Soia, carne, olio di palma, legno, cacao, caffè: questi prodotti spesso sono l’esito della deforestazione. L’Unione europea non vuole più esserne complice.
La deforestazione non è mai un fenomeno isolato. Gli studi ci dicono che, nel 73 per cento dei casi, i polmoni verdi delle aree tropicali e subtropicali vengono incendiati, disboscati e distrutti per fare spazio alle coltivazioni. E i frutti di quelle coltivazioni vengono esportati e finiscono a casa nostra, in Europa. Le istituzioni dell’Unione non vogliono più rendersi complici di un simile sfacelo ambientale e, per questo, stanno lavorando a una legislazione che potrebbe rappresentare un forte deterrente.
Cosa prevede la proposta di legge europea sulla deforestazione
Già a ottobre 2020 il Parlamento europeosi era espresso in modo chiaro, pubblicando un documento rivolto alla Commissione, il braccio esecutivo dell’Unione. La richiesta? Imporre alle aziende di dimostrare che i prodotti che mettono in vendita in Europa non abbiano contribuito, più o meno direttamente, alla deforestazione e a violazioni dei diritti umani. La Commissione sembra aver risposto positivamente all’appello, tant’è che gli sviluppi sono attesi già entro la fine di dicembre 2021. Il principio è quello della due diligence: l’azienda in futuro dovrà rendere conto non solo di ciò che fa in prima persona, ma anche di tutto ciò che succede lungo la sua filiera.
Verso lo stop alle materie prime ricavate distruggendo le foreste
L’organizzazione non profit Eurogroup for animals, che appoggia con convinzione la proposta, svela qualche dettaglio in più. Il perimetro è ristretto ai prodotti più legati alla deforestazione, come olio di palma, legno, cacao, caffè, carne di manzo e soia. Si ipotizza di suddividere i paesi di provenienza in tre categorie: per i territori a minor rischio basteranno controlli più basilari, mentre per quelli più critici serviranno ispezioni approfondite.
🚨Over 100 new major fires were recorded in the Amazon this past week, and over 2,000 fires so far this #BurningSeason. Deforestation for commodity production is the leading cause of Amazon fires. The solution? Strengthening environmental monitoring and Indigenous rights! pic.twitter.com/mana5HyP3P
Se emergerà che quello specifico prodotto (per esempio l’olio di palma) è stato ricavato dopo aver raso al suolo le foreste, le sue importazioni saranno bloccate o soggette a forti restrizioni. E potrebbe non trattarsi di episodi sporadici. Secondo alcuni studi, alla deforestazione illegale è collegato rispettivamente il 17 per cento della carne bovina che l’Europa importa dal Brasile e il 20 per cento della soia utilizzata nel nostro Continente.
Preoccupano i dati sulla deforestazione in Amazzonia
L’iter legislativo richiederà ancora tempo ma, intanto, è stato lanciato un segnale. Un segnale di cui si sente fortemente il bisogno, considerate le notizie in arrivo dall’Amazzonia. La ong Imazon, che monitora il territorio via satellite, fa sapere che ad agosto la superficie disboscata è pari a 1.606 chilometri quadrati, poco più dell’area metropolitana di Londra. Negli ultimi dieci anni non era mai stato registrato un dato del genere nel mese di agosto; rispetto al 2020, l’aumento è pari al 7 per cento. Da gennaio ad agosto l’Amazzonia ha perso 7.715 chilometri quadrati di foresta, con un’impennata del 48 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020.
Il 29 ottobre 2018, le raffiche di vento della tempesta Vaia hanno raso al suolo 40 milioni di alberi in Triveneto. Una distruzione a cui si sono aggiunti gli effetti del bostrico, che però hanno trovato una comunità resiliente.