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La lotta per l’acqua a Gaza. La storia del water defender Mosab al-Hindi
Oltre il 90% dell’acqua della falda di Gaza non è sicura da bere. Mosab al-Hindi si batte da tempo per preservare le risorse idriche in questo luogo.
a cura di Christian Elia
“Oltre il 90 per cento dell’acqua della falda di Gaza non è sicura da bere senza un trattamento e la maggior parte della popolazione dipende dai venditori privati e dagli impianti di dissalazione privati per l’acquisto dell’acqua potabile. Significa che l’acqua è diventata un privilegio, non è più un diritto. Basta questo per sapere che non si può restare con le mani in mano, bisogna agire, agire adesso, perché non c’è più tempo”.
Il water defender Mosab nella lotta per l’acqua
Mosab al-Hindi è un ragazzo-uomo di poche parole. Giovane, ma con quella saggezza che ti piomba addosso se sei nato a Gaza, che ti fa crescere in fretta. Mosab lavora per il Ma’an development center, un’organizzazione palestinese indipendente, fondata nel gennaio 1989. Si occupa di ricerca e sviluppo, oltre che di formazione. La sede principale si trova a Ramallah, ma una delle sue filiali è a Gaza. Il lavoro del Ma’aN si basa sulla necessità di creare iniziative indipendenti e autosufficienti che portino allo sviluppo di risorse umane per uno sviluppo sostenibile, che incorporino i valori dell’autosufficienza e del self-empowerment. Un approccio che tenta anche di emancipare i palestinesi dalla dipendenza della cooperazione internazionale. E ora, dopo l’avvento dell’amministrazione Trump negli Usa e i generali tagli di budget delle organizzazioni internazionali, questa visione non è più solo auspicabile, ma anche necessaria.
Se le parole di Mosab possono sembrare allarmiste o esagerate a coloro che non conoscono la situazione di Gaza, basta analizzare gli ultimi documenti delle Nazioni Unite sulla qualità della vita nella Striscia. Cinque anni fa, alcuni studi delle Nazioni Unite lanciarono un allarme: entro il 2020 la Striscia di Gaza potrebbe non avere più la soglia minima di accesso alle risorse per essere considerata abitabile dagli esseri umani. Mancano pochi mesi alla fine del 2020, nulla è cambiato, anzi la situazione è peggiorata, anche per l’arrivo della Covid-19.
Una lotta per l’acqua e per la mancanza di risorse
“A Gaza, la gente sta rovistando nella spazzatura”, ha dichiarato giorni fa Philippe Lazzarini, commissario generale dell’Unrwa, l’agenzia Onu che si occupa dei rifugiati palestinesi. “Sempre più persone stanno lottando per fornire uno o due pasti al giorno alle loro famiglie”. La Striscia di Gaza ha una superficie di 360 chilometri quadrati, per una popolazione di quasi due milioni di abitanti. Una delle densità abitative più affollate del pianeta per chilometro quadrato. Il 56 per cento sono bambini; quasi l’80 per cento delle famiglie vive sotto la soglia di povertà e il 74 per cento sono rifugiati, che vivono con gli aiuti dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi.
Mosab, ogni giorno, opera in questo contesto. “Sono il responsabile del programma nel centro di sviluppo, gestisco molti progetti Wash e shelter che mirano a sostenere le famiglie vulnerabili per avere un migliore accesso ai loro bisogni di base, in particolare l’acqua. L’accesso all’acqua potabile è un problema critico nella Striscia di Gaza – spiega Mosab – A Gaza, l’unica fonte naturale di acqua è la falda acquifera costiera, che è alimentata solo dall’acqua piovana, dalla quale la popolazione attualmente estrae quasi tre volte la ricarica annuale sostenibile. Il pompaggio eccessivo ha portato a un significativo abbassamento del livello dell’acqua della falda, che a sua volta ha portato a un aumento dell’intrusione salina man mano che l’acqua di mare del Mediterraneo entra e contamina la falda acquifera. In assenza di adeguati impianti di trattamento delle acque reflue, l’infiltrazione in superficie delle acque grezze provenienti dai bacini di raccolta delle acque reflue aumenta ulteriormente il rapido deterioramento della falda acquifera e rappresenta un grave rischio per la salute pubblica”.
A confermarlo sono gli stessi israeliani, che dal 2007 tengono sigillata la Striscia di Gaza. Il 3 giugno 2020, un gruppo di ricercatori delle università israeliane di Tel Aviv e Ben Gurion, hanno presentato il rapporto Health Risks Assessment for the Israeli Population following the Sanitary Crisis in Gaza, commissionato dall’organizzazione ambientalista EcoPeace Middle East, in cui si avverte che “il deterioramento delle infrastrutture idriche, elettriche e fognarie nella Striscia di Gaza costituisce un sostanziale pericolo per le acque terrestri e marine, le spiagge e gli impianti di desalinizzazione di Israele”.
