Investimenti sostenibili

L’università della California farà a meno degli investimenti nei combustibili fossili

Il più grande sistema di università pubbliche d’America ha deciso di sbarazzarsi dagli investimenti in carbone e petrolio: sono un rischio, anche economico.

Si allarga la squadra di università che smetteranno di investire i loro soldi nei combustibili fossili. L’ultimo acquisto è un fuoriclasse: l’università della California, il più grande sistema di atenei pubblici d’America. L’annuncio è stato diramato martedì 24 settembre.

Carbone e petrolio? Un rischio finanziario

La decisione assume un peso ancora maggiore perché l’università della California è costituita da dieci campus – tra cui Berlekey, San Diego, Los Angeles e Davis –, conta oltre 280mila studenti e dà lavoro a 227mila persone, tra docenti e staff. I numeri in gioco, quindi, sono davvero rilevanti: il fondo pensione gestisce 70 miliardi di dollari, le dotazioni finanziarie sono pari a 13,4 miliardi di dollari. Entro la fine di settembre, in entrambi i portafogli non ci saranno più le azioni di nessun’azienda coinvolta nell’estrazione di combustibili fossili.

Al momento l’università investe circa 150 milioni di dollari in duecento big del carbone, del gas e del petrolio. La lista di quelle che verranno tagliate fuori, però, sarà ancora più ampia.

“Crediamo che dipendere dai combustibili fossili sia un rischio finanziario”, si legge nell’editoriale sul Los Angeles Times a firma di Jagdeep Singh Bachher e Richard Sherman, responsabili delle politiche di investimento dell’ateneo. Le motivazioni, quindi, sono più economiche che ambientali.

Tutte le università che tagliano i fondi ai combustibili fossili

Il movimento per disinvestire dai combustibili fossili ha fatto molta presa in ambito accademico. Nel corso dell’estate ha aderito anche l’università di Liverpool, che fino a luglio 2018 foraggiava carbone e petrolio con circa 9 milioni di sterline. A fine agosto è stato il turno della fondazione dell’università di Auckland, che gestisce un portafoglio da 224 milioni di dollari e promette di diventare fossil free entro dicembre 2020.

Ad oggi però mancano ancora all’appello nomi prestigiosi come Harvard e Yale. La prima, pur essendo all’avanguardia nella ricerca scientifica sui cambiamenti climatici, non ha desistito nemmeno di fronte alla lettera aperta firmata da trecento membri della facoltà. Yale invece contesta le ragioni del movimento per il divestment, ritenendo che spetti alle istituzioni (nazionali e sovranazionali) farsi carico dell’emergenza climatica.

studenti università di Edimburgo
Una manifestazione degli studenti dell’università di Edimburgo © Ric Lander / 350.org

Il movimento Fossil Free macina traguardi

Anche al di fuori delle aule, ormai da diversi anni gli attivisti tengono fanno pressione su banche, fondi pensione e compagnie di assicurazione, affinché taglino i ponti con un’industria che minaccia le sorti del Pianeta e delle future generazioni. Secondo una stima del movimento Fossil Free, questo appello è stato raccolto ormai da 1118 investitori istituzionali in 48 paesi, che gestiscono complessivamente 11mila miliardi di dollari. Rispetto al 2014, quando erano in gioco “soltanto” 52 miliardi di dollari, si tratta di un aumento clamoroso, pari al 22mila per cento.

 

Foto in apertura © Erik Eckel / Flickr

 

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