Heeta Lakhani, originaria dell’India, è portavoce dello Youngo, l’organo delle Nazioni Unite che riunisce i giovani attivisti per il clima. L’abbiamo intervistata.
“Dobbiamo lottare per non essere messi a tacere e per fare in modo che ciò che facciamo nelle nostre comunità venga ascoltato e messo in atto”. La voce di Eric Terena risuona nelle sale della Youth4climate, l’assemblea tenutasi a Milano dal 28 al 30 settembre che ha permesso alle nuove generazioni di avanzare delle richieste in vista della pre-Cop e della Cop 26, la conferenza dell’Onu sui cambiamenti climatici. Terena è qui come rappresentante dei popoli indigeni, i più esposti alla crisi climatica, ma anche i custodi di saperi che potrebbero aiutarci a risolverla. Con lui parliamo delle sfide che la sua comunità affronta ogni giorno, di cosa voglia dire lottare per l’ambiente in un paese che un tempo conduceva l’azione climatica, ma che oggi è guidato da un leader che ne nega pubblicamente le cause e gli effetti. Al suo fianco c’è Paloma Costa, delegata del Brasile.
Il paradosso del Brasile
Il Brasile oggi è uno dei paesi con il numero più alto di aree protette. Eppure, è anche uno dei più colpiti dalla deforestazione e dalla distruzione degli ecosistemi. “I popoli nativi che occupano questi spazi se ne prendono cura come se fosse la propria vita. La crisi climatica ha effetti sulla salute della popolazione e indirettamente sui paesi vicini, su chi abita ai confini con l’Amazzonia e anche su chi abita nelle grandi metropoli”, ci dice Terena.
“Venendo da un paese come il Brasile, sentiamo gli impatti dei cambiamenti climatici nelle città, nelle comunità, nei territori”, aggiunge Costa. “Penso che la sfida più grande sia rispettare ciò che i giovani e le popolazioni indigene mettono sul tavolo, cosa che non è stata fatta. In tutta onestà, un tempo eravamo il paese che guidava l’azione climatica, il Brasile era un vero leader, abbiamo buone leggi, buone leggi ambientali. Ci stiamo attivando, stiamo creando soluzioni, ma non abbiamo il supporto necessario”.
Costa è una dei sette giovani leader climatici nominati dal segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres a un gruppo consultivo per i giovani sull’azione globale per affrontare la crisi climatica. Ha deciso di smettere di mangiare carne non appena ha saputo della relazione tra questa industria e la deforestazione e oggi si sposta prevalentemente in bicicletta. Insieme a Terena è allo Youth4Climate per assicurarsi che la loro voce venga finalmente ascoltata.
La minaccia più grande arriva dal Parlamento brasiliano
“La minaccia e l’impatto più grande per l’ambiente arriva proprio dal Parlamento brasiliano per aver approvato delle leggi che rendono più semplice invadere i nostri territori e le aree protette del paese”, ci spiega Terena. “Oggi soffriamo anche dell’indebolimento degli organi regolatori che prima aiutavano i popoli indigeni a prendersi cura dell’ambiente e oggi non esistono più. Ogni giorno il Brasile ha un problema nuovo e ogni giorno il governo dice che non proteggerà l’ambiente né i nostri territori”.
In più, devono anche affrontare il problema della mancata consultazione. La Convenzione Ilo 169 sui popoli indigeni e tribali del 1989 prevede che questi vengano consultati per qualsiasi decisione che li riguardi direttamente. “Dovremmo essere consultati per qualsiasi cosa si faccia con le popolazioni indigene, qualsiasi cosa che interferisca con il nostro benessere, i nostri territori, e nelle nostre aree di azione. Ma non sta succedendo, nessuno ascolta i popoli indigeni”.
Il marco temporal viola i diritti dei popoli indigeni
A questo si aggiunge anche la minaccia del marco temporal, la proposta promossa dal settore dell’agrobusiness secondo cui i popoli indigeni che non possono provare che al 5 ottobre 1988 – giorno in cui fu promulgata la Costituzione brasiliana – abitavano fisicamente sulle loro terre, non vi hanno più alcun diritto. “Il marco temporal oggi ferisce direttamente il diritto all’umanità. È un rischio per le nostre terre, una minaccia per la nostra sopravvivenza. Per questo è incostituzionale perché apre all’esplorazione alle aree protette del nostro paese”.
Adesso il vero banco di prova sarà la Cop 26, la ventiseiesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, che si terrà a Glasgow, in Scozia, dal 30 ottobre al 12 novembre.