La finanza ha la fondamentale responsabilità di traghettare i capitali verso la transizione energetica. Se ne è discusso al Salone del Risparmio 2022.
Gli Stati Uniti vorrebbero finanziare una centrale a carbone in Vietnam con soldi pubblici, Friends of the Earth si oppone
Nel Delta del Mekong, in Vietnam, è in costruzione una grande centrale a carbone. E i contribuenti americani rischiano di doverla finanziare.
Gli Stati Uniti del presidente Donald Trump potrebbero finanziare una colossale centrale a carbone in Vietnam, che avrà conseguenze disastrose per l’ambiente e la salute delle persone. Come se non bastasse, potrebbero farlo con i soldi dei contribuenti. La ong Friends of the Earth chiama all’appello i cittadini, invitandoli a mobilitarsi in massa per evitare che ciò accada.
Long Phu-1 coal plant is environmentally ruinous — full stop. Join the 27K FOE members speaking out against it.https://t.co/LtDjQcIrjT pic.twitter.com/G5zkOlfCvA
— Friends of the Earth (@foe_us) 30 gennaio 2018
L’impatto del carbone nel Delta del Mekong
Nella provincia di Sóc Trăng, nella regione del Delta del Mekong, è in costruzione un gigantesco complesso formato da tre centrali a carbone. Quella nell’occhio del ciclone è la prima, Long Phu 1, la cui costruzione verrà ultimata nel corso di quest’anno. Sviluppata da una sussidiaria del gruppo PetroVietnam e progettata dalla multinazionale Black & Veatch, sarà una centrale da 1.200 MW, che richiederà ogni anno di importare circa 2 milioni e mezzo di tonnellate di carbone dall’Australia e dall’Indonesia. Per portare a termine il progetto serve un investimento di 1,59 miliardi di dollari.
Secondo BankTrack, il suo impatto ambientale potrebbe essere devastante. Con un volume annuo di emissioni pari a oltre 6 milioni di tonnellate di CO2, la centrale Long Phu 1 probabilmente sarà molto più inquinante rispetto a quanto indicato in fase di progettazione, non solo per l’aria ma anche per i fiumi del territorio.
The Long Phu-1 coal plant would violate vital health, safety, pollution prevention & biodiversity conservation policies.https://t.co/VKKvT6eGIw
— Friends of the Earth (@foe_us) 29 gennaio 2018
Cos’è la Ex-Im Bank e perché potrebbe entrare in gioco
Se questa storia vietnamita è arrivata sulle pagine dei quotidiani statunitensi è perché i proprietari dell’impianto hanno fatto richiesta per un sostegno da parte dalla Ex-Im Bank. L’istituto (il cui nome, per esteso, è Export-Import Bank of the United States) è stato costituito all’indomani della crisi del ’29, con la missione di incentivare il commercio estero statunitense. Non si tratta di una banca privata, ma di un’agenzia federale amministrata da un consiglio di cinque membri nominati dal presidente degli Stati Uniti. In altri termini, è finanziata con i soldi dei contribuenti americani. Al giorno d’oggi la Ex-Im Bank concede garanzie agli esportatori, eroga finanziamenti a chi importa dall’estero i prodotti statunitensi e copre a livello assicurativo i crediti all’esportazione: non è in concorrenza diretta con le banche private, ma si assume i rischi che loro non riuscirebbero a sostenere.
Tutti i motivi per non finanziare la centrale
Per ora nulla è deciso, precisa il New York Times, che ha dedicato un lungo articolo alla vicenda. Ma, se la proposta venisse accettata, i contribuenti americani finirebbero per accollarsi un rischio finanziario da milioni e milioni di dollari. E tutto questo per una centrale a carbone, insostenibile per definizione. Oltre ai problemi ambientali, entrerebbero in gioco anche delicate questioni di equilibri internazionali. Tra i finanziatori confermati della centrale Long Phu 1 infatti c’è anche una banca russa che nel 2014 – ricorda il New York Times – è stata sottoposta a sanzioni da parte del governo statunitense per via dell’intervento militare in Ucraina da parte del governo di Mosca.
Scommettendo ancora una volta sul carbone, gli Usa si rivelerebbero clamorosamente in controtendenza rispetto alla stragrande maggioranza degli Stati e delle istituzioni finanziarie del Pianeta. L’equivalente britannico dell’Ex-Im Bank, per esempio, ha già respinto al mittente la stessa richiesta. La Banca Mondiale, in corrispondenza del One Planet Summit di Parigi, ha promesso di non finanziare più a partire dal 2019 progetti di estrazione di petrolio e gas, di mettere nero su bianco il volume di emissioni dovute ai suoi progetti e di inserire a pieno titolo l’impatto ambientale nel novero dei suoi criteri di scelta.
Foto in apertura © Daniel Berthold / Wikimedia Commons
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