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Le violenze sulle donne in Turchia si contano online
“In Turchia, donne vengono uccise, molestate e stuprate da uomini quasi tutti i giorni”. Così si apre la pagina dell’agenzia di stampa indipendente Bianet che raccoglie tutti i casi di violenza maschile contro le donne riportati dai mezzi d’informazione, dal 2009 a oggi. Nel solo mese di gennaio 2015 in Turchia sono state uccise 27
“In Turchia, donne vengono uccise, molestate e stuprate da uomini quasi tutti i giorni”. Così si apre la pagina dell’agenzia di stampa indipendente Bianet che raccoglie tutti i casi di violenza maschile contro le donne riportati dai mezzi d’informazione, dal 2009 a oggi. Nel solo mese di gennaio 2015 in Turchia sono state uccise 27 donne, stuprate 7, costrette a prostituirsi 24, ferite 36, molestate 13. Tutti atti di violenza commessi da uomini. Tra cui l’uccisione della studentessa ventenne Ozgecan Aslan, che ha scatenato un’ondata di proteste sia in piazza che sui social media.
Anıt sayaç, il “contatore monumento”, è un’altra pagina web dedicata alla sensibilizzazione sul tema della violenza sulle donne in Turchia. È un muro virtuale dove ogni mattonella è composta dal nome di una donna uccisa a causa di violenza domestica, dal 2008 a oggi. Cliccando sulle mattonelle, si possono conoscere le circostanze dell’omicidio: come è stato riportato dai media, perché e da chi è stata uccisa la donna e se la vittima aveva richiesto protezione alle autorità.
Anche Anıt sayaç raccoglie i suoi dati attraverso le notizie mediatiche, questo in seguito al rifiuto da parte delle autorità turche di fornire informazioni rilevanti. Né il ministero della Giustizia, né la polizia hanno un registro ufficiale di femminicidi in Turchia.
Benché questo sia uno dei paesi mediorientali con le più avanzate leggi sulla tutela delle donne, i giudici turchi sfruttano le zone grigie delle leggi per ridurre le pene agli uomini condannati. Dice una sentenza del 2014 della Corte europea dei diritti dell’uomo: “La passività discriminatoria della giustizia in Turchia crea un clima che favorisce la violenza domestica”.
Lo stesso presidente Erdogan rimane ambiguo sul tema. Nel caso di Ozgecan Aslan ha dichiarato di voler prendere le misure più forti possibili. Ma nel 2009, quando Munevver Karabulut venne accoltellata a morte dal suo fidanzato, Erdogan, allora prima ministro, invocò questo proverbio turco: “Se una ragazza non viene accudita dalla famiglia, scapperà di casa con un batterista o un trombettista”. Inoltre, si è ripetutamente dichiarato contro l’uguaglianza tra sessi, che considera “contro natura”.
I mezzi d’informazione sono complici di questo clima d’impunità che nega alle vittime di abusi giustizia e rispetto. I casi di violenza sulle donne vengono drammatizzati, riportati con dettagli squallidi come l’attività sessuale della vittima, o come fosse vestita nel momento dell’attacco. Anche in casi di violenza domestica vengono offerte pseudo-giustificazioni per risaltare la “colpabilità” della vittima. Ad esempio, se la violazione è avvenuta a causa di un litigio, la donna può aver “provocato” l’uomo a essere violento.
Nel caso di Ozgecan Aslan, invece, nessuno insinua che possa essersela “andata a cercare”. Secondo le redattrici della rivista femminile turca 5Harlifer questo perché il suo assassino è un estraneo che l’ha aggredita su un autobus, luogo che non permette di dubitare dell’integrità della ragazza. Grazie alle rappresentazioni mediatiche di lei come innocente violata, l’indignazione pubblica scaturita dalla sua morte sta costringendo il governo turco ad agire. Due proposte di legge, che toglierebbero ai giudici la possibilità di fare sconti di pena in casi di violenza sulle donne, sono state prese di nuovo in considerazione dopo essere state abbandonate.
Forse sta accadendo qualcosa, la società turca sta perdendo il suo desiderio di scagionare uomini violenti. Peccato, però, che così tante donne abbiano dovuto soffrire perché si arrivasse a questo. Non solo alle mani dei loro violentatori, ma anche a quelle dei giudici, delle famiglie, dei mezzi d’informazione e della società che hanno preservato la cultura dell’impunità che ha fatto molte vittime.
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