L’America Centrale si prepara all’arrivo dell’uragano Iota, il trentesimo dall’inizio dell’anno. Fenomeni sempre più frequenti e violenti a causa dei cambiamenti climatici.
Sono passate appena due settimane da quando l’uragano Eta, di categoria 4, si è abbattuto sul Centroamerica con i suoi venti a 240 chilometri orari. Almeno 150 le persone che hanno perso la vita. 2,5 milioni quelle che hanno visto distruggere le loro case, i loro raccolti o le loro attività commerciali. Lo fa sapere l’ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha), che sta coordinando la distribuzione di migliaia di razioni alimentari, prodotti per l’igiene, litri di acqua potabile, mascherine e altri generi di prima necessità negli stati più colpiti. Primo fra tutti l’Honduras, seguito da Guatemala, El Salvador e Nicaragua. La popolazione non ha avuto nemmeno il tempo di riprendersi, e già deve affrontare una nuova minaccia: l’uragano Iota, che in queste ore avanza verso l’America centrale. Al momento è classificato in categoria 5, con venti a 257 chilometri orari, ma potrebbe abbattersi sulla costa con una violenza ancora maggiore, con un effetto “catastrofico”. È quanto si legge nel bollettino ufficiale della Noaa, l’Agenzia americana per gli oceani e l’atmosfera, che sta monitorando l’evoluzione degli uragani nell’Atlantico.
Trenta uragani nell’Atlantico in una sola stagione
Questa stagione di uragani nell’Atlantico sta assumendo dimensioni fuori dall’ordinario. Iota sarà il trentesimo dall’inizio dell’anno, battendo così il precedente record che risale al 2015, quando ne erano stati catalogati 28. Questo conteggio include soltanto quelli a cui viene assegnato un nome, poiché i loro venti superano i 62 chilometri orari.
Questi fenomeni non stupiscono solo per la loro frequenza ma anche per la loro intensità. “Nell’arco di 36 ore Eta si è evoluto da depressione a forte evento di categoria 4”, spiega al quotidiano Guardian Bob Bunting, alla guida dell’organizzazione no profit Climate adaptation center. “Semplicemente, non è una cosa normale”. “Si prevede che le acque degli oceani più calde, dovute ai cambiamenti climatici, rafforzino ulteriormente le tempeste più violente, portandole a intensificarsi rapidamente con maggiore frequenza e a un ritmo più elevato”, gli fa eco il meteorologo Jess Masters. “Questi fenomeni sono già stati osservati, in particolare nell’Atlantico, e nei prossimi decenni questo accadrà sempre più spesso”.
BREAKING: #Iota has reached wind speeds of 160 mph, making it the second Category 5 hurricane on record to ever occur in November. pic.twitter.com/u3ifhvOzw6
Gli uragani sono sempre più violenti anche a terra
Finora gli studi scientifici sull’influenza dei cambiamenti climatici si sono concentrati soprattutto su ciò che accade negli Oceani, dove le tempeste si formano, prendono forza e accumulano calore. Una ricerca pubblicata l’11 novembre su Nature apre un nuovo campo d’indagine potenzialmente promettente, esaminando ciò che succede quando toccano terra. Lin Li e Pinaki Chakraborty, dell’Istituto di scienza e tecnologia di Okinawa, hanno passato in rassegna i dati sui 71 uragani che si sono abbattuti sulle coste del Nord Atlantico tra il 1967 e il 2018. Cinquant’anni fa tipicamente avevano già perso i tre quarti della loro intensità dopo essersi abbattuti sulla costa da 24 ore. Oggi nello stesso arco di tempo perdono appena la metà della loro intensità. Stando agli scienziati, questo accade perché il riscaldamento globale ha fatto aumentare anche le temperature degli oceani, e il calore resta intrappolato anche quando l’uragano si è allontanato dalla sua fonte.
Per ora, sottolinea il New York Times, questa è un’ipotesi che merita ulteriori indagini. Non è da escludere infatti che il trend osservato dipenda anche da altri fattori, come le dimensioni del fenomeno. Ma senza dubbio ulteriori approfondimenti possono essere di aiuto per impostare al meglio le misure di prevenzione e soccorso, visto che è proprio a terra che si verificano i danni – talvolta drammatici – che coinvolgono la popolazione, gli edifici e le infrastrutture.
Finanza climatica, carbon credit, gender, mitigazione. La Cop29 si è chiusa risultati difficilmente catalogabili in maniera netta come positivi o negativi.