Serena Giacomin, meteorologa, climatologa e presidente di Italian climate network, spiega le potenzialità e i limiti della meteorologia.
Siamo in Valle d’Aosta, nell’area protetta più antica d’Italia che quest’anno compie cento anni, il Parco nazionale Gran Paradiso, dove la natura domina selvaggia e la presenza dell’uomo non è invadente. I piccoli paesi si susseguono lungo la strada che finisce a fondo valle, per lasciare spazio alle rupi, alle cime e ai ghiacciai. O a quello che resta di questi. Mentre camminiamo, i sospiri si fanno pesanti. Non è la fatica, ma lo sconforto per la situazione che ci troviamo ad osservare: la crisi climatica. Il panorama che si apre davanti a noi è quello dei ghiacciai in sofferenza. Siamo venuti qui per documentare quello che accade negli ecosistemi di montagna, per capire l’entità del problema e per conoscere le azioni adottate dal parco per affrontarlo. Per questo abbiamo voluto parlare con persone che vivono e studiano questi luoghi da anni, e che hanno dedicato la propria vita e la propria attività di ricerca alla loro protezione. Qui il concetto di resilienza passa infatti dallo studio, dal monitoraggio e dalla conservazione.
La seconda tappa dello Ioniq 5 climate tour, che ha l’obiettivo di raccontare storie di resilienza, parte da qui. Il viaggio, come sempre, si svolge a bordo di un’auto elettrica, scelta che permette di ridurre le emissioni di CO2 e di abbattere l’inquinamento acustico, nel rispetto della fauna.
Come stanno i ghiacciai del Parco nazionale Gran Paradiso
Il primo obiettivo del nostro viaggio è tentare di capire cosa accade ad alta quota. Il Parco nazionale del Gran Paradiso, noto per le storie di conservazione di grande successo come quella del camoscio, ospita 57 ghiacciai. Non è difficile crederlo, considerato che solo il sei per cento del suo territorio è al di sotto dei 1.500 metri e più della metà si estende al di sopra dei 2.500 metri. Eppure, potrebbero scomparire tutti a causa del riscaldamento globale in atto, evidente più che mai con le temperature estreme e la siccità dell’estate che si è da poco conclusa. Le ricerche degli scienziati, infatti, ci rivelano che il trend attuale delle temperature non è compatibile con l’esistenza dei ghiacciai al di sotto dei 3.500 metri: quelli che ora si trovano al di sotto di questa quota, sono destinati a scomparire entro il 2050.
Provo tremenda tristezza. Soprattutto quando guardo il Gran Paradiso che è la montagna di tutti quelli che sono nati in queste valli. La conosco abbastanza bene ed è triste. È una lenta agonia, è come vederlo un po’ morire. Di fatto, è come morire un po’ anche noi.
Le temperature estreme che perdurano dalla fine della primavera ad oggi – lo zero termico a metà luglio si è mantenuto attorno ai 3.600 metri, a volte anche a 3.800, come la vetta del monte Bianco – seguono un inverno estremamente secco in cui le precipitazioni sono state scarse e, di conseguenza, scarsi sono anche gli accumuli nevosi. Sul Gran Tetret, uno dei ghiacciai del Parco, quest’anno si è registrato un accumulo di neve medio di soli 127 centimetri. Il risultato è che la poca neve accumulata si è già sciolta e che a valle non arriva acqua. Quelle che si stanno sciogliendo ora sono le riserve di ghiaccio millenario. È qui che capiamo la frase che hanno completato a vicenda l’ispettore del corpo di sorveglianza Stefano Cerise e il guardaparco Alberto Rossotto: “Qui ci mangiamo il passato. E ci giochiamo il futuro”.
I ghiacciai sono le nostre riserve d’acqua. La loro ritirata e scomparsa causata dai cambiamenti climatici ha effetti sull’ecosistema montano quanto sulla vita che si trova a quote più basse, fino in città. Il 20 per cento dell’acqua che arriva in pianura proviene dai ghiacciai: quindi la loro fusione e la grande siccità a cui stiamo assistendo sono fenomeni strettamente collegati, anzi fanno parte della stessa notizia.
I ghiacciai sono corpi molto delicati, perennemente in equilibrio con il clima, la temperatura, le precipitazioni nevose. Pertanto, sono i primi a risentirne. Soprattutto quelli situati a quote più basse.
