Donald Trump ha approfittato degli ultimi giorni alla Casa Bianca per avviare la vendita delle concessioni petrolifere in Alaska. Ma non tutto è perduto…
L’Arctic national wildlife refuge, uno scrigno di biodiversità in Alaska, è considerato l’ultima, grande regione selvaggia degli Stati Uniti. In primavera la piana costiera si popola di esemplari di caribù di Grant, una specie tipica del Nordamerica, pronti a dare alla luce i propri piccoli. Allo spettacolo che questi cuccioli dalle zampe sottili e dal pelo folto sono capaci di riservare segue, durante l’inverno, quello garantito dagli orsi polari. Un tempo allestivano le tane sul ghiaccio, ma dato che si è assottigliato per colpa del riscaldamento globale ora le costruiscono sulla terraferma. I brillanti occhi neri sapientemente incastonati sui loro musi bianchi scrutano il paesaggio. Gli orsetti non sanno cosa li attende.
Trump admin. announces that it has made final its plan to open up vast areas of once-protected Arctic Alaska territory to oil development. https://t.co/mbQQL15edT
Ad agosto del 2020, il presidente americano Donald Trump aveva dato la propria autorizzazione alle trivellazioni di gas e petrolio in Alaska. Ora sono state vendute le prime concessioni: 22 porzioni di terra per una superficie totale di oltre 400mila ettari, con contratti della durata di dieci anni. Qualcosa che non era mai accaduto nella storia e che gli oppositori speravano Trump non sarebbe riuscito a portare a termine prima della fine del suo mandato, prevista per il 20 gennaio con l’insediamento alla Casa Bianca di Joe Biden. Una decisione che invece si direbbe sia stata affrettata proprio per questo.
Le popolazioni indigene sono pronte a combattere per le loro terre
“L’amministrazione Trump ha portato a termine questa vendita di locazione nel mezzo di una pandemia globale e di una recessione economica, in assenza di qualsiasi prova reale che estrarre il petrolio dell’Arctic refuge avrebbe fornito significativi ritorni federali. Non sorprende che la gara abbia generato entrate significativamente inferiori al miliardo di dollari promesso dai sostenitori delle trivellazioni”, ha commentato una coalizione di organizzazioni che, insieme al popolo indigeno degli Gwich’in per cui l’area protetta, è “il luogo sacro dove inizia la vita”, la scorsa estate ha intentato una causa nei confronti del presidente uscente.
“La vendita di contratti di locazione sulla pianura costiera è la dimostrazione del disprezzo di questa amministrazione per i diritti umani, la scienza climatica e il procedimento pubblico. I popoli Gwich’in e Iñupiat sono stati i custodi dell’Artico e dell’Alaska per millenni e la vendita dei loro territori per il profitto delle corporations non tiene conto dell’eredità di quella gestione”.
Lo scarso successo dell’operazione, dovuto anche al fatto che operare in loco è molto costoso perché non ci sono strade né infrastrutture; la decisione di decine di banche di escludere nuovi finanziamenti per le trivellazioni e la volontà di Biden di contrastare i cambiamenti climatici e proteggere l’Alaska potrebbero far sperare che quest’area incontaminata resti tale.
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