Ogni anno il 5 giugno è la Giornata mondiale dell’ambiente, una ricorrenza con cui le Nazioni Unite incoraggiano la consapevolezza e l’azione per la tutela del nostro pianeta, l’unico che abbiamo. La data è la stessa in cui nel 1972 prese il via la Conferenza di Stoccolma sull’Ambiente umano. E ogni anno c’è un tema. Dopo il ripristino degli ecosistemi nel 2021 e “Only one earth” (solo una Terra) nel 2022, nel 2023 è il turno di un argomento che riguarda in prima persona ciascuno di noi, in ogni angolo del mondo: l’inquinamento da plastica e le soluzioni che abbiamo a disposizione per contrastarlo. Perché è vero che i numeri di questa emergenza ambientale sono clamorosi; uno fra tutti, i 171mila miliardi di frammenti di plastica che galleggiano sulla superficie degli oceani. Ma è vero anche che ci sono aziende, startup, ong e centri di ricerca che si sono rimboccati le maniche per riparare questo immenso danno ambientale che noi stessi abbiamo creato. Con risultati talvolta sorprendenti.

8 tecnologie contro l’inquinamento da plastica

The great bubble barrier

L’80 per cento della plastica finisce nel mare perché viene trasportata da fiumi e canali. Perché non fermarla prima? Da quest’intuizione, un team olandese ha messo a punto The great bubble barrier, letteralmente la grande barriera di bolle. In breve, si posiziona un tubo perforato sul fondo del corso d’acqua, pompando l’aria per generare una cortina diagonale di bolle che spinge la plastica in superficie. Il tutto senza disturbare i pesci né interferire con il passaggio delle imbarcazioni. Il progetto pilota è stato ad Amsterdam, per la precisione nel canale di Westerdok, e ha impedito ogni mese a circa 8mila frammenti di plastica di finire nel mare del Nord. The great bubble barrier è anche arrivato in finale all’Earthshot prize 2022.

Blue eco line

Che i fiumi siano autostrade per la plastica è risaputo, ma quali e quanti sono i rifiuti galleggianti? Da dove arrivano e come si muovono? River eye è un sistema di monitoraggio che registra le immagini dei rifiuti, le archivia in cloud e le analizza, distinguendo in automatico la plastica dalla materia organica. Le centraline si installano sui ponti o lungo gli argini, dove restano in funzione per 24 ore al giorno; sono già state testate sui fiumi Arno e Po. Questa è una delle due innovazioni di punta della startup italiana Blue eco line. La seconda è River cleaner, un impianto posizionato sull’argine che intercetta i rifiuti e li trasporta in autonomia fino al piano stradale. L’impianto pilota sarà posizionato sul canale San Rocco, in provincia di Grosseto.

Tide ocean

Si parla tanto – e a ragione – della necessità di ripulire il mare, ma cosa fare poi con i rifiuti raccolti? Lo svizzero Thomas Schori ha immaginato di usarli per fabbricare i cinturini degli orologi. Quest’intuizione, unita a una fitta attività di ricerca e sviluppo che ha coinvolto anche l’università, ha avuto come risultato Tide. Questo materiale è fatto interamente con la plastica riciclata ed esiste in tre formati, adatti alle necessità dell’industria: granuli, usati per orologi, dispositivi elettronici, arredi, parti di automobili e oggetti duri in generale; fili, adatti per abbigliamento e accessori; e infine filamenti ad hoc per la stampa 3D. Confrontando la produzione di Tide con quella di plastica vergine, il risparmio in termini di emissioni di CO2 è dell’80 per cento.

Plastic bank

Osservando con attenzione i flaconi di alcuni detergenti, si può notare il bollino “made with social plastic”. Significa che quella plastica è riciclata e arriva da Plastic bank, un’organizzazione che coinvolge le persone in svariate località del mondo (dall’Indonesia alle Filippine, dall’Egitto al Brasile) e dà loro il compito di raccogliere i rifiuti prima che finiscano in mare, per poi differenziarli e avviarli a riciclo. In cambio per il loro lavoro, fornisce assicurazioni sanitarie, programmi di formazione, voucher per acquistare cibo, tablet per seguire le lezioni scolastiche. A partire dal 2013, il suo anno di fondazione, Plastic bank ha contribuito alla raccolta di circa 4 miliardi di bottiglie di plastica, con un’impennata dal 2021 in poi.

