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Una gabbia di lenti
Da molto tempo ormai l’uomo ha imparato a convivere con l’incapacit
Le difficoltà della funzione visiva sono amare constatazioni
che accompagnano l’uomo di oggi nella vita quotidiana con i suoi
ritmi nevrotici. La distanza da sé stessi, le tensioni
muscolari croniche, le situazioni di stress, hanno finito per
diventare la norma a tal punto che risulta più facile,
addirittura più “naturale”, reprimere piuttosto che
ascoltare, chiudere gli occhi di fronte ai messaggi che l’organismo
invia piuttosto che vedere cosa poter fare per raccoglierli.
E’ stato procedendo in questo modo che si è permesso ai
disturbi visivi (e non solo a quelli) di raggiungere percentuali di
diffusione così elevate.
E’ stato sempre procedendo in questo modo che ha potuto instaurarsi
il concetto secondo il quale risolvere i disturbi visivi vuol dire
imprigionare gli occhi dietro un paio di lenti.
Siamo tanto abituati a vedere che dobbiamo compiere uno sforzo
d’immaginazione per renderci conto che questa nostra facoltà
è il risultato di una serie di operazioni assai complesse.
Il processo visivo, infatti, implica il concorso di svariati
aspetti riferiti all’uomo: aspetti di natura fisiologica e
neurofisiologica, aspetti di natura emotiva e psicologica, aspetti
di natura sociale ed ambientale.
La funzione visiva è una funzione primaria; entra nello
sviluppo psicofisico dell’individuo, nei processi cognitivi ed
affettivi, nell’acquisizione dello schema corporeo, in definitiva
la funzione visiva entra nello sviluppo della personalità
dell’individuo.
Partendo da questi presupposti, si è andato sviluppando, in
questi ultimi decenni, un modo nuovo di avvicinarsi ai disturbi
visivi.
La strada intrapresa è quella che ha portato a considerare i
problemi della visione non più come una patologia di
pertinenza esclusivamente oculistica.
L’occhio non è un semplice organo meccanico ma è
costituito da un sofisticato sistema dotato di una straordinaria
sensibilità che si ripercuote in altri aspetti dell’essere
umano.
I deficit visivi, così frequenti al giorno d’oggi,
rappresentano un’alterazione di questo sofisticato sistema dovuto
ad un insieme di fattori raramente presi in considerazione.
La funzione visiva, infatti, è in relazione ad un equilibrio
psicofisico generale dell’uomo; non è un processo statico,
cambia a seconda delle condizioni fisiche, risente dello stato
mentale, risente degli stati d’animo, risente dell’ambiente che lo
circonda, risente del processo evolutivo di ogni individuo.
Non esiste parte del corpo come gli occhi, né funzione della
mente come la visione, che possa essere considerata, esaminata e
quindi curata isolatamente da tutto il resto.
L’approccio terapeutico ai problemi della visione deve quindi
tenere conto dell’uomo come di un tutto inscindibile in cui mente e
corpo, disturbi organici, funzionali e psicologici interagiscono
fra loro formando una unità psicosomatica integrata.
Quello che va ricercato, dunque, è un equilibrio globale
dell’individuo, una interrelazione armoniosa ed equilibrata tra i
vari aspetti di questo “tutto” che è l’uomo.
Uno dei primi ad intravedere questo diverso modo di affrontare i
disturbi della visione fu un oculista di New York agli inizi del
secolo: William H. Bates, il quale, attraverso un lungo lavoro
sperimentale, elaborò una metodica che ancora oggi porta il
suo nome: il “metodo Bates”.
Bates può essere considerato uno dei primi ad immaginare un
approccio olistico ai problemi della visione. Proprio il tipo di
scoperte alle quali fu condotto in base alle sue sperimentazioni
fece spostare il problema della visione in un ambito diverso da
quello fino a quel momento considerato.
Da quando Bates formulò il suo metodo, è stata fatta
molta strada nel senso che, nel corso dei decenni successivi,
è avvenuta un’integrazione del metodo Bates soprattutto con
le terapie psicocorporee e bioenergetiche di Wilhelm Reich e
Alexander Lowen.
La bioenergetica occupandosi di quei livelli di funzionamento che
Bates non aveva, se non in parte, considerato, permette infatti di
completare l’approccio terapeutico olistico ai problemi della
visione.
Integrando e proseguendo l’opera di Reich, Lowen si è
soffermato in particolare sulla capacità espressiva degli
occhi, individuando addirittura, una serie di sguardi tipici,
espressioni di una serie di personalità tipiche.
Secondo Lowen gli occhi oltre ad essere “lo specchio dell’anima”
sono “le finestre del corpo” in quanto sono in grado di rivelare le
sensazioni interiori. Gli occhi hanno una duplice funzione,
sostiene Lowen; oltre ad essere gli organi della vista servono a
stabilire un contatto (con il mondo circostante) e questo contatto
può essere stabilito solo se le “finestre” sono aperte. Ma
se gli occhi sono la finestra del corpo e lo specchio dell’anima
risulta anche possibile comprendere la globalità di un
individuo dal modo con il quale guarda.
La bioenergetica offre, in definitiva, la possibilità di
cogliere e comprendere le relazioni tra occhi e
personalità.
Alla luce delle considerazioni fatte da Reich e Lowen è
possibile, in sintesi, sostenere che gli occhi sono fatti per
vedere ma anche per esprimere, per entrare in contatto, comunicare
e comprendere.
Non impedire agli occhi di guardare e vedere vorrà dire
quindi, a livello fisico, avere uno sguardo mobile e attento, a
livello emotivo, esprimere ciò che si sente, a livello
psichico, lasciare la mente vuota, libera da preconcetti,
condizionamenti e difese eccessive, sveglia in ogni momento,
attenta e consapevole rispetto a ciò che sta guardando e a
ciò che sta facendo.
Se consideriamo infine gli occhi come parti altamente sensibili del
nostro essere nella sua totalità, si potrà mettere in
atto un programma terapeutico che porti a favorire il rilassamento
dei muscoli dell’occhio, a integrare gli organi visivi con le zone
del cervello che presiedono alla vista, stimolando
contemporaneamente lo sviluppo complessivo della personalità
ed il benessere fisico ed emotivo.
Per migliorare la vista bisogna quindi desiderare di crescere
realmente come persona, superare le antiche reazioni che portano a
negare uno dei sensi e desiderare di vedere di nuovo il mondo con
chiarezza, apertamente, olisticamente. Deve migliorare il mondo
visivo nella sua totalità.
Imparando a capire il “senso della vista” si giunge a delle
profonde introspezioni nella personalità e nel modo di
percepire il mondo. E con l’espandersi della percezione visiva
aumenterà la possibilità di apprezzare il mondo
circostante.
In conclusione l’approccio terapeutico olistico ai disturbi visivi
è costituito da un vero e proprio percorso di crescita
personale profonda, un percorso di trasformazione fisiologica e
psicologica reso possibile dallo sviluppo e dalla integrazione di
tecniche e metodiche ben precise.
Paolo Balducchi
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