Grazie alla tecnologia lidar sono state scoperte migliaia di strutture maya in Messico. Ci sono ancora molte rovine sepolte nella giungla.
Gli Stati Uniti abbandonano l’Unesco, rea di aver riconosciuto la Palestina
Gli Stati Uniti lasceranno l’Unesco entro la fine del 2018, accusando l’agenzia delle Nazioni Unite di essere “anti-israeliana”. Esulta Tel Aviv.
Aggiornamento ore 23:00 – Anche Israele ha annunciato l’uscita dall’Unesco, seguendo la via indicata dagli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti hanno annunciato, il 12 ottobre, la decisione di abbandonare l’Unesco, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura. Washington, che manterrà lo status di osservatore esterno, ha motivato la scelta con l’accusa, rivolta all’agenzia Onu, di essere “anti-israeliana”.
Nel 2011 l’Unesco ammise la Palestina tra gli stati membri
Gli attriti tra Stati Uniti e Unesco risalgono ormai al 2011, quando cioè l’agenzia con sede a Parigi ammise la Palestina tra i propri stati membri. Da quel momento il governo americano ha deciso di congelare tutti i finanziamenti, il che per l’organizzazione internazionale ha rappresentato un colpo durissimo: proprio gli Usa, infatti, contribuivano in modo determinante al totale dei fondi messi a disposizione dell’agenzia dalla comunità internazionale. La decisione arrivò in virtù del diritto statunitense, che vieta di finanziare qualsiasi istituto che riconosca lo stato palestinese.
#US @StateDept statement on #UNESCO withdrawal: pic.twitter.com/eaALtElOVr
— Matt Lee (@APDiploWriter) 12 ottobre 2017
Il dipartimento di Stato americano ha precisato che il ritiro degli Stati Uniti sarà effettivo a partire dal 31 dicembre 2018, conformemente ai tempi previsti dallo statuto dell’Unesco. “Non si tratta di una decisione presa alla leggera – ha spiegato il governo di Donald Trump – e riflette le inquietudini della nostra nazione in riferimento alla persistenza di scelte anti-israeliane e alla necessità di una profonda riforma dell’organizzazione”.
I deeply regret the decision of the United States of America to withdraw from @UNESCO.
Official statement: https://t.co/ACgqUKVLBi pic.twitter.com/xHTvJNt6tm— Irina Bokova (@IrinaBokova) 12 ottobre 2017
Già all’inizio dello scorso mese di luglio Washington aveva anticipato l’intenzione di riesaminare la propria partecipazione all’Unesco. In quel caso, a scatenare l’ira americana era stata decisione dell’agenzia di inserire la città vecchia di Hebron, nella Cisgiordania occupata, nell’elenco dei siti protetti come Patrimonio mondiale dell’umanità. Nikki Haley, ambasciatrice americana all’Onu, aveva parlato di “affronto alla storia” e di “discredito per un’agenzia già fortemente criticabile”.
Israele: “Nuova era per le Nazioni Unite: chi ci discrimina ora paga”
Alla notizia dell’addio di Washington ha reagito la direttrice generale dell’Unesco, Irina Bokova, deplorando “profondamente” la decisione. Anche la Francia, nazione che ospita la sede dell’agenzia, ha spiegato di non condividere la scelta americana, “soprattutto in un momento in cui il sostegno della comunità internazionale a questa organizzazione è primordiale”. Al contrario, Israele ha parlato di avvio di “una nuova era per le Nazioni Unite: quella in cui chi discrimina la nostra nazione, è obbligato a pagare il prezzo delle proprie scelte”.
Nei prossimi giorni l’Unesco dovrà eleggere il suo nuovo direttore generale. A contendersi la guida sono i candidati di Cina, Vietnam, Azerbaijan, Francia, Egitto, Qatar, Libano e Iraq. Chiunque prenderà il posto di Irina Bokova, dovrà trovare la maniera di far uscire l’agenzia Onu dalla pesante crisi, soprattutto finanziaria, in cui versa.
Nell’immagine di apertura, la sede dell’Unesco a Parigi ©UNESCO/Michel Ravassard
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Per molte minoranze il dritto a scegliere tra Harris e Trump alle elezioni presidenziali Usa resta un percorso a ostacoli.
Il partito Sogno georgiano confermato con il 53,9 per cento dei voti. Ma piovono accuse di brogli e interferenze. L’Ue chiede di indagare. Intanto la presidente del Paese invita alla protesta. I vincitori: “Questo è un colpo di Stato”.
Due leggi approvate da Israele a larga maggioranza renderanno di fatto impossibile per l’Unrwa operare a Gaza e in Cisgiordania. La comunità internazionale insorge.
Continua ad aumentare il numero di sfollati nel mondo: 120 milioni, di cui un terzo sono rifugiati. Siria, Venezuela, Gaza, Myanmar le crisi più gravi.
Continua l’assedio israeliano su Gaza nord, dove per l’Onu l’intera popolazione è a rischio morte. Nuovi missili contro l’Iran, mentre in Libano uccisi tre giornalisti.
Nel bacino di Kariba, in Zambia, c’è poca acqua a causa della siccità. Questo non permette di produrre elettricità e il paese è in balia dei blackout.
Dopo tredici anni di conflitto, la crisi umanitaria in Siria è una delle più gravi. Grazie anche al lavoro di WeWorld insieme alla cooperazione italiana, si cerca di dare strumenti agli studenti con disabilità per professionalizzarsi.
María Corina Machado ed Edmundo González Urrutia premiati “per la loro lotta per libertà e democrazia in Venezuela” e contro il regime di Maduro.