“Ho scelto la vita ma non ho mai perdonato”. L’ultima testimonianza pubblica di Liliana Segre
Un lungo applauso commosso e una standing ovation hanno chiuso l’ultima testimonianza pubblica della senatrice a vita Liliana Segre, deportata nel campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia, quando aveva solo tredici anni.
Prima di iniziare il suo ultimo racconto, ultimo perché ha “bisogno di lasciar andare quella ragazzina che ero”, Segre ha inaugurato l’Arena di Janine, all’interno del parco di Rondine, ad Arezzo, che ospiterà eventi dedicati alla pace. La struttura è in onore dell’amica francese Janine, uccisa in una camera a gas.
Io sono viva per caso. Perché tutte sceglievano la vita, sono state poche quelle che si sono suicidate anche se era facilissimo.
Liliana Segre
Il ricordo di Liliana Segre per l’amica Janine
La storia di Janine accompagna la senatrice dal momento in cui l’ha persa. “Eravamo alla selezione, Janine, la mia capo squadra, era bella, aveva una decina d’anni più di me, aveva perso due dita in un macchinario della fabbrica di munizioni dove lavoravamo. L’ufficiale tedesco davanti al quale dovevamo sfilare nude per essere scelte mi fece un cenno del capo e capii che io ero salva. Ma quando passò Janine, sentii che la bloccavano e capii che non l’avrei più vista. Io non mi fermai a guardarla, non la salutai, non la nominai. Ero diventata orribile, non accettavo più distacchi. Da allora, ho raccontato sempre di questa figura perché il suo non diventare donna, madre e vecchia, come oggi sono io, era legato al mio non essere, al mio aver perso ogni dignità, ogni senso di quella persona che io speravo di diventare”.
I lager hanno fatto sentire invisibili i bambini
“Un giorno di settembre del 1938 sono diventata l’altra. So che quando le mie amiche parlano di me aggiungono sempre la mia amica ebrea. E quel giorno a 8 anni non sono più potuta andare a scuola. Ero a tavola con mio papà e i nonni e mi dissero che ero stata espulsa. Chiesi perché, ricordo gli sguardi dei miei, mi risposero ‘perché siamo ebrei, ci sono delle nuove leggi e gli ebrei non possono fare più una serie di cose’. Se qualcuno legge a fondo le leggi razziali fasciste una delle cose più crudeli è stato far sentire invisibili i bambini. Molti miei compagni non si accorsero che il mio banco era vuoto. Quando tornai mi chiesero dove fossi stata. Avrei dovuto dire Auschwitz, ma non dissi nulla”.
Nel lager, “quando non si ha niente, si ha solo il proprio corpo che dimagrisce a vista d’occhio, è molto difficile formare amicizie perché la paura di morire per un passo falso o un’occhiata, ti fa diventare quello che i tuoi aguzzini vogliono che tu sia: che tu diventi disumana, egoista. Dopo il distacco da mio padre il terrore di diventare amico di qualcuno e poi perderlo mi faceva preferire la solitudine, io avevo paura di perdere ancora qualcosa”.
Impossibile perdonare o dimenticare
“Non ho mai perdonato, come non ho dimenticato, certe cose non sono mai riuscita a perdonarle. Il campo di sterminio funzionava alla perfezione, da anni, non c’era il minimo errore. Cominciammo a capire che dovevamo dimenticare il nostro nome, che nella tradizione ebraica ha un significato. Mi venne tatuato un numero sul braccio e dopo tanti anni si legge ancora bene, 75190. E dovemmo subito impararlo in tedesco. Quando entrai ad Auschwitz non avevo ancora studiato Dante, lo studiai dopo, ed eravamo condannate a delle pene ma non c’era il contrappasso: pensavo di essere impazzita. Non racconto mai tutti i dettagli della mia prigionia“.
“Sono stata anche io clandestina”
Segre ha commosso la platea quando, guardando negli occhi i presidente del Consiglio Giuseppe Conte − presente insieme ai presidenti di Camera e Senato, Roberto Fico e Maria Elisabetta Alberti Casellati, il presidente della Cei Gualtiero Bassetti e i ministri Luigi Di Maio, Luciana Lamorgese, e Lucia Azzollina −, ha ricordato quando venne arrestata con suo padre mentre tentavano la fuga in Svizzera: “Sono stata anche io clandestina, sono stata anche io richiedente asilo. So cosa vuol dire essere arrestati e rispediti indietro nel Paese dal quale si deve scappare per non morire, quando si crede di essere arrivati nel Paese della Libertà”.
Finisce così, l’ultima testimonianza pubblica di #LilianaSegre: “Non raccolsi quella pistola e da quel momento che diventai quella donna libera e quella donna di pace con cui ho convissuto fino ad adesso…” Le sue mani sul viso e 500 persone in piedi. #GrazieLiliana#Rondinepic.twitter.com/Ghukk4ta5Y
“Per un attimo vidi una pistola a terra, pensai di raccoglierla. Ma non lo feci. Capii che io non ero come il mio assassino. Da allora sono diventata donna libera e di pace con cui ho convissuto fino ad adesso”.
Si chiude così l’ultima testimonianza pubblica della senatrice e non resta altro da aggiungere se non “Grazie Liliana“.
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