L’importanza del monitoraggio dei ghiacciai
Come affrontare la situazione? Con la ricerca e la raccolta dei dati. All’interno del Parco opera il corpo di sorveglianza, che tra le numerose attività, monitora i ghiacciai dell’area protetta dal 1993. “Abbiamo quasi un’esperienza trentennale. Abbiamo iniziato con la misurazione degli arretramenti frontali, cioè l’andamento delle fronti dei ghiacciai che o avanzano o arretrano da un anno all’altro”. Questi dati mostrano per la loro quasi totalità che negli ultimi decenni ci sono stati più che altro arretramenti, per il 98 per cento dei casi.
Le rilevazioni danno un senso, ma soprattutto forma, a quello che sta succedendo oggi e che è sotto gli occhi di tutti. Ma soprattutto servono per creare nella comunità e nelle persone la consapevolezza delle cause e degli effetti di questi fenomeni e a ribadire l’urgenza dell’azione a livello globale, perché si attuino piani di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici. “È un problema che va affrontato a livello mondiale”, ricorda Alberto Rossotto. “Se non si cerca di bloccare l’aumento della temperatura rallentando le emissioni di CO2 nell’atmosfera questi fenomeni possono solo peggiorare in maniera esponenziale”.
Quello che possiamo fare noi è monitorare e dare dati. I dati sono oggettivi e ci fanno prendere consapevolezza del problema.
L’importanza del metodo scientifico per salvare i ghiacciai
È proprio sul monitoraggio e sulla consapevolezza che pone l’attenzione Bruno Bassano, il direttore del Parco nazionale Gran Paradiso, ricordando in questo senso anche l’importanza dell’esperienza centenaria di quest’area protetta. “L’approccio dei 100 anni è utile per questo: prendere dal passato l’idea che prima bisogna conoscere, perché chi conosce ama e chi ama protegge. Noi vorremmo continuare su questa strada”.
Chi conosce ama, chi ama protegge.
Ci racconta infatti dell’importanza e dell’unicità del metodo scientifico, uguale e ripetibile, effettuato per lo studio del camoscio fin dalla metà dell’Ottocento che ha permesso di avere un monitoraggio e quindi una conoscenza dell’evoluzione (in questo caso di successo) della specie. Per conoscere, bisogna impostare un metodo, mantenerlo, e comunicarlo.
In questo senso all’interno del Parco stanno avvenendo misurazioni su numerose altre specie, con l’obiettivo di capire come la crisi climatica stia avendo un impatto su queste nel corso del tempo. La conseguenza più evidente è che con l’aumentare della temperatura le specie si spostano a quote più alte per cercare il fresco. “In dieci anni abbiamo già registrato dei cambiamenti. Farfalle che erano segnalate fino al 1990 a 1.500 metri si trovano ora mediamente 300 metri più in alto e la dinamica che ci attendiamo è questa. Un passaggio dall’area montana a quella alpina, fino a quella nivale”, ci spiega Bassano. “Animali come i camosci arrivano da ere geologiche antichissime. Hanno già incontrato situazioni di questo tipo, ma non sappiamo se sono in grado di adattarsi a cambiamenti così rapidi”.
Quello che preoccupa della situazione è infatti la rapidità di questi eventi. Per questo, le azioni di mitigazione e adattamento sono urgenti, bisogna agire ora. Consapevoli che per vedere gli effetti di quelle azioni servirà tempo. “Vedo una classe di giovani che forse ha imboccato questa strada, molto di più della nostra generazione che ha fatto sicuramente molti danni all’ambiente”, continua Bassano. “Ora bisogna fare un passo indietro. Spero si possa continuare a fare di più con l’educazione ambientale”.
L’idea di mettere lo studio al primo posto è quindi l’obiettivo del Parco da sempre. Questo vale per la conservazione della fauna e della flora, per gli effetti della crisi climatica, ma anche per l’impatto del turismo.
Benvenuto è chi studia, ama e protegge la natura.
Hyundai, in collaborazione con LifeGate, dopo aver percorso le terre colpite dalla tempesta Vaia, prosegue in Valle d’Aosta il viaggio tra i luoghi resilienti del Paese per raccogliere le testimonianze delle persone che vivono e studiano questi ecosistemi da anni. La casa automobilistica, che si è impegnata ufficialmente a raggiungere la carbon neutrality entro il 2045, viaggerà per l’Italia con LifeGate, da oltre vent’anni punto di riferimento per lo sviluppo sostenibile, per documentare con articoli e video interviste le esperienze più interessanti di ripristino degli ecosistemi, a bordo di una Ioniq 5, veicolo elettrico che permette di ridurre le emissioni di CO₂ e di abbattere l’inquinamento acustico, nel rispetto della fauna.