Il piano vaccini di Israele è un modello solo se non sei palestinese

Migliaia di vaccini vengono somministrati da Israele nei territori occupati illegalmente, ma solo ai coloni. Il popolo palestinese resta invece escluso.

Se c’è un paese che si sta prendendo il palcoscenico a livello globale nel piano di somministrazione dei vaccini, quello è Israele. Le persone vaccinate viaggiano già verso il milione e mezzo e in pochi mesi tutta la popolazione del paese potrebbe essere coperta. Eppure, mentre si esalta il modello israeliano e si cerca di imitarne il modus operandi, in migliaia ne restano esclusi per ragioni di tipo puramente politico. Si tratta dei palestinesi che vivono nei territori occupati, fino a oggi dimenticati dal piano vaccini del governo Netanyahu, che però fa arrivare migliaia di dosi ai coloni israeliani che si trovano sulle loro terre.

Il presunto modello israeliano

A poco più di una settimana dal vaccine day del 27 dicembre, Israele ha già dato la prima dose del vaccino Pfizer-BioNTech a circa 1,4 milioni di persone, vale a dire oltre il 12 per cento della sua popolazione. Si tratta di un dato molto distante da quello degli altri paesi del mondo, se si pensa che al 5 gennaio in Germania ci si ferma a circa 250mila persone, l’Italia viaggia intorno alle 150mila e in Francia addirittura non si arriva nemmeno a mille. 

Il successo israeliano deriva tanto dalla velocità con cui sono state acquistate quantità ingenti di vaccini, quanto dal modo altamente centralizzato con cui lo stato sta gestendo le somministrazioni, quanto ancora dall’alta tecnologia e digitalizzazione del paese e del suo sistema sanitario, che rendono più rapidi i processi. Nel paese vengono vaccinate circa 150mila persone al giorno, i tendoni restano aperti nelle piazze giorno e notte senza che esistano pause e la macchina procede così a ritmo spedito. L’obiettivo dichiarato dal governo è di arrivare in primavera a un’immunizzazione totale della popolazione, proprio quando si terranno le elezioni e il premier Benjamin Netanyahu potrà raccogliere i frutti di quanto seminato in questi mesi.

Eppure, lo stato che oggi tutti vorrebbero, divenuto in pochi giorni simbolo dell’efficienza sanitaria e della tutela della salute dei cittadini, si porta dietro una serie di ombre di natura politica. Mentre migliaia di dosi di vaccino vengono spedite nelle colonie illegali israeliane sul territorio della Palestina, il popolo arabo che qui vive legittimamente resta escluso dalla campagna di vaccinazione, a dimostrazione che quello israeliano è tutto tranne che un modello.

Vaccini poco etici

In questi giorni i camion israeliani colmi di dosi di vaccino sono arrivati in Cisgiordania e verso la striscia di Gaza, dove subito è iniziata la somministrazione ai circa 400mila coloni che occupano illegalmente il territorio. Ai 2,7 milioni di palestinesi, vicini di casa e legittimi occupanti di queste aree, è invece stato impedito l’accesso ai luoghi adibiti per la somministrazione, lasciandoli di fatto privi di copertura per un tempo che rischia di essere infinito. 

Il governo palestinese, con il suo scarso controllo del territorio e in perenne difficoltà finanziaria, è come ci si potrebbe immaginare molto indietro dal punto di vista dell’acquisto dei vaccini. Le dosi potrebbero arrivare grazie alla partnership guidata dall’Organizzazione mondiale della sanità Covax, che opera proprio per aiutare i paesi più poveri nei piani di vaccinazione e che si è impegnata a distribuire dosi al 20 per cento dei palestinesi. Ma il processo è molto lento dal momento che ancora non c’è stata l’autorizzazione e soprattutto sarà capace di coprire solo una piccola fetta di quella popolazione che oggi vede quotidianamente passare sul suo territorio migliaia di dosi a cui non può avere accesso. I funzionari israeliani hanno dichiarato di non essere responsabili delle sorti sanitarie del popolo palestinese, ma l’accusa che viene rivolta a Israele dall’autorità palestinese e più in generale dal consesso internazionale è quella di eludere agli obblighi morali e umanitari su un territorio in cui, da risoluzione della Nazioni Unite, è occupante illegittimo.

Che ci sia un problema di etica nella somministrazione dei vaccini non lo si scopre comunque ora. Nelle scorse settimane era emerso come il 53 per cento dei vaccini siano già andati al solo 14 per cento della popolazione mondiale, quella più ricca, mentre molti paesi in via di sviluppo restano a oggi sprovvisti. La stima è che mentre nei paesi industrializzati ogni cittadino potrebbe avere a disposizione fino a 5 dosi di vaccini, nelle nazioni più poveri dieci persone dovranno contendersi un’unica dose. Una soluzione a questo problema potrebbe venire da Cuba, dove i progetti vaccinali contro il Covid-19 in fase di sperimentazione clinica sono già quattro, tutti con la stessa caratteristica: hanno natura pubblica e, quando e se verranno approvati, saranno distribuiti gratuitamente nell’isola caraibica. A quel punto poi verranno estesi a tutto il mondo, puntando proprio quei paesi in via di sviluppo che, come la Palestina, non riescono ad avere accesso alle dosi troppo costose delle multinazionali farmaceutiche e al tempo stesso sono lasciati soli da chi, come Israele, potrebbe aiutarli.

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