Dal mischiglio della Basilicata alla zucca malon del Friuli al cappero di Selargius, in Sardegna: i presìdi Slow Food che valorizzano prodotti dimenticati, ma di fondamentale valore per la biodiversità, il territorio e le comunità.
L’etichetta delle uova
Ogni italiano consuma, in media, circa 220 uova all’anno. Le sappiamo cucinare, ma le sappiamo anche leggere? Ecco come decifrare i codici, per evitare veleni, forzature e diossine varie.
Lo scandalo dei mangimi convenzionali tedeschi alla diossina
(molto simile a quello analogo dei polli e dei prosciutti belga del
1998) ha determinato un significativo aumento dei consumi di
prodotti biologici in Germania, tanto che per alcuni prodotti il
sistema produttivo e distributivo nazionale non è più
in grado di soddisfare la domanda. Un sondaggio dell’Istituto Emnid
di questi giorni ha rilevato che quasi un terzo dei consumatori non
si fida più dei prodotti convenzionali e acquista solo
quelli biologici. A voltare ancora di più le spalle ai
prodotti dell’agricoltura e dell’allevamento convenzionali sono le
persone con più di 65 anni, il 44% delle quali intende d’ora
in poi acquistare solo prodotti biologici.
Il metodo di produzione biologico
Controllato e
certificato da un sistema riconosciuto a livello internazionale, il
bio è una garanzia perché non prevede l’impiego di
farine animali, di additivi chimici e di farmaci di sintesi
nell’alimentazione dei capi. Una caratteristica questa che permette
di evitare a monte l’attuale questione della contaminazione da
diossina, permettendo così ai consumatori di poter scegliere
tra prodotti sicuri e garantiti.
L’Italia è leader in Europa per la produzione di uova
biologiche e secondo le elaborazioni di FederBio circa il 15% della
produzione italiana viene esportata in Germania, con un incremento
nelle ultime settimane di oltre il 70%. Questa significativa
percentuale di aumento è dovuta in buona parte, secondo la
Federazione, alla creazione di nuovi allevamenti di galline ovaiole
anche da parte di importanti operatori del settore avicolo
nazionale che finora non avevano avviato programmi di produzione
biologica, dunque la situazione del mercato tedesco sta
determinando una ricaduta positiva sul settore bio italiano.
L’etichetta delle uova è il
guscio
Dal primo gennaio 2004 è entrato in vigore in Italia il
sistema di marchiatura delle uova con l’obbligo di indicare la
provenienza e il metodo di allevamento adottato, per garantire la
trasparenza nel percorso dal pollaio alla tavola e consentire
acquisti consapevoli ai consumatori. La normativa comunitaria sulle
uova è stato un importante passo in avanti per rispondere
alla domanda di trasparenza di imprese e consumatori (secondo le
indagini, l’80%) che chiedono di poter conoscere l’origine degli
alimenti acquistati soprattutto di fronte ai continui scandali
alimentari riguardanti i prodotti animali. Dopo l’etichettatura di
origine della carne bovina per far fronte alla crisi mucca pazza,
gli obblighi di legge sull’esposizione al pubblico di cartelli con
origine, varietà e categoria della frutta e verdura e
l’impegno assunto con Decreto ad indicare nelle etichette del latte
commercializzato il luogo di provenienza degli allevamenti di
origine del latte fresco impiegato, era arrivato anche l’obbligo di
etichettatura dal campo alla tavola per le uova.
Come si legge l’etichetta
Nell’etichettatura e marchiatura delle uova è indicato
un codice con il numero distintivo del produttore, il metodo di
allevamento (all’aperto, a terra, in gabbia) e la provenienza (IT
per Italia). Nell’imballaggio è facoltativo indicare anche
il sistema di alimentazione.
Il voto più alto… è
0
Ogni singolo uovo deve avere una sua tracciabilità,
l’indicazione di come è vissuta e cosa ha mangiato la
gallina che l’ha deposto. Ogni uovo riporta un codice stampigliato
con inchiostro alimentare – un carattere numerico da 0 a 3
(0=biologico; 1=ovaiola all’aperto con 2,5 mq.di spazio a
disposizione; 2=ovaiola a terra in un capannone con nove ovaiole
per ogni mq di spazio; 3=ovaiola in gabbia). Poi due lettere sigla
della nazione di produzione (IT: Italia); tre caratteri numerici
indicativi del codice Istat del Comune del sito produttivo; due
lettere indicative della provincia e caratteri numerici indicanti
l’azienda.
Facile tenere a mente la cosa più importante. È il
primo numero, che indica la modalità di allevamento delle
ovaiole:
0 = da agricoltura biologica: per legge, con doppi controlli,
galline allevate nel pieno rispetto delle loro caratteristiche
naturali.
1 = allevate all’aperto
2 = allevate a terra
3 = allevate in gabbia
Quindi la prima cifra è basilare: lo zero o l’uno sono
da preferire. È bene rimarcare anche la distinzione tra
allevate “all’aperto” = 1 e allevate “a terra” = 2. Allevate “a
terra” significa solo che le ovaiole vivono in capannoni con
pavimento di cemento ricoperto da pula di riso e in un
sovraffollamento da nove galline a metro quadro, illuminate con
luce artificiale e non vedranno mai il sole.
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