La repressione tanto temuta è arrivata. Nella giornata di domenica 28 febbraio, la giunta militare al potere nel Myanmarsi è scagliata contro i manifestanti riuniti in piazza per protestare contro il colpo di Stato. Secondo un comunicato diffuso dall’alto commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite, il bilancio sarebbe di almeno 18 morti, in diverse città della nazione asiatica.
Lacrimogeni, cannoni ad acqua e, forse, anche proiettili veri
Gli agenti avrebbero infatti non soltanto utilizzato gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e proiettili di gomma per disperdere i manifestanti, ma anche pallottole vere. I decessi si vanno ad aggiungere ai cinque già registrati a partire dal 1 febbraio, giorno in cui l’esercito birmanoha ordito un colpo di stato, destituendo e arrestando Aung San Suu Kyi, capo del governo eletta democraticamente.
At least 18 people were killed & 30 wounded in #Myanmar today. “We strongly condemn the escalating violence against protests in Myanmar & call on the military to immediately halt the use of force against peaceful protestors," says spox Ravina Shamdasani 👉https://t.co/nqhVYtXZfvpic.twitter.com/sAvKPwR4F7
Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha condannato “con fermezza” la violenta repressione dei militari, dichiarandosi “fortemente perturbato dall’aumento del numero dei morti e dei feriti gravi”. Ha quindi esortato la comunità internazionale “ad inviare un segnale chiaro” ai generali al potere nel Myanmar, affinché “rispettino la volontà del popolo, espressa nel corso delle elezioni”.
Giornalisti interrogati dai militari, più di 1.300 civili arrestati
“La netta escalation nel ricorso alla violenza letale è scandalosa e inaccettabile, e deve essere immediatamente fermata”, ha commentato Phil Robertson, vice-direttore della divisione Asia dell’associazione Human Rights Watch. Allo stesso modo, Ravina Shamdasani, portavoce dell’Alto commissariato per i Diritti umani delle Nazioni Unite, ha condannato il comportamento dei soldati birmani, lanciando un appello affinché cessi immediatamente l’uso della forza.
Secondo quanto riportato dalla stampa internazionale, la repressione a coinvolto anche i giornalisti. Un reporter è stato picchiato dalle forze dell’ordine e arrestato nella città di Myitkyina, nella porzione settentrionale della nazione asiatica. Un altro sarebbe stato colpito da proiettili di gomma. Mentre sabato almeno tre inviati sul posto sono stati interrogati: tra di essi figura anche un fotografo dell’agenzia americana Associated Press.
Complessivamente, sono più di 850 i civili che sono stati arrestati, e in alcuni casi accusati e condannati, a partire dal 1 febbraio. Ma nella giornata di sabato i media ufficiali hanno parlato di altri 479 persone finite in manette.
Con il golpe e il ritorno al potere dei militari conservatori, le donne del Myanmar temono di perdere le conquiste degli ultimi anni in termini di diritti.