Il disegno di legge è stato approvato in ultima lettura. Ora manca solo la firma del re che rappresenta un pro forma. Stessi diritti anche per le adozioni e l’eredità
Valentina Petrillo, storia di un’atleta
Valentina Petrillo è la prima atleta italiana transgender a partecipare a una gara internazionale. Ora è in corsa verso le Paralimipiadi.
Oltre ogni giudizio, oltre ogni critica e oltre ogni limite. È quanto risuonava nella mente di Valentina Petrillo durante il giro di pista della finale di venerdì 4 giugno dei 400 metri agli Europei paralimpici di atletica leggera di Bydgoszcz in Polonia: un giro di pista che per Petrillo, piazzatasi al traguardo al quinto posto, ha un doppio sapore: quello del nuovo record italiano nella categoria T13, ovvero ipovedenti senza guida al fianco, di 1’00”09 che abbassa di due decimi il precedente record nazionale che era sempre suo. E quello per cui è stata la prima atleta transgender a difendere i colori azzurri in una competizione internazionale.
Chi è Valentina Petrillo
Lo sport ha bisogno di essere sentito, pulsa nel cuore, cresce nei muscoli, scorre in ogni fibra. Se fa risplendere gli occhi, allargare il sorriso, e ribollire l’adrenalina nel sangue, allora è sport, chiunque tu sia, qualunque disciplina si pratichi e in qualunque genere ci si riconosca, questo è il credo di Valentina Petrillo, portacolori dell’Omero Bergamo, atleta ipovedente e prima donna transgender a difendere i colori azzurri in una competizione internazionale: “Correre con la divisa della nazionale da donna, dopo averlo fatto per molto tempo da uomo, ha significato coronare il mio sogno, un sogno che avevo sin da bambina. Mi aspettavo di conquistare una medaglia, ma torno a casa con una prestazione importante e un record italiano, anche se sarei voluta scendere sotto il minuto di gara”. Ma la presenza stessa in pista di Petrillo, in Polonia, è un successo: “Credo che il mio possa essere un segnale forte nella direzione del riconoscimento dei diritti delle donne e delle persone trans, sia in Polonia, un paese che porta avanti una vera e propria discriminazione di stato, sia in tutta Italia”.
Lo sport è un volano per i diritti delle persone trans
“Sta finalmente emergendo la mia figura di donna, oltre che di sportiva, che insieme ai risultati sulla pista racconta una parte del percorso di transizione che sto portando avanti dal 2017. Aver potuto correre quella gara è un grosso segnale di apertura e di inclusione”, spiega Petrillo. Sul documento di identità, ad oggi, ha segnato ancora il genere con cui è nata, quello maschile, ma in cui da tempo non si riconosce più. Il fatto che abbia corso nella categoria a cui sente di appartenere, quella femminile, non deve stupire: il Cio, il Comitato olimpico internazionale, nel 2003 ha previsto che potessero gareggiare donne transgender nella categoria femminile, ma solo a seguito un trattamento ormonale di almeno 2 anni.
Una svolta ulteriore è arrivata nel 2015, quando si è stabilito che un atleta che avesse i livelli di testosterone sotto la soglia di 10 nanomoli per litro per l’anno precedente alla competizione, anche se i suoi documenti avessero riportato ancora il genere di nascita, come nel caso di Petrillo, avrebbero potuto gareggiare: “È una scelta del Cio che comprendo e che rispetto moltissimo perché mi ha permesso di cimentarmi sportivamente con le altre donne. Resta il fatto che fisicamente ammetto che ne ho risentito tantissimo. Non ho intenzione di operarmi ad oggi, ma con le terapie per rientrare nei parametri di gara ho perso 12 secondi rispetto a quando correvo contro gli uomini e senza i vincoli di testosterone. Preferisco però essere una donna più lenta che corre i 400 metri, ma felice, rispetto all’essere un uomo più veloce ma triste, perché io amo correre e lo potrò fare nella categoria che sento più mia, ovvero quella femminile”.
Valentina Petrillo ha anche una risposta per chi sostiene che il ddl Zan, qualora venisse approvato in Italia, possa far nascere ingiustizie in campo sportivo: “Non credo sia vero: io e il risultato della mia gara in Polonia ne siamo una prova. Inoltre credo nel modo più assoluto che un uomo non possa svegliarsi la mattina e gareggiare con le donne, con atlete che si allenano da anni”.
Il successo di Petrillo in Polonia, anche se in pista correva da sola, è collettivo: perché a sostenerla c’erano anche la Fispes, ovvero la Federazione Italiana Sport Paralimpici e Sperimentali, che ha creduto in lei, come il suo gruppo sportivo di Bergamo Omero, la Uisp e il gruppo trans APS.
Valentina Petrillo: “Le battaglie per i diritti intrecciano la pista da corsa e la vita di ogni giorno”
“Finalmente, per la prima volta nella storia dello sport in Italia – spiega Milena Bargiacchi, vicepresidente di Gruppo Trans Aps – si sono aperte le porte di un’arena sportiva internazionale anche alle persone transgender, nel pieno rispetto dei parametri previsti dai regolamenti”. Resta il fatto che lo sport, come credeva anche Nelson Mandela, riesce spesso a farsi veicolo e promotore dei diritti prima che lo facciano le leggi: “Da tempo siamo impegnati per i diritti delle persone Lgbtiq+ nello sport – sottolinea invece Manuela Claysset, responsabile nazionale Uisp per le politiche di genere e i diritti -. Come Uisp diamo la possibilità alle persone che lo richiedono di acquisire un’identità “alias”, cioè essere riconosciute con un nome allineato al genere a cui si sentono di appartenere e differente dal sesso attribuito loro all’anagrafe. Così si supera una delle difficoltà che gli atleti trans possono riscontrare nello svolgimento dell’attività sportiva”.
Il tema dei diritti delle persone transgender esce anche dalla pista, perché è legato a filo doppio alla vita di tutti i giorni. In tante e tanti come Petrillo sono stati vittime di discriminazioni, insulti e violenze nella vita di tutti i giorni, in presenza o sui social: “Quello che mi fa più male è che i discorsi d’odio toccano oltre che me in quanto trans, la mia famiglia, quando ad esempio mi accusano di non essere un buon genitore perché ora sono una donna – racconta -, ma spero che con il ddl Zan, la società italiana possa essere più libera, più felice e con diritti uguali per tutti”. Anche di correre sulle piste d’atletica e sui campi sportivi.
Intanto il sogno di Valentina Petrillo, dopo il podio sfumato per poco in Polonia, non si ferma e correrà nelle prossime settimane sulle sue gambe: l’obiettivo infatti quello di partecipare alle Paralimpiadi di Tokyo con l’opportunità di migliorarsi ulteriormente e andare oltre ogni giudizio, oltre ogni critica e oltre ogni limite.
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