Secondo un rapporto delle Nazioni Unite competizione e corsa alle performance colpiscono la salute mentale dei lavoratori, moltiplicano i casi di burn-out.
Cosa è successo al World economic forum di Davos
Anche l’ambiente si ritaglia uno spazio nell’agenda dei potenti del Pianeta, riuniti a Davos per il World economic forum.
Come ogni anno il gotha dell’economia mondiale si è dato appuntamento nella città di Davos, nelle Alpi svizzere, che da martedì 22 a venerdì 25 gennaio ospita il World economic forum. Il filo conduttore del programma è Globalizzazione 4.0, ma come sempre i massimi esponenti delle istituzioni, delle aziende e della società civile approfittano di questo palcoscenico anche per mettere sul piatto le questioni economiche che ritengono più urgenti.
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Anche se di per sé non si può certo definire come un evento “pop”, il World economic forum riscuote un interesse dal basso che si fa di anno in anno sempre più vivo, complice il possente (e per certi versi sorprendente) lavoro di informazione che porta avanti giorno dopo giorno sul web. Di fatto, il Wef si è trasformato in uno strumento per tenersi aggiornati innanzitutto sull’economia globale, ma anche sulla sostenibilità ambientale, sulla digitalizzazione, sulla parità di genere e altro ancora. Tematiche che 6,7 milioni di persone tengono d’occhio su Facebook e 3,4 milioni su Twitter. Numeri che ci si aspetterebbe da una star del calcio o della moda, non certo da approfondimenti giornalistici su questioni che possono apparire in certi casi anche molto complesse. Degno di un influencer anche il seguito dei canali Linkedin, Instagram (che superano il milione di follower ciascuno) e Youtube (269mila).
Presenti (e assenti) illustri
Prima ancora di cominciare, quest’edizione 2019 del World economic forum di Davos si è fatta notare per i forfait eccellenti. Per la prima volta in assoluto, manca la delegazione degli Stati Uniti: prima il presidente Donald Trump, e poi il segretario di stato Mike Pompeo e il segretario al Tesoro Steven Mnuchin, hanno deciso di restare in patria a fare i conti con lo shutdown. Ha fatto la stessa scelta il presidente francese Emmanuel Macron, alle prese con le proteste dei gilet gialli, e Thereza May, nel pieno delle intricate trattative su Brexit.
La cittadina svizzera, letteralmente blindata, ha invece accolto il primo ministro giapponese Shinzo Abe, la cancelliera tedesca Angela Merkel (che ha sottolineato gli importanti progressi raggiunti a livello globale nella lotta alla povertà estrema), il premier spagnolo Pedro Sánchez, quello italiano Giuseppe Conte.
Tra i nomi più attesi c’era quello di Jair Bolsonaro, a uno dei suoi primissimi appuntamenti di stampo internazionale. Di fronte alle incalzanti domande sul futuro dell’Amazzonia, il nuovo presidente del Brasile ha promesso di proteggere l’ambiente, senza scendere nei dettagli. Nel frattempo, il governo peruviano ha annunciato l’adesione alla Tropical forest alliance 2020, con cui si impegna a ridurre la deforestazione e supportare lo sviluppo sostenibile delle aree rurali. Una scelta che fa ben sperare, visto che più della metà della superficie del paese è coperto dalle foreste, per un totale di 69 milioni di ettari.
Arriva Greta Thunberg, giovanissima paladina del clima
Dopo aver sbalordito tutti con il suo discorso alla Cop 24, Greta Thunberg non ha nessun timore di far sentire la sua voce anche ai grandi dell’economia. La sedicenne svedese ha raggiunto in treno Davos, dov’è stata ospitata con la sua tenda all’Arctic Basecamp, dove è stata invitata a dibattere sui cambiamenti climatici insieme a Christiana Figueres, dal 2010 al 2016 segretaria esecutiva della Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici.
Goodnight from Davos. -15 and we’re sleeping in tents at the @ArcticBasecamp #wef pic.twitter.com/hUyGGKOJHs
— Greta Thunberg (@GretaThunberg) 23 gennaio 2019
La platea del Wef l’ha ascoltata in assoluto silenzio mentre rivolgeva ai grandi del Pianeta un appello tanto accorato quanto duro. “Risolvere la crisi climatica è la sfida più grande e complessa che l’umanità abbia mai affrontato. Ma la soluzione è così semplice che anche un bambino piccolo può capirla: dobbiamo mettere fine alle emissioni di gas serra”, cosa che richiede di modificare quasi del tutto il nostro modello di vita, ha continuato. “Gli adulti continuano a dire ‘Dobbiamo dare speranza ai giovani’. Ma io non voglio la vostra speranza, voglio che entriate nel panico. Voglio che sentiate la paura che io provo tutti i giorni. E voglio che interveniate, come se foste nel pieno di una crisi, come se la nostra casa stesse bruciando. Perché è così, la casa brucia“.
