Dal mischiglio della Basilicata alla zucca malon del Friuli al cappero di Selargius, in Sardegna: i presìdi Slow Food che valorizzano prodotti dimenticati, ma di fondamentale valore per la biodiversità, il territorio e le comunità.
L’uovo è di Pasqua, non di palma
L’acquisto di un uovo di Pasqua di cioccolato può essere fatto responsabilmente, senza contribuire a deforestazione e sfruttamento. Ecco la classifica delle aziende sostenibili.
La rivista Ethical Consumer e l’organizzazione non governativa Rainforest Foundation UK hanno creato una classifica di oltre 70 marchi basata sulla provenienza dell’olio di palma usato per la produzione della cioccolata di cui sono fatte le uova che vengono commercializzate durante le feste di Pasqua.
L’olio di palma spesso viene prodotto deforestando ampie aree ricchissime di biodiversità che fanno parte di foreste pluviali primarie – cioè mai sottoposte allo sfruttamento dell’uomo – in Indonesia e altri paesi del Sudest asiatico. Alcune multinazionali stanno pensando di trasferirsi anche in Africa, nel bacino del fiume Congo mettendo a rischio le foreste di paesi quali Gabon e Repubblica Democratica del Congo.
La campagna è nata dall’esigenza di colmare una lacuna normativa a livello europeo per cui fino a dicembre 2014 non è
obbligatorio scrivere nell’etichetta del prodotto la presenza e la provenienza specifica dell’olio di palma che viene usato anche per altri tipi di dolci oltre alle uova di cioccolato, come biscotti e barrette. Attualmente è obbligatoria solo la dicitura generica “oli vegetali” nel caso fossero presenti. Anche se il cioccolato migliore è quello puro, che non contiene
grassi vegetali.
Nella classifica ci sono aziende che sono presenti solo sul mercato britannico, tra queste segnaliamo quelle che hanno raggiunto il punteggio migliore perché hanno risposto, e in modo soddisfacente, al sondaggio sottoposto da Ethical Consumer e Rainforest Foundation: Divine Chocolate e Booja Booja hanno dichiarato di non aver mai fatto uso di olii tropicali. Al contrario tra le peggiori ci sono multinazionali note anche ai consumatori italiani come Ferrero (per prodotti quali Tronky, Kinder Bueno e Fiesta), Mars (ad esempio Twix e Bounty) e Nestlé (tra gli altri per il Kit Kat e gli Smarties).
Secondo Chiara Campione, responsabile della campagna foreste di Greenpeace Italia, nel 2007 proprio la Ferrero si era data come traguardo quello di “raggiungere in quattro anni l’obiettivo del 100 per cento di olio di palma sostenibile entro il 2015”. Sempre secondo i dati di Greenpeace Italia, attualmente l’azienda italiana consuma circa 140mila tonnellate di olio certificato proveniente dalla Malesia (in particolare da Malacca) e dalla Papua Nuova Guinea.
Coop Italia, invece, nel 2009 ha chiesto a tutti i fornitori di sospendere l’approvvigionamento di olio di palma indonesiano fino a quando non saranno disponibili garanzie concrete sulla coltivazione e la gestione sostenibile, anche in seguito ad alcune revoche di concessioni in Indonesia.
Fino a quando non entrerà in vigore la legge bisognerà porre maggiore attenzione all’etichetta per scegliere in modo
consapevole, ma per fortuna grazie al lavoro di ong ambientaliste e riviste di settore, è possibile informarsi sui comportamenti virtuosi adottati dalle aziende più grandi e famose, ma anche sulle alternative meno note.
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