La disponibilità d’acqua per uso domestico
“La debolezza delle reti idriche e le continue interruzioni di corrente elettrica influiscono negativamente sulla disponibilità d’acqua per l’uso domestico, poiché la maggior parte delle risorse dipende dalle piccole pompe per pompare l’acqua dalle reti alle loro case”, racconta Mosab. “La situazione all’interno dei campi profughi peggiora a causa dell’alta popolazione che influisce sulla pressione nelle reti idriche domestiche e sulla disponibilità di acqua. Inoltre, gli alti tassi di vulnerabilità influenzano negativamente la capacità delle famiglie di assicurare le efficienti quantità di acqua potabile .”
Uno studio della Rand Corporation, pubblicato dal quotidiano israeliano Ha’aretz a ottobre 2018, dimostrava inoltre come le malattie causate dall’inquinamento delle acque sia una delle principali cause di mortalità infantile nella Striscia di Gaza. Secondo lo studio, l’inquinamento idrico rappresenta la causa di oltre un quarto delle malattie a Gaza e oltre il 12 per cento delle morti infantili – fino a quattro anni fa – era collegato a disturbi gastrointestinali dovuti all’inquinamento idrico. Nel 2016, Mohammad Al-Sayis, cinque anni, ha ingerito acqua di mare allacciata dalle acque reflue, ingerendo batteri fecali che hanno portato a una malattia cerebrale fatale. La morte di Mohammad, riportata da uno speciale di al-Jazeera sulla condizione delle acque di Gaza, è stata la prima nota per fognatura nella Striscia.
“La storia di Mohammed ha sconvolto chi non vive a Gaza: qui ogni giorno ci sono dei Mohammed”, racconta Mosab. Gli interventi di cooperazione, sia umanitari che di sviluppo, cercano di garantire un accesso minimo all’acqua e anche la qualità dell’acqua. Spesso si tratta di soluzioni tecniche a problemi politici. “Israele impedisce che molti pezzi di ricambio e parti essenziali per gli impianti idrici entrino a Gaza, mettendoli nella lista del cosiddetto “doppio uso”: se le autorità israeliane ritengono che un apparecchio possa essere modificato o usato a scopi militari, lo blocca. Inoltre Israele ha dei bacini idrografici nelle zone di confine che catturano l’acqua piovana che arriva a Gaza da Hebron e questo influisce negativamente sulla quantità di acqua immessa nella falda acquifera.”
Ogni giorno Mosab si sveglia e inizia una lotta impari contro un problema immenso. Ma non smette di farlo, come non smette di denunciare la sua indignazione. “Bisogna garantire sia interventi a livello comunitario che a livello sistemico: impianti di desalinizzazione dell’acqua di mare, migliorare il sistema di drenaggio dell’acqua piovana, migliorare lo stoccaggio dell’acqua, senza smettere neanche un momento di sensibilizzare sul razionamento dell’uso dell’acqua la popolazione.”
È necessario intervenire con urgenza
Quanto costa, per chi può permettersela, l’acqua a Gaza? Quanto spende in media una famiglia per l’acqua? “Dipende da molti fattori, tra cui le ore di elettricità disponibili al giorno, la posizione geografica all’interno della Striscia e altri fattori. A Gaza i contadini spendono molto di più in acqua considerando le crisi elettriche che influenzano negativamente il loro reddito e li sottopongono a gravi perdite in molte stagioni. Non è facile spiegare a tutti che ciascuno delle fare la sua parte. Giro per le case, le scuole, i campi, parlo con genitori, studenti, contadini… ma per quanto ci possiamo impegnare, se non si interverrà con urgenza, la situazione sarà sempre più grave”. A Gaza, quando chiedi dell’acqua, ti senti rispondere: “È come bere un bicchiere di mare”. Anche il mare, che è l’unica via d’uscita dal mondo assediato di Gaza, rischia di diventare un nemico, salando la falda.
Water Defenders è un progetto di Water Grabbing Observatory per il decimo anniversario del riconoscimento del diritto umano all’acqua. Una serie di interviste da tutto il mondo racconteranno battaglie civili dal basso in difesa dell’acqua. Una lotta intesa sotto tutti i punti di vista, contro l’accaparramento delle risorse e contro le grandi e piccole opere che impattano sulle comunità e sul patrimonio naturale. Una galleria di persone comuni, uomini e donne, che in tutto il mondo difendono un diritto fondamentale. A partire dal 22 marzo, Giornata mondiale dell’acqua, ogni mese Water Grabbing Observatory racconterà su LifeGate la storia di un personaggio che si è speso per tutelare la risorsa più preziosa che abbiamo. Per ribadire il valore del diritto all’acqua.
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