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Viaggio a Capo Horn
Si chiama Samuel Gutierrez Vargas e di mestiere fa il guardiano del faro di Capo Horn, il lembo di terra più meridionale del Sud America. È un soldato dell’Armada de Chile, che se ne sta laggiù sulla punta estrema del continente americano, aggrappato a uno scoglio spesso avvolto nelle nebbie, di fronte a uno dei
Si chiama Samuel Gutierrez Vargas e di mestiere fa il guardiano del faro di Capo Horn, il lembo di terra più meridionale del Sud America. È un soldato dell’Armada de Chile, che se ne sta laggiù sulla punta estrema del continente americano, aggrappato a uno scoglio spesso avvolto nelle nebbie, di fronte a uno dei mari più tempestosi del pianeta. Samuel ha portato anche la propria famiglia a vivere con lui. Il Cabo de Hornos, secondo la denominazione spagnola, si trova nelle acque territoriali cilene e il guardiano del faro è il rappresentante della Marina di quel paese.
Per raggiungere la sua casa, dagli scogli battuti da una violenta risacca si sale una scala di centosessanta gradini di legno mezzo marcio, che dalla piccola baia in cui si sbarca conducono alla spianata sommitale dell’isola. Lo zodiac che ci ha condotto a terra è ripartito saltando sulle onde grigie e fiorite di spume alla volta della Stella Australis, la nave che da dicembre ad aprile percorre le acque tempestose intorno alla terra del Fuoco, sostando davanti al Capo.
Ecco Samuel, tutto vestito di nero con la divisa dell’Armada, compreso un basco appoggiato di traverso sulla testa. Non ha nulla dell’avventuriero sdoganato dal cinema. È un pacifico omone di una trentina d’anni, dalla faccia larga e sorridente e il vento patagonico che soffia come ogni giorno non pare turbarlo minimamente.
Capo Horn è un’isola dalla superficie piatta come un tavolato, che si alza da un lato in una specie di montagna ricoperta di un’erba gialla e folta. È stata dichiarata nel giugno del 2005 Riserva della biosfera dell’Unesco, ma è un posto inospitale come pochi altri: venti fino a 200 km all’ora e un’umidità con valori costanti fra il 70 e il 90%. In estate la temperatura si aggira sui dodici gradi, mentre in inverno precipita, ma l’acqua del mare ha una temperatura di due gradi tutto l’anno.
Con Samuel ci spingiamo fino al monumento di Capo Horn, che sorge sull’elevazione in faccia al faro. Si tratta di un gigantesco rombo metallico, in cui è scolpita la silhouette di un albatro: 120 tonnellate di ferro, capaci di resistere ai venti più impetuosi. È stato costruito per iniziativa della Cape Horn Captain’s International Brotherhood, la cui sede si trova a Saint Malo, in Francia, ed è stato inaugurato nel 1992. Accanto, la lapide in spagnolo con i versi di Sara Vial: «Io, l’albatro che vi attende / alla fine del mondo… / Io sono le anime dimenticate dei marinai morti / che hanno attraversato Capo Horn / provenienti da tutti i mari del mondo».
Il guardiano mi invita a prendere un tè in casa sua, che ha l’aspetto di una qualsiasi casa delle nostre città. Il turno di Samuel dura un anno a partire dal 1 dicembre. Il suo compito è di vigilare sul mare intorno al faro, controllare il traffico delle navi e assicurare il funzionamento delle luci lampeggianti di segnalazione.
Entrano due bambini: Anais, la ragazza, ha nove anni e Samuel, il maschietto, sette. Non ci sono scuole nel raggio di centinaia di chilometri e tocca alla moglie di Samuel insegnare qualcosa, in modo da consentire ai ragazzi di tornare nelle loro classi quando rientreranno alla scuola di Puerto Williams. Agli approvvigionamenti del guardiano e della sua famiglia provvede l’Armada de Chile e, grazie alla disponibilità di Cruceros Australis, ogni due settimane arriva qualche sacchetto di spesa fresca da Punta Arenas o da Ushuaia.
Fuori dalla finestra il mare dello Stretto di Drake ribolle feroce. Le onde qui possono essere alte venti metri. Ne sanno qualcosa le barche a vela che doppiano il capo, entrando a far parte di una scelta élite della marineria.
