Quando si parla di crisi climatica, il vocabolario è – gioco forza – quello della scienza. Conteggiamo le tonnellate di emissioni generate dai vari settori produttivi che fanno aumentare la concentrazione di CO2 in atmosfera e, di conseguenza, la temperatura media globale. Ci chiediamo se, e in che misura, gli eventi meteo estremi siano conseguenza diretta di tutto questo. Sempre nel rispetto del rigore della scienza, non dovremmo mai dimenticare che dietro a tutti questi dati ci sono delle persone. Molto più spesso di quanto ci immaginiamo, ci sono bambini e bambine. Qualche esempio? Già oggi, 559 milioni di bambini sono esposti a un’alta frequenza di ondate di calore; 739 milioni di bambini, cioè uno su tre, vivono in aree già soggette a una forte scarsità d’acqua. Numeri destinati inevitabilmente a peggiorare, con l’inasprirsi dei cambiamenti climatici. La fonte di questi e altri dati è Unicef, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, molto attivo nel denunciare il problema e nell’andare alla ricerca di soluzioni condivise. È per questo che siamo andati a Roma a incontrare Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia.
Quanti bambini subiscono l’impatto dei cambiamenti climatici
È stato proprio Unicef, nel 2021, a pubblicare l’Indice di rischio climatico per l’infanzia, cioè il primo rapporto che classifica i paesi in base sia all’esposizione dei bambini agli shock climatici e ambientali, sia alla loro vulnerabilità a questi shock. Sfogliandolo, si scopre che i bambini nel mondo sono 2,2 miliardi: un miliardo, cioè quasi uno su due, vive in uno dei 33 stati classificati come “a rischio estremamente elevato”. I primi della lista sono Repubblica Centrafricana, Ciad, Nigeria, Guinea e Guinea-Bissau.
Ma se le condizioni meteorologiche estreme colpiscono l’intero territorio, perché proprio i bambini le subiscono di più? “Innanzitutto per motivi fisiologici, legati alla loro corporatura fisica”, risponde Andrea Iacomini. “C’è un esempio molto vicino: in Europa e nei paesi dell’Asia centrale, ogni settimana novanta bambini al di sotto dell’anno di età muoiono per fattori legati all’inquinamento atmosferico, tra le cause principali dei cambiamenti climatici. Nei prossimi decenni ci troveremo di fronte a un gran numero di bambini con difficoltà respiratorie, asma, problemi cardiovascolari”. Il secondo motivo è legato all’accesso ai servizi essenziali. Dopo un anno dalla catastrofica alluvione in Pakistan, ci sono ancora otto milioni di persone che necessitano di aiuti umanitari: metà di loro, spiega Iacomini, sono bambini. Bambini che, in molti casi, non possono più andare a scuola.
Quanti bambini sono costretti a migrare a causa del clima
Leggendo questi dati, non stupisce il fatto che ci siano famiglie costrette a lasciare le proprie case per trasferirsi in luoghi in cui le condizioni climatiche sono migliori. O, quanto meno, compatibili con la sussistenza. Un altro studio di Unicef, Children displaced in a changing climate, parla di 34,1 milioni di bambini sfollati interni nell’arco di sei anni, tra il 2016 e il 2021, a causa di disastri legati al clima. La media è di 20mila al giorno.
Le due principali cause che hanno innescato queste migrazioni interne sono le tempeste, con 69,7 milioni di sfollati di cui 21,2 milioni di bambini, e le inondazioni, con 58,4 milioni di sfollati di cui 19,7 milioni di bambini. Le proiezioni al 2030 vedono però le inondazioni fluviali salire al primo posto tra le minacce, con una media di 3,2 milioni di bambini sfollati interni all’anno, per un totale che raggiungerà i 96 milioni nei prossimi tre decenni.
“Sono numeri enormi e destinati ad aumentare sempre più. Ecco perché è necessario intervenire”, commenta il portavoce di Unicef Italia Andrea Iacomini. “Il rapporto dice che nel corso del tempo siamo riusciti a prendere delle misure concrete per sfollare questi bambini e non lasciarli alla mercé improvvisa di eventi che avrebbero inevitabilmente provocato un numero impressionante di morti”.
Preso atto che molti dei fenomeni meteo estremi a cui stiamo già assistendo si intensificheranno, dunque, non si può restare a guardare. Non possono restare a guardare le istituzioni, innanzitutto, che si riuniscono ogni anno alle Conferenze delle parti sul clima. Eppure, in questa sede, finora l’attenzione ai bambini è stata a dir poco residuale. Alla vigilia della Cop28 di Dubai, Unicef ha fatto sapere che soltanto la metà delle nationally determined contributions (ndc, i piani nazionali di riduzione delle emissioni) sono a misura di bambino. E soltanto il 2,4 per cento degli stanziamenti dei principali fondi multilaterali per il clima può essere classificato come “child-responsive”.
La crisi del #clima sta cambiando il pianeta, e sta cambiando i bambini: sono i soggetti più vulnerabili, quelli che ne sopporteranno gli effetti più a lungo, quelli che contano meno nelle decisioni sul futuro.
Cosa fa Unicef per creare consapevolezza e spingere all’azione
Una parte del lavoro di Unicef sta proprio nell’incentivare all’azione, a tutti i livelli. In Italia lo fa anche attraverso la campagna Cambiamo aria, volta a sensibilizzare le persone sui cambiamenti climatici e incoraggiarle ad avere abitudini quotidiane più oculate. “Questa campagna è una punta di diamante dell’attività di Unicef, a livello italiano e a livello globale, perché riguarda ciascuno di noi. Tutti insieme possiamo cambiare le nostre abitudini, come tante piccole gocce che cambiano il destino del pianeta”. C’è ancora parecchio da lavorare su questo fronte, e lo dimostrano i riscontri di chi ha scelto di misurare il proprio impatto ambientaleattraverso la piattaforma messa a disposizione da Unicef. “Su 7mila quiz completati, solo il 7 per cento delle risposte evidenzia una piena consapevolezza dello stile di vita sostenibile”, spiega Iacomini.
“La grande sfida che noi come Unicef ci poniamo per gli anni a venire è quella di favorire la partecipazione dei giovani”, continua. “Ci sono iniziative concrete straordinarie che Unicef ha messo in campo per ascoltare le nuove generazioni e produrre idee nuove grazie alla loro freschezza, intelligenza e genialità”. Queste iniziative sono gli hackaton, appuntamenti in cui ragazzi e ragazze provenienti da tutt’Italia si incontrano, confrontandosi e discutendo anche con istituzioni, esperti, docenti, membri dello staff Unicef. Appuntamenti nazionali che, ben presto, saranno organizzati anche su scala locale. “L’hackaton è l’occasione in cui i giovani possono dire a chi ci governa: ‘Siamo qui, e non soltanto per parlare, ma perché abbiamo delle idee e vi chiediamo di essere ascoltati’”, conclude Iacomini.
Si parla tanto di finanza climatica, di numeri, di cifre. Ma ogni dato ha un significato preciso, che non bisogna dimenticare in queste ore di negoziati cruciali alla Cop29 di Baku.
Basta con i “teatrini”. Qua si fa l’azione per il clima, o si muore. Dalla Cop29 arriva un chiaro messaggio a mettere da parte le strategie e gli individualismi.
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