Roberta Redaelli, nel suo saggio Italy & Moda, raccoglie le voci del tessile. E invita il consumatore a fare scelte che lo spingano alla sostenibilità.
Wear me 30 times, un gioco per allungare la vita dei capi
Maakola e Genuine way hanno lanciato una campagna che invita i consumatori a indossare un capo almeno trenta volte così da ricevere un premio.
Avete mai provato a pensare quanto a lungo rimane in media un capo nell’armadio di una donna? Oppure quante volte in media tale capo viene indossato prima di essere gettato via? La risposta è sconcertante: cinque settimane nel primo caso, meno di dieci nel secondo. Numeri che si spiegano se si tiene in considerazione l’impennata che la fast fashion ha registrato nell’ultimo ventennio: la riduzione dei costi, la semplificazione dei processi e l’aumento del potere di acquisto dei consumatori, secondo la società di consulenza McKinsey, hanno portato la produzione di abbigliamento a raddoppiare tra il 2000 e il 2014 e il numero di capi acquistati ogni anno dal consumatore medio ad aumentare del 60 per cento.
Oggi le vendite di abiti sono circa il 400 per cento in più rispetto a vent’anni fa, ma la durata della loro vita è stata ridotta di più della metà. Ecco perché, sentendo l’esigenza e l’urgenza di un cambiamento significativo nel comportamento dei consumatori, Maakola, brand italiano di moda sostenibile, e Genuine way, azienda tecnologica attiva nella certificazione di sostenibilità tramite tecnologia blockchain, hanno unito le forze lanciando Wear me 30 times, un’iniziativa che aiuta i consumatori ad abbattere gli effetti dei cambiamenti climatici incentivando un consumo sostenibile dei capi di abbigliamento.
Cos’è Wear me 30 times
Sulla scia di #30wears, la campagna lanciata da Livia Firth nel 2016 che invitava a riflettere sul rapporto tra moda e sostenibilità, l’idea di Wear me 30 times è quella di stimolare i consumatori a estendere la vita di un capo passando dall’indossarlo meno di dieci volte ad almeno trenta. In che modo? Attraverso una sorta di gioco che fa interagire i marchi direttamente con i consumatori finali, spingendoli a indossare gli abiti più volte in modo da ottenere un premio finale.
Per tutti i brand che aderiscono all’iniziativa – attualmente sono trenta, tra cui, oltre a Maakola, anche Matchless London, Dry-365, Avani apparel, Rifò, WAO, Feeling felt e Mati collective –, viene creato un qr code da applicare sugli indumenti. Quando qualcuno compra uno di quegli abiti, può scannerizzare il codice, registrarsi sul sito della campagna via Instagram o Facebook, farsi un selfie con indosso quel capo e condividerlo sui social network, promuovendo così allo stesso tempo la campagna, il brand e mostrando agli amici il proprio impegno nei confronti della sostenibilità, nella speranza che anche loro facciano lo stesso.
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Ogni volta che la persona indossa quel capo, poi, un nuovo autoscatto viene archiviato nell’account personale creato su Wear me 30 times e al raggiungimento della trentesima volta il consumatore riceverà un premio dal brand che sta dietro quell’abito, come uno sconto o un omaggio. “Per ora hanno aderito trenta aziende – ci spiega Aurora Chisté, amministratore delegato di Maakola – ma l’idea è quella di generare sempre più dati e di avere una completa visione di come si comportano i consumatori. Per quanto tempo indossano i capi e perché smettono di indossarli. Al momento questi dati non esistono e le stime dicono che la vita media di un capo è di sole dieci volte nell’arco del suo intero ciclo di vita. Noi da un lato vogliamo aiutare i brand a utilizzare materiali e processi diversi per rendere i prodotti più sostenibili, e soprattutto più resistenti nel tempo, e dall’altro vogliamo far capire ai consumatori che giocano un ruolo molto importante”.
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Un ritorno alla slow fashion
Wear me 30 times è un’iniziativa che “rende divertente salvare il Pianeta”, come dice Walfredo della Gherardesca, amministratore delegato di Genuine way, ma soprattutto incentiva i consumatori a sostenere un modello di fashion che sia slow, sostenibile, trasparente e circolare. “È un progetto scalabile – ci spiega della Gherardesca – e addirittura vogliamo togliere quei pochi limiti che lo rendono meno scalabile. Oggi i brand devono interagire con noi organizzatori, aderire al gioco, ricevere un qr code e applicarlo, niente di complicato ma comunque tutto questo lo rende un po’ più lento. Domani vorremmo fare dei qr code che vengano scaricati direttamente dai consumatori a casa, a prescindere dal coinvolgimento dei brand, da applicare sui loro abiti, anche su quelli di aziende che non hanno partecipato all’iniziativa”. È un progetto che, attraverso il gioco, torna alle origini del fashion e del made in Italy, puntando sul ritorno di una moda lenta, di qualità e longeva.
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