Ocean cleanup

Difficile non aver mai sentito parlare di Ocean cleanup, fondata dall’olandese Boyan Slat, che da anni affronta la gigantesca isola di plastica nel Pacifico con un macchinario (più volte rinnovato) capace di convogliare i detriti sfruttando le correnti oceaniche.

Nel 2019 questa ong ha presentato la nuova arrivata tra le sue tecnologie contro l’inquinamento da plastica. Si chiama Interceptor, assomiglia all’incrocio tra un catamarano e una chiatta, è ancorato ai letti dei fiumi e raccoglie 50mila chili di rifiuti al giorno prima che raggiungano il mare. Tutto questo, con la sola energia solare ad alimentarlo. Il dispositivo finora è stato installato in Indonesia, Malesia, Repubblica Dominicana, Vietnam e California. In Giamaica invece c’è il suo “fratello”, una sorta di barriera galleggiante ancorata a forma di U attorno alla foce del fiume.

Seabin

È stata la tecnologia da cui è partito LifeGate PlasticLess, il progetto con cui LifeGate dà un contributo concreto contro l’inquinamento da plastica nelle acque di porti, marine e circoli nautici. Stiamo parlando del Seabin, un cestino che raccoglie i rifiuti che galleggiano sulla superficie, inclusi microplastiche (da 5 a 2 mm di diametro), microfibre (da 0,3 mm) e mozziconi di sigaretta. Questo dispositivo è in grado di raccogliere circa 1,5 chili di detriti al giorno, arrivando a 500 chili all’anno. Dal 2018, grazie al sostegno delle numerose aziende partner, ne sono stati installati un centinaio, in Italia ma anche in Francia, nel Regno Unito, in Svizzera e in Grecia.

Trash Collec’Thor

Thor era il dio germanico del tuono; e il Trash Collec’Thor si ispira a lui per potenza ed efficacia. Attraverso una robusta pompa industriale, questo dispositivo cattura i rifiuti galleggianti, tra cui bottiglie di plastica, sacchetti e mozziconi, ma anche le microplastiche dai 3 mm di diametro in su e addirittura gli idrocarburi. Si installa sui pontili galleggianti di porti e marine, vicino ai punti di accumulo, e ha una capienza pari a 100 chili. Quando è pieno, basta sollevarlo con un argano scaricando a terra il materiale raccolto. Anche questa è una delle tecnologie contro l’inquinamento da plastica di LifeGate PlasticLess; è stata realizzata da Poralu Marine, leader mondiale nella realizzazione di strutture, prodotti e servizi per attività portuali.

Trash Collec'Thor
Il Trash Collec’Thor installato a Venezia in collaborazione con Coop © LifeGate

Pixie Drone

A completare il trittico di tecnologie contro l’inquinamento da plastica di LifeGate PlasticLess è Pixie Drone, sempre messo a punto da Poralu Marine. Anche stavolta il nome prende ispirazione da una creatura immaginaria, il pixie, un folletto dispettoso che esplora il mare e le correnti. Pixie Drone è appunto un drone che sorvola mari e laghi a una velocità di 3 km/h, allontanandosi dai pontili, per raccogliere plastica ma anche vetro, carta, frammenti di tessuti, residui di olio e di carburante. Un po’ come il robot aspirapolvere di casa, ma in acqua. E con una capienza di 60 kg. Viene telecomandato da una distanza di 500 metri e ha un’autonomia di sei ore con una ricarica.

Grazie alla partecipazione di numerose aziende, porti e istituzioni, in cinque anni il progetto LifeGate PlasticLess ha raggiunto risultati di tutto rispetto. Sono oltre 100 i dispositivi dispositivi “mangia plastica” posizionati in altrettanti porti italiani, che hanno catturato finora oltre 150 tonnellate di rifiuti galleggianti (incluse plastiche e microplastiche) per un peso complessivo di oltre 10 milioni di bottigliette da mezzo litro. Forte di questa esperienza, PlasticLess ben presto annuncerà alcuni importanti novità: la sfida è quella di alzare il livello dell’ambizione collettiva per la tutela dei nostri mari.