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L’ambiente trova spazio nell’agenda del Wef
In generale, l’ambiente ha giocato un ruolo tutt’altro che marginale in quest’edizione del Forum. Nel presiedere la sessione dedicata agli oceani, Al Gore li ha definiti come “una conclamata emergenza globale”. Se sapessero quanto serio è questo problema – gli ha fatto eco la numero uno di Rev Ocean Nina Jensen – tutti quanti diventerebbero attivisti.
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Per i potenti del mondo, fare qualcosa di concreto contro i cambiamenti climatici non dev’essere una rinuncia ma una pura e semplice necessità, secondo la premier neozelandese Jacinda Ardern. “Vuoi essere un leader che a un certo punto si guarda indietro e si rende conto di essere stato dalla parte sbagliata, proprio mentre il mondo chiedeva a gran voce una soluzione? La questione è tutta qui”, ha dichiarato. Il governo Ardern si è impegnato anche a trovare indicatori che superino il pil (prodotto interno lordo), prendendo in considerazione anche il benessere della popolazione e degli ecosistemi. “Il pil potrà anche dire che un paese è fiorente, ma non è vero se nel frattempo sta distruggendo l’ambiente e innalzando le emissioni di CO2”, continua la premier.
Tra i tanti numeri presentati a Davos, ci sono anche quelli di un report che fa il punto sui rifiuti elettronici. E sono senza dubbio impressionanti. Ogni anno il mondo ne produce 44,7 milioni di tonnellate, l’equivalente di 125mila Boeing 747, oppure di 4.500 repliche della Torre Eiffel. Pur rappresentando soltanto il 2 per cento del totale dei rifiuti in termini di volume, sono responsabili del 70 per cento dei rifiuti pericolosi. Tutto questo mentre le tecnologie si evolvono incessantemente, rendendo obsoleti modelli usciti una manciata di anni prima.
Che fare, dunque? La soluzione, sottolinea il report, sta nell’economia circolare: progettare prodotti destinati a durare di più, assicurandosi che alla fine della loro vita utile siano riciclati in modo semplice e sicuro (al contrario di quanto accade in Africa, dove milioni di tonnellate di dispositivi vengono smontati e maneggiati senza alcuna precauzione). Magari attraverso meccanismi di buy-back, per cui è il produttore (o il negozio) ad assumersi la responsabilità dello smaltimento. Cosa che le grandi aziende stanno iniziando a promettere. Le politiche di recupero, d’altra parte, rappresentano un’opportunità di business da 62,6 miliardi di dollari l’anno.
E-waste could be worth $62.6 billion annually. Read more: https://t.co/bdVZ3liia8 #environment #wef19 pic.twitter.com/7pP6L7eNEJ
— World Economic Forum (@wef) 25 gennaio 2019
Fra tante nobili promesse e dichiarazioni d’intenti, c’è anche chi fa notare qualche incoerenza. Come il Guardian, che punta il dito su quei 1.500 jet privati che nell’arco di una sola settimana hanno fatto tappa nella piccola località sciistica elvetica, portando a bordo il leader di turno. Secondo Air Charter Service è un record assoluto (l’anno scorso erano “solo” poco più di 1.300), e per giunta sembra esserci una maggiore predilezione verso i modelli più grandi, costosi e inquinanti. Il World economic forum contesta questi dati, pubblicando un’altra analisi da cui l’uso di jet privati risulta in calo del 14 per cento rispetto al 2018. “Ormai da diversi anni offriamo ai partecipanti degli incentivi per l’uso dei trasporti pubblici. Se devono usare l’aereo, li incoraggiamo a condividerlo”, si legge nell’articolo pubblicato dal Wef su questo tema.
Il capitalismo secondo Bono degli U2
Come ogni anno, il World economic forum è il palcoscenico non solo per i grandi della politica e dell’economia, ma anche per le star della musica e del cinema. Tra cui Bono, leader degli U2, che ha voluto dire la sua sul nostro sistema economico. “Il capitalismo non è immorale, è amorale. Ha fatto uscire dalla povertà molte più persone rispetto a ogni altro sistema economico, ma è una bestia selvaggia che, se non è addomesticata, può azzannare un sacco di persone sulla strada”. Proprio chi finora ha soltanto subito i contraccolpi del capitalismo, continua, contribuisce a spostare sempre di più la nostra politica verso il populismo.
Bono ha continuato il suo discorso esprimendo parole di stima per Christine Lagarde (con lui sul palco). Dopo aver considerato per anni il Fondo monetario internazionale come “il demonio”, il cantante dice di aver nettamente rivalutato la sua opinione, proprio grazie all’atteggiamento responsabile e ragionevole dimostrato dalla sua leader.
Foto in apertura © World Economic Forum / Benedikt von Loebell
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