Le serate al Circolo degli artisti e gli esordi di Calcutta, il “regolamento di conti” con Carl e Franco e il primo incontro con Ariete. E poi Giorgio Poi e il sogno di una discografia diversa. Il nostro podcast vola a Roma Est, per incontrare chi ha cambiato davvero le regole del gioco.
Da Roma, Bomba Dischi
Si parte con il rischio di farsi parecchio male su una scala inverosimilmente ripida, si finisce a mangiare carciofi tutti assieme in una trattoria storica di Roma Est. Siamo nella capitale, in zona Mandrione. I protagonisti di questo nuovo episodio del podcast prodotto da LifeGate Radio e Rockit si chiamano Brizio, Alessandro, Emmanuele, Davide. E poi ci sono Eleonora, Alberto, Francesco. E ancora Edoardo, Giorgio, Arianna, Franco, Alessio, Marco e molti altri. Assieme – chi dietro le quinte e chi sopra il palco – formano Bomba Dischi, una delle etichette che maggiormente ha contribuito a cambiare la discografia e il suono della musica italiana negli ultimi dieci anni. Se nella nostra serie di audiodocumentari – scritti da Dario Falcini, Giacomo De Poli e Marco Rip – valeva la pena fare un’eccezione, era per la label romana. A differenza delle altre – incentrate su artisti o band –, questa è una puntata collettiva, che racconta un progetto condiviso, un sogno (no, non è retorica), un’idea diversa dalle altre.
Nell’episodio, disponibile su tutte le piattaforme, torniamo a dieci anni fa. Un anno chiave, il 2012, quello che abbiamo messo al centro di questo episodio di Venticinque. Rievochiamo il primo incontro tra la futura squadra di Bomba Dischi, in una Roma 2010 vivissima e innovativa da un punto di vista musicale e culturale. Era il periodo del Circolo degli artisti, del DalVerme, del Fanfulla. Posti fondamentali, dove succedevano cose, si facevano incontri decisivi. Un patrimonio enorme, che, ahinoi, abbiamo disperso quasi per intero negli anni. “Nessuno di noi allora sapeva cos’era un’etichetta”, ci raccontava Davide, che prima di incontrare i futuri soci organizzava già eventi e faceva video. “La nostra volontà era più che altro quella di superare certe barriere geografiche e intellettuali”. All’inizio era tutto decisamente artigianale: “cd stampati senza bollino Siae, gli artisti che si pagavano il disco da sé, fino al 2016 non avevamo alcun tipo di contratto per gli artisti”. Era, come detto, un altro mondo. “Faceva ridere che ci chiamassimo Bomba Dischi”, aggiunge Alessandro. “Perché in quegli anni i dischi proprio non esistevano, non si vendevano. Noi siamo stati fortunati perché abbiamo anticipato alcuni degli aspetti legati alla digitalizzazione che sarebbero poi divenuti centrali dopo nella discografia”.
Lavoro e passione
All’inizio di soldi ce n’è pochissimi, lavori fatti a gratis invece un sacco. “Quando ti muovi sempre in bilico tra lavoro e passione, con la volontà di difenderla a ogni costo, c’è sempre l’idea che sporcare questa cosa con il business sia una cosa sbagliata. Poi arriva un momento che ti devi guardare attorno e capire cosa vuoi fare”. Questa di Venticinque è una puntata speciale e che pensiamo utilissima per comprendere dinamiche fondamentali per chi ama la musica e l’industria su cui si regge. Anche Emmanuele di Bomba Dischi entra nel discorso. “Noi fino a tre anni fa non avevamo un modello di business. Lavoravamo alla casaccius: anche dopo l’uscita di Mainstream non è che le cose fossero cambiate, c’è voluto molto più tempo per strutturarsi”. Il discorso è virato quasi automaticamente su Calcutta, l’artista che ha ha cambiato la storia di Bomba Dischi e quella del cosiddetto itpop. “C’erano questo pezzo, Cosa mi manchi a fare: a noi sembrava una cosa incredibile e lo dicevamo a tutti. In italiano allora non trovavamo roba che ci convinceva, invece c’era questo Edoardo che era un alieno totale. È stata fortuna totale incontrarci”, dice Brizio.
“Non eravamo mai scesi a compromessi, mai fatto del pop classico. Edoardo invece aveva tutto quello che piaceva a noi, compreso il suo uso dei social e un’estetica simile alla nostra. Noi sapevamo quello che voleva fare e lui quello che volevamo fare noi, e a entrambi andava bene. Questa cosa ci ha consentito di entrare nel mercato con le nostre regole, la nostra diversità”. Il podcast raccoglie quindi il racconto di un live diventato di culto, con la performance di Calcutta da sdraiato a Roma Brucia. Arrivano le parole e i preziosi ricordi dello stesso Edoardo, ospite di questa puntata assieme a Franco 126, altro nome di punta dell’etichetta, che con il suo disco Polaroid firmato con Carl Brave ha abbattuto numerosi steccati. “Li notammo scorrendo i commenti sotto un loro video: per la prima volta un progetto vagamente rap, per via di tematiche e flow, era pieno di commenti di ragazze”, dicono i ragazzi di Bomba. Sia loro che Franco ricordano il loro primo incontro, tra gente “dell’altra parte del Tevere”, in un locale scrauso a San Lorenzo. “C’era una tensione che pareva un regolamento di conti”, dice Franco 126. “Poi è finito tutto a tarallucci e vino: Bomba Dischi era perfetta per noi per l’attitudine che aveva”.
Ancora più “complicato”, ma altrettanto fruttuoso, è stato l’incontro con i due Psicologi e con Ariete, che all’epoca non erano nemmeno maggiorenni. “La prima volta che Arianna è venuta qua, ci ha suonato Amianto con una chitarra elettrica staccata. Magari faceva anche cose che già in parte c’erano, ma il suo messaggio arrivava chiarissimo”. È il momento di andare a pranzo, e per l’occasione ci raggiunge un altro artista che ha fatto un significativo pezzo del suo percorso assieme a Bomba Dischi: Giorgio Poi. “Le mie precedenti esperienze discografiche, all’estero, sono state tragiche: incomprensioni, ritardi, gente che si tirava indietro. Con loro, invece, sono entrato in un porto sicuro: il lavoro di Bomba Dischi è attenzione, ma anche sincerità e leggerezza”. Siamo pronti per ordinare: specialità della casa, semplicemente imperdibile, il carciofo.
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