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World vegan day: cinque startup che offrono alternative alle proteine animali
Dal salmone alla mozzarella, esistono valide alternative vegetali agli alimenti della nostra tradizione. Ne raccontiamo cinque per il World vegan day.
Secondo l’ultimo Rapporto Italia di Eurispes, il 2,4 per cento dei nostri connazionali ha deciso di dire del tutto addio alle proteine animali (nel 2016 era l’1 per cento). Certo, è una percentuale ancora molto piccola, soprattutto alla luce di dati come quelli pubblicati su Nature secondo cui il passaggio verso una dieta a base vegetale entro il 2050 potrebbe farci risparmiare tra i 332 e i 547 milioni di tonnellate di anidride carbonica, portandoci molto vicini agli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Ma, come testimoniamo molti altri studi in merito, anche solo limitare il consumo di alimenti di origine animale potrebbe ridurre in modo significativo l’impatto ambientale. Secondo Ourworldindata.org, un singolo giorno vegano nel mondo genererebbe un risparmio di 22 milioni di tonnellate di CO2. È chiaro che le scelte alimentari possono fare la differenza: dopotutto basterebbe seguire un’alimentazione vegan per un mese all’anno (come succede per il Veganuary) o qualche giorno a settimana. In vista del World vegan day, che si celebra ogni anno il 1° novembre nell’anniversario della fondazione della Vegan society, abbiamo raccolto 5 startup foodtech che propongono alternative vegetali gustose, appaganti e bilanciate alle più comuni proteine animali. Lo scopo? Consentire alle persone di cambiare il loro modo di nutrirsi gradualmente e senza troppe rinunce, costruendo un sistema alimentare meno deleterio per l’ambiente e meno crudele per gli animali.
5 startup per il World vegan day
Heura Foods
Per Bernat Añaños e Marc Coloma, che nel 2017 hanno fondato Heura Foods in un coworking di Barcellona, sviluppare prodotti vegan non significa rinunciare al patrimonio gastronomico mediterraneo. Ecco perché gli ingredienti di base sono i legumi, macinati fino a ottenere una farina concentrata. Quest’ultima, una volta mescolata con l’acqua, a seconda dei diversi parametri di calore, pressione e umidità permette di ottenere diverse consistenze e quindi di differenziare il range di prodotti in commercio. Infine, per conferire il caratteristico sapore mediterraneo, si esegue una marinatura con olio extravergine di oliva e spezie come timo, basilico e cumino.
Il risultato sono nuggets, cotolette, straccetti, burger e anche specialità tipiche come il chorizo, tutti 100 per cento vegan, saporiti e gustosi. Presente sul mercato italiano dal 2021 in diverse realtà della grande distribuzione organizzata e nel canale food service, Heura Foods punta a un’ulteriore espansione nel nostro paese. Una curiosità: heura in catalano significa edera, una pianta che si espande rapidamente, riempiendo il mondo di vita, natura e colore; se è vero che nomen omen, è proprio ciò che i fondatori auspicano per il loro marchio.
Dreamfarm
Mandorla, fibra vegetale, sale e agar agar sono gli ingredienti che costituiscono la mozzarella vegan di Dreