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I laureati in Italia sono aumentati ma restano sempre pochi rispetto al resto d’Europa. Lo sottolinea il primo rapporto biennale sullo stato del sistema dell’università e della ricerca realizzato dall’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur) e presentato questa mattina a Roma al ministro Stefania Giannini. Tra il 1993 e
I laureati in Italia sono aumentati ma restano sempre pochi rispetto al resto d’Europa. Lo sottolinea il primo rapporto biennale sullo stato del sistema dell’università e della ricerca realizzato dall’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur) e presentato questa mattina a Roma al ministro Stefania Giannini.
Tra il 1993 e il 2012 la quota dei laureati sulla popolazione in età lavorativa è salita dal 5,5 al 12,7 per cento e quella tra i giovani fra i 25 ed i 34 anni è passata dal 7,1 al 22,3 per cento. Questo non basta a farci progredire in Europa. Nel 2012, all’interno dell’Unione europea c’erano in media oltre 35 laureati ogni 100 abitanti tra i 25 ed i 34 anni, contro il 22,3 per cento dell’Italia. Una delle principali cause di questo divario, spiega il rapporto, è l’assenza nel nostro Paese di corsi di carattere professionalizzante che, nella media europea, rappresentano circa un quarto dei giovani in possesso del più elevato titolo di istruzione.
Gli studenti che intraprendono un corso di primo livello universitario senza concluderlo sono tantissimi: quasi il 40 per cento. le cose vanno meglio nei corsi a ciclo unico, dove la percentuale di laureati è pari al 63,2 per cento dopo nove anni dall’iscrizione e nei corsi di laurea di secondo livello dove si sale a circa l’80 per cento. Inoltre, spiega ancora il rapporto Anvur, il tempo medio per il conseguimento del titolo nei corsi di primo livello, cioè la laurea triennale, è pari a 5,1 anni, ovvero circa il 70 per cento in più rispetto alla durata legale del corso. È invece minore il ritardo per le lauree di secondo livello, cioè quelle magistrali che durano due anni: 2,8 anni in media.
Esiste anche una grossa differenza tra atenei del Nord e atenei del Centro-Sud nei quali la regolarità è nettamente inferiore a quelli settentrionali. Al Nord dopo due anni gli studenti conseguono un più elevato numero di crediti formativi e gli studenti completano gli studi nei tempi previsti nel 43 per cento dei casi contro il 23-27 per cento nel mezzogiorno e in centro Italia. Gli studenti fuori corso costituiscono il 35 per cento del totale contro il 45-47 per cento negli atenei del Mezzogiorno.
Anche nella ricerca – a livello nazionale – la spesa italiana è tra le più basse delle grandi economie industriali. Il divario è in realtà dovuto anche alla mancanza di investimenti delle aziende private, la metà di quella che è la media europea, ma anche le risorse pubbliche sono inferiori alla media Ue e non compensano il ritardo del settore privato dato che sono pari a circa lo 0,52 per cento del pil, ossia lo 0,18 per cento in meno rispetto alla media Ocse. Lo 0,18 per cento in meno di risorse pubbliche, sottolinea il rapporto, sembra cosa di poco conto in quanto “si tratta solo di alcuni decimi di punto di differenza ma corrispondono a circa 3 miliardi di euro”.
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