La radio gracchia. Ci chiamano dagli zodiac. Il mare sta montando e si teme di non riuscire a salpare per tornare a bordo della nave. Mentre ci allontaniamo sobbalzando sul mare grigio piombo, scorgiamo Samuel e i due bambini che ci salutano. Sembrano pupazzetti fragili, che il vento trascini in mare da un momento all’alto. Poi spariscono nella nebbia e riprende a piovere.
Da non perdere
Capo Horn è raggiunto dalla nave Stella Australis delle Cruceros Australis nel corso di una traversata che dura complessivamente quattro giorni, con visite ai ghiacciai e alla fauna della Terra del Fuoco. La partenza avviene da Punta Arena (Cile) o da Ushuaia (Argentina).
Buono a sapersi
A condurre a termine la prima esplorazione delle coste della Patagonia fu il navigatore spagnolo Hernando de Magallanes, noto da noi come Magellano, che nel 1520 scoprì la Terra del Fuoco e lo stretto che unisce l’Atlantico al Pacifico al quale sarebbe stato attribuito il suo nome. Italiano era il cronista che tramandò ai posteri la spedizione: Antonio da Pigafetta. Ma sarebbe spettato al corsaro inglese Francis Drake confermare nel 1577 l’insularità della terra del Fuoco, mentre la scoperta di Capo Horn si deve nel 1615 al navigatore olandese Jacob Le Maire, alla ricerca di una rotta alternativa allo Stretto di Magellano, dove occorreva pagare un pedaggio alla Spagna.
In età moderna le più famose spedizioni in queste regioni furono condotte a termine dal capitano Robert Fitz Roy. Nel 1826 scoprì il Canale di Beagle, dal nome della sua nave, e condusse in Inghilterra quattro abitanti degli arcipelaghi fuegini. Fondamentale per la storia della scienza la successiva spedizione dal 1831 al 1836, alla quale partecipò il naturalista Charles Darwin, l’inventore della Teoria dell’evoluzione delle specie.
Cosa ci piace
Darwin e Fitz Roy a Baia Wulaia
Rientrati nel dedalo di arcipelaghi del Canale Murray, sbarchiamo alla Baia Wulaia sull’isola Navarino. Qui il 23 gennaio 1833 il capitano Fitz Roy e il naturalista Charles Darwin incontrarono per la prima volta gli indigeni Yaghan. Le colline boscose spruzzate di neve e le isole che fronteggiano la costa creano una serie interminabile di minuscoli lagune, seni e golfi, dove gli Yaghan pescavano. Un edificio giallastro è quanto resta del centro studi sorto per ricordare la visita di Darwin, mentre più lontano su un’elevazione un cippo ricorda il passaggio della Beagle durante la sua crociera intorno al mondo.
Tra i fiordi della Terra del Fuoco
Il Fiordo Alakalufe è una fenditura strapiombante, che prende il nome dall’etnia che abitava queste selvagge terre. Qui la cordigliera delle Ande, che per migliaia di chilometri corre da nord a sud, muta direzione e si dispone lungo la linea dei paralleli, assumendo il nome di Cordigliera Darwin. Il mare verdastro è invaso di blocchi di ghiaccio, che galleggiano come frammenti di polistirolo alla deriva.
Il Parque Nacional Tierra del Fuego
Poco fuori Ushuaia i 63 mila ettari del Parque Nacional Tierra del Fuego, istituito nel 1960, danno un’idea della natura di questo estremo angolo della Patagonia, abitato dagli yamana e dagli onas. L’arrivo dei bianchi dopo il 1870 segnò la fine delle etnie che risiedevano in zona da 6500 anni. Dei 3500 indigeni del 1886, nel 1916 ne restavano 300. Oggi l’ultima yamana si chiama Cristina Calderon, vive a Puerto Williams e ha 87 anni. Al museo salesiano di Punta Arenas, in cui sono conservate molte immagini scattate dal mitico padre De Agostini durante le sue esplorazioni, è esposta una raccapricciante foto di Julius Popper, un avventuriero senza scrupoli che a nome degli estancieros portò a termine un vero e proprio genocidio degli indigeni.
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