La finanza ha la fondamentale responsabilità di traghettare i capitali verso la transizione energetica. Se ne è discusso al Salone del Risparmio 2022.
L’università di Yale non investirà più nei venditori di armi
Dopo la sparatoria a Parkland, in Florida, l’università di Yale promette di non investire più nemmeno un dollaro in chi commercia o promuove le armi.
Dopo le tragiche conseguenze delle stragi armate nelle scuole, non possono certo essere le università a foraggiare – più o meno direttamente – il business delle armi. È questo il motivo che ha portato l’università di Yale a prendere una storica decisione, annunciata ad agosto: d’ora in poi, nemmeno un dollaro dei suoi fondi verrà investito nei rivenditori di armi da fuoco.
Yale taglia i fondi a chi commercia armi
L’università di Yale non ha bisogno di presentazioni. Fondata nel 1701 a New Haven, nel Connecticut, è al dodicesimo posto nella Classifica accademica delle università mondiali (Arwu). È l’ateneo in cui si sono laureati, tra gli altri, diversi presidenti degli Stati Uniti (Bush padre e figlio, Bill Clinton, Gerard Ford, William Howard Taft), decine di premi Nobel e Pulitzer, scienziati (da Samuel F. B. Morse, inventore dell’omonimo codice, a Francis Collins, che ha decifrato il genoma umano) e volti noti dello spettacolo, come Edward Norton e Jodie Foster.
Yale è anche la seconda università più ricca negli Usa e possiede un fondo di investimento che, secondo Bloomberg, ha un volume di circa 27,2 miliardi di dollari. Il suo consiglio di amministrazione, accogliendo una richiesta nata dall’interno, a fine agosto ha ufficializzato una decisione netta: questi soldi non verranno più investiti nei venditori di armi, né tantomeno in tutte quelle attività che ne promuovono l’uso o organizzano fiere e manifestazioni a tema.
Yale’s endowment won’t invest in retail outlets that market and sell assault weapons to the public https://t.co/kWtUc6nZgR
— Bloomberg (@business) 22 agosto 2018
La ferita aperta delle sparatorie nelle scuole
Molte altre università, negli ultimi anni, hanno deciso di orientare i propri investimenti verso la sostenibilità. Sempre più comune, per esempio, è la scelta di abbandonare i produttori di combustibili fossili. Anche i gestori del fondo della stessa Yale, nel 2016, hanno dichiarato di aver ceduto investimenti pari a circa 10 milioni di dollari perché “non coerenti con i loro principi”.
Leggi anche: March for our lives a Londra, gli studenti: saremo l’ultima generazione a combattere le sparatorie nelle scuole
In questo caso, il tema all’ordine del giorno è un altro. “Il bilancio, in termini di vite umane, dovuto alle sparatorie nel nostro paese è profondamente tragico”, dichiara l’università di Yale tramite una nota. Chi vende armi da fuoco al pubblico – mette nero su bianco il comitato consultivo – è quindi responsabile di “gravi danni sociali”. È da sottolineare il fatto che il divieto non riguarda i produttori di armi, scelta giustificata con il fatto che queste ultime possono essere usate anche da forze dell’ordine e militari.
Leggi anche: Proviamo a capire il rapporto tra Stati Uniti e armi da fuoco, per quanto possibile
“Yale si dedica alla ricerca, agli studi accademici e all’educazione per migliorare il mondo. Ciò richiede un ambiente in cui insegnati e studenti sono al sicuro dalla violenza da armi da fuoco e non hanno motivo di temerla”, continua il comunicato.
Evidente il riferimento alla strage avvenuta lo scorso 14 febbraio alla scuola superiore Marjory Stoneman Douglas di Parkland, in Florida. All’epoca era stato il diciannovenne Nikolas Cruz, espulso dall’istituto per motivi disciplinari, ad aprire il fuoco uccidendo 17 ragazzi. Un bilancio pesantissimo, che ha riaperto il dibattito sul tema del possesso di armi negli Usa. Purtroppo, questa tragedia non è isolata: secondo le stime dell’associazione Everytown for Gun Safety, nei primi cinque mesi e mezzo di quest’anno si sono verificate addirittura 42 sparatorie nei campus statunitensi.
Foto in apertura © Thomas Autumn / Flickr
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Il Green Deal europeo e i piani di ripresa post-Covid incideranno sulla finanza sostenibile? L’abbiamo chiesto a Davide Tentori, ricercatore dell’Ispi.
Servono investimenti immensi per realizzare gli Sdgs, ma il percorso è tracciato. Ne abbiamo parlato con Francesco Timpano di Asvis.
Il Pnrr potrebbe aprire una stagione diversa per gli investimenti a impatto nel nostro paese. Parola di Giovanna Melandri, presidente di Human foundation e Social impact agenda per l’Italia.
Cos’è un investimento responsabile? Come può il risparmiatore orientarsi in un panorama sempre più articolato? Ecco una breve guida.
La finanza sostenibile cresce, ma il nostro Pianeta resta in crisi. Eurosif, il Forum europeo per gli investimenti sostenibili e responsabili, propone alcune vie d’uscita.
Entro il 2026 l’Unione europea emetterà 250 miliardi di euro in obbligazioni verdi per finanziare le iniziative previste dal piano Next Generation Eu.
La finanza sostenibile crea valore nel lungo periodo, sia per l’investitore sia per il Pianeta e la società. Un approccio che riscuote sempre più successo.
La ripresa post-Covid è un’opportunità da non perdere per rendere più sostenibile la nostra economia. Anche grazie alla finanza etica.