Roberta Redaelli, nel suo saggio Italy & Moda, raccoglie le voci del tessile. E invita il consumatore a fare scelte che lo spingano alla sostenibilità.
Wax Max, dai tessuti alla lavorazione etica made in Africa
Wax Max è una linea di abiti e oggetti d’arredo che unisce i tessuti e la manifattura africana allo stile occidentale. Un connubio di culture differenti.
Creare nuove opportunità per paesi economicamente sottosviluppati è solo uno degli ideali che hanno spinto Elena Vida, architetto milanese di origini armene, e Andrea Folgosa, stilista catalana, a fondare il marchio di moda e oggetti d’arredo “Wax Max”.
Fin dal 2013, anno in cui è nato il marchio, l’idea è stata quella di rinnovare l’attività artigianale che va sempre più scomparendo. Grazie al progetto “Working ǀ Women ǀ Win” che promuove la collaborazione tra designer e artigiani con l’obiettivo di accrescere l’attività di laboratori in Italia, Senegal e Capoverde, Wax Max si è avvalso di una manodopera alquanto insolita ai giorni nostri.
Infatti, il brand fondato da Elena e Andrea ha affidato la realizzazione dei suoi prodotti ad alcune realtà particolari: un piccolissimo laboratorio a Boavista (una delle isole dell’arcipelago di Capoverde) dove lavora Djibi, un ragazzo guineiano appassionatosi alla professione sartoriale; Gis Gis, una cooperativa senegalese nella quale operano alcune ragazze disagiate tolte dalle periferie di Dakar e istruite all’arte del taglio e cucito; Alice, l’organizzazione milanese che fornisce un’attività rieducativa alle donne detenute nelle carceri di San Vittore e Bollate; e alcuni artigiani d’eccellenza, come l’Ombrellificio Lanzetti che produce ombrelli anche per case di moda prestigiose.
Non è solo la manifattura ad essere guidata da etica e solidarietà. Anche il tessuto impiegato, ovvero il cotone pregiato Wax particolarmente riconducibile alla cultura africana per i colori sgargianti e le stampe simboliche, rappresenta un elemento importante in termini sociali. Questo tessuto, infatti, viene acquistato direttamente da produttori locali che operano in Ghana, Senegal, Guinea Bissau, Mali e Burkina Faso, tutte zone in cui l’artigianato rappresenta una tradizione antichissima, ma tuttavia poco redditizia.
Se i tessuti e la manodopera sono quindi in gran parte africana, lo stile e le linee dei modelli rimangono assolutamente contraddistinti da un evidente gusto occidentale. Come conferma Elena Vida, l’idea è quella di creare “un qualcosa che porti volentieri pur avendo un tocco d’Africa e di colore”.
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