Gli unicorni sono molto rari ma esistono: sono startup con una valutazione da un miliardo di dollari.
Solo una percentuale infinitesima di startup diventa unicorno, ma individuare quella giusta e investire in essa vuol dire sbancare.
Non c’è una ricetta per diventare unicorni, ma le startup che ce la fanno hanno alcune caratteristiche in comune.
Quante volte siamo rimasti strabiliati dall’ascesa esplosiva di una startup innovativa, da un’idea geniale che ha sfondato? Quante volte ci siamo chiesti: “Ma come ho fatto io a non pensarci?”. In realtà la nostra attenzione cade sui casi di successo ma ignoriamo la miriade di startup che non ce l’hanno fatta, di idee poco brillanti, di intuizioni che non sono mai andate oltre lo stadio embrionale perché mancava la capacità di metterle a terra, la congiuntura non lo permetteva o erano troppo avanti per i tempi. Là fuori è una giungla in cui, per ogni startup che sopravvive, sono innumerevoli quelle che falliscono. La probabilità di scommettere su quella che sbanca, poi, è pari a quella di trovare un unicorno. Si chiamano così, unicorni, le startup che raggiungono il valore di un miliardo di dollari (poco meno di un miliardo di euro) rimanendo in mani private, cioè senza quotarsi in Borsa. Qui vogliamo guardare proprio a loro, a chi ha fatto le cose in grande.
Il club degli unicorni
Nel momento in cui scriviamo, il numero totale di unicorni nel mondo è 1.170, con un valore cumulativo di circa 3.820 miliardi di dollari, secondo la lista che Cb Insights aggiorna costantemente. Cifre difficili da comprendere per chi ragiona con un’unità di misura che fa riferimento alla vita quotidiana. I loro founder cercano di spingere in alto la valutazione e, arrivati al massimo, puntano all’exit. Ciò significa che il percorso della startup si concude, di solito attraverso l’acquisizione da parte di un gruppo più grande o la quotazione sul mercato.
Gli Stati Uniti sono in testa alla classifica con 629 unicorni, seguiti da Cina con 173, India con 68 e Regno Unito con 44. Sempre secondo questa lista, il fintech è il settore più prolifico con 242 unicorni, seguito da quello dei software e servizi per internet con 222 startup e dalle 107 nel settore e-commerce e servizi e prodotti direct-to-consumer. Interessante anche notare come, tra gli altri settori al top, si trovano quello dell’intelligenza artificiale e dell’healthcare, particolarmente attuali.
Gli unicorni (e i futuri unicorni) italiani
L’unico nome italiano nella lista ad oggi è Scalapay, startup fintech con sede a Milano che offre pagamenti online dilazionati, in rate senza interessi: come si dice in gergo “buy now, pay later”, ovvero acquista ora, paga poi. Fondata nel 2019, all’inizio del 2022 è entrata nel club degli unicorni. Sedici sono le startup fondate da italiani – ma non tutte con sede in Italia – che si stanno avvicinando a questo traguardo. I cosiddetti soonicorn fanno capo soprattutto (ma non solo) al settore dei servizi assicurativi e finanziari. Si tratta di Satispay, Credimi, Prima Assicurazioni, Soldo, Yolo, Moneyfarm, Mmi – Medical micro instruments, Genenta science, Enthera, Newcleo, Roboze, D-Orbit, Musixmatch, Everli, Casavo, Planet smart city. Nel report del Club degli investitori, che riporta questi dati, salta all’occhio la clamorosa discrepanza rispetto a vicini di casa come Regno Unito (a quota 44 unicorni), Germania (29) e Francia (25).
Perché le startup da un miliardo si chiamano unicorni
Ma perché proprio “unicorni”? Il termine è comparso per la prima volta in un articolo del 2013 su TechCrunch firmato da Aileen Lee, founder di Cowboy Ventures, un fondo specializzato nei finanziamenti a startup legate al digitale in fase seed. Lee definiva così l’oggetto della sua ricerca, cioè le startup che (appunto) sono valutate più di un miliardo di dollari. Specificando che erano solo lo 0,07 per cento del totale. Nel 2022 invece, tale percentuale si è abbassata ancora, fino allo 0,00006 per cento. Insomma, è sempre più raro avvistare un unicorno. Ma bisogna dire che i valori assoluti crescono e, di conseguenza, anche le startup di successo sono sempre di più.
C’è da dire che la valutazione delle startup non è necessariamente basata sulle loro performance attuali, bensì su quelle che gli investitori si immaginano possano essere raggiunte in futuro. Per questo la speculazione, il rischio, la volatilità sono molto alti. La stessa lista delle startup unicorno non è scolpita nella pietra: confrontando quella di Cb Insights e quella di CrunchBase, si nota che i numeri sono diversi.
Quali sono gli unicorni (e i super-unicorni)
Alcuni unicorni operano in settori apparentemente lontani dalla vita quotidiana e dal consumatore finale, ad alta intensità di tecnologia o di capitale. Altri sono entrati nella nostra quotidianità permeandone ogni aspetto: è proprio la loro diffusione trasversale a forgiare il loro successo. Pensiamo ad Airbnb, la piattaforma online che mette in contatto proprietari di casa con persone che cercano affitti anche brevi. La crescita è stata potente e l’ex startup unicorno è ora quotata in Borsa. Anche Facebookha una capillarità enorme: per accedere ai suoi servizi bastano un dispositivo, telefono o computer, e un accesso a internet. La sua valutazione, pari a oltre 100 miliardi, è talmente fuori scala che Lee la ha definita come super-unicorno e l’ha esclusa dalla sua analisi, perché l’avrebbe falsata.
Quello che Lee chiamava super-unicorno, cioè una startup con una valutazione di 100 miliardi di dollari, oggi è più conosciuto come hectocorn. A metà strada troviamo il decacorn che vale dieci volte un unicorno, ovvero 10 miliardi. Il vocabolario negli anni si è sempre più arricchito con parole ad hoc, e ora possiamo sentire parlare di soonicorn, una startup che presto (in inglese soon) ci si aspetta possa diventare unicorno, oppure minicorn, un potenziale unicorno che ha una valutazione superiore al milione.
Nel momento in cui scriviamo, l’unicorno con la valutazione più elevata (140 miliardi di dollari) è Bytedance, una tech company che possiede diverse piattaforme di intrattenimento tra cui TikTok. Nonostante la complessa crisi mondiale dovuta alla Covid-19 e alle difficoltà delle catene di approvvigionamento, il 2021 è stato un anno particolarmente proficuo per gli unicorni, con una raccolta di 70 miliardi di dollari nel mese di novembre. Il valore è poi crollato ma il settore resiste, come dimostrano i dati di Crunchbase citati anche dal World economic forum.
Cosa hanno in comune le startup che hanno sfondato
Un sito di business analysis, Embroker, ha definito le caratteristiche comuni delle startup che sono diventate unicorni. Non possiamo dire che siano condizioni sufficienti e nemmeno necessarie, però di sicuro possono indicarci un trend.
Tech-savvy: conoscono bene la tecnologia e la sfruttano al meglio. Fanno leva sulle potenzialità offerte dagli strumenti digitali per l’automazione, la condivisione in cloud, l’analisi e il calcolo.
Disruptive: sanno sconvolgere il mercato, ribaltare il modo in cui si fanno le cose, e inventano soluzioni innovative e accessibili.
Centrate sul consumatore: offrono prodotti che risolvono i problemi del consumatore e soddisfano i suoi bisogni.
Efficienti: utilizzano il “minimum viable product” per testare il mercato. Ciò significa che progettano un prodotto dotato di alcune caratteristiche minime irrinunciabili, lo sottopongono ai potenziali consumatori e poi lo migliorano attraverso un processo di test e affinamento.
Orientate alla crescita: hanno una visione che mira alla crescita e un piano per ingrandirsi.
Questa non è l’unica e sola ricetta per il successo, così come non esiste una sola ragione per il fallimento. Il mistero degli unicorni, quindi, resiste.