dopo il ghiaccio, un documentario sul tema è stato presentato in anteprima su Youtube l’11 dicembre 2020. “I ghiacciai mostrano che qualcosa di gigantesco come una montagna intera può sparire e questo dà l’opportunità di capire che il Pianeta sta cambiando. Che siamo responsabili, indipendentemente dal fatto che l’ultimo ghiacciaio del Venezuela non possa essere salvato – conclude Melfo –. La morte dei ghiacciai ci impone di assumerci le nostre responsabilità”.
Secondo i dati preliminari il 2023 è stato un anno anomalo, in cui l’assorbimento netto della CO2 da parte degli ecosistemi terrestri si è quasi azzerato.
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