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— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) November 16, 2020
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La violenza contro le donne si elimina giorno dopo giorno. Qualche consiglio per conoscere e riconoscere l’odio attraverso tre profili social fondamentali.
Quando cade una ricorrenza, soprattutto se ha come obiettivo affrontare un problema, una sfida, la prima cosa che ci si affretta a fare è affermare: non basta un giorno, bisogna parlarne tutto l’anno. E mai tale affermazione fu più opportuna per questa, di ricorrenza, quella del 25 novembre. La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Nel 2020 la giornata è dedicata al tema shadow pandemic, ovvero la pandemia nascosta, che non è sotto i riflettori, causata dal lockdown. L’altra pandemia, che ha peggiorato la situazione di pericolo vissuta dalle donne dentro le mura domestiche.
Una giornata certamente importante, dall’alto valore simbolico, ma che per essere utile ha bisogno di un lavoro costante e strenuo. Un lavoro che ha come obiettivo modificare la cultura, non solo del nostro paese, l’Italia, ma anche del nostro continente. Una donna su tre (con più di 15 anni di età) ha subìto violenze fisiche o sessuali in Europa. Mentre la metà delle donne europee ha subìto molestie sessuali. Infine, una donna su dieci ha sperimentato forme di molestie online. Dati assurdi, difficili da immaginare se si considera che la popolazione dell’Unione europea – senza Regno Unito – è di oltre 446 milioni di abitanti.
Quello dell’eliminazione della violenza contro le donne, quindi, è un tema che ha bisogno del sostegno di tutti, soprattutto oggi che vive, come altre questioni – dal razzismo alle varie forme di negazionismo –, un grado di accettazione inaccettabile a causa di una narrazione che sui social si è fatta “goliardìa”.
Sarebbe una goliardata inoltrare video intimi e privati di ex compagne, fidanzate, mogli e “amiche” a gruppi di altrettanti “amici” su Whatsapp o Telegram. È diventata la norma inondare di insulti, offese o di messaggi di odio (hate speech) donne che hanno la colpa di aver visto la propria vita privata violata o di essere qualcuno sui social e di rompere il cliché della femmina che “resta in disparte”, che sta “un passo indietro”.
E allora è proprio vero che ognuno di noi può fare qualcosa di concreto. Uomo o donna che sia, ragazza o ragazzo. Possiamo dissociarci apertamente, possiamo chiedere conto o alzare la voce quando assistiamo a una violenza – quella più comune è quella digitale – e farla notare invece di rimanere “silenziosi” quando la chat del calcetto o del fantacalcio “urla”.
Possiamo rompere il muro dell’omertà e portare nel linguaggio comune espressioni come revenge porn, slut-shaming, victim-blaming (se non l’avete visto, vi consiglio il video di Chiara Ferragni). Segnalare e bannare certi commenti colmi d’odio fino a che chi di dovere possa prendere provvedimenti. Quanti di voi avrebbero immaginato nel 2016 che solo quattro anni dopo i tweet di Trump sarebbero stati oscurati, contrassegnati perché falsi?
Prima, però, bisogna conoscere certi atteggiamenti per riconoscerli. Per capire e imparare il significato di certe espressioni bisogna informarsi. Non è facile cogliere le sfumature che avallano determinati comportamenti, a volte tenuti persino in modo inconsapevole.
Per trasformare ogni giorno in una giornata di mobilitazione e attivismo per l’eliminazione della violenza contro le donne penso non ci sia modo migliore che seguire alcuni account che sui social, in particolare Instagram, stanno facendo un lavoro incredibile di informazione, di diffusione di consapevolezza, di attivismo quotidiani. Ve ne segnalo tre.
@silviasemenzin_
Semenzin si occupa di giustizia digitale (data justice), ovvero di garantire che i diritti umani e la democrazia siano rispettati anche nella società digitale. Nel 2018 è stata tra i promotori della campagna #intimitàviolata che ha portato al riconoscimento anche in Italia, il 17 luglio 2019, del reato di condivisione non consensuale di materiale intimo, il cosiddetto revenge porn. Un momento spartiacque che l’ha portata a occuparsi di femminismo, sessualità e parità di genere. Collabora con Amnesty International, di cui va citato Barometro dell’odio, un monitoraggio dei social media realizzato con il contributo degli attivisti.
Semenzin, inoltre, fa parte del collettivo Virgin & Martyr per promuovere l’educazione sessuale, socioemotiva e digitale. Vi lascio un breve estratto del dialogo che Semenzin ha avuto con altre due donne che stanno avendo grande riscontro sui social, Sofia Viscardi e Camihawke. Qui si parla di sessualità e internet.
@lhascrittounafemmina
Scrittrice di libri per ragazze e ragazzi, tra i suoi ultimi lavori c’è Piccole donne – 15 parole per diventare grandi. Di lei mi ha colpito la chiarezza e la semplicità di linguaggio con cui parla di temi tutt’altro che chiari e semplici. Mi hanno catturato, per esempio, i video in cui parla di femminicidio e della cultura dello stupro. E lo fa citando la letteratura femminile. Il suo account, anche su Facebook, infatti si chiama L’ha scritto una femmina e l’obiettivo è dare risalto a titoli che affrontano temi collegati alla parità di genere o che più semplicemente sono scritti da donne e che per questo vengono considerati meno interessanti, se non addirittura “noiosi”. Obiettivo, dunque, è correggere storture dettate da pregiudizi.
Sul femminicidio e su come la narrazione cerchi sempre di trovare scusanti che sollevino il carnefice dalle sue colpe e di comportamenti femminili che li hanno provocati, suggerisco questa igtv.
Sulla cultura dello stupro e su come non venga quasi mai ammesso, né da parte del carnefice, né da parte della vittima, suggerisco quest’altro video in cui Capria consiglia due titoli sulla violenza contro le donne.
@carlottavagnoli
“Scrivo di sesso, corpo, parità ed -altre- attualità. Creo contenuti per brand che fanno dell’etica e della sostenibilità i loro punti di forza. Sogno di contribuire al cambiamento della narrazione divisiva dilagante nei media canonici. Vado nelle scuole a fare formazione su come rispettare il consenso e depotenziare la rape culture. Faccio, in generale, molto rumore”. Si presenta così Vagnoli sul suo profilo Linkedin. Il suo taglio è diretto, pungente. Tanto da consentire di “uscire dalla bolla” facendola scoppiare. L’unico modo utile, questo, per “arrivare a parlare di argomenti ritenuti di nicchia a un pubblico vasto”. È giunto il momento di conquistare ciò che alle donne è stato negato per secoli. E per farlo c’è bisogno di alzare la testa, la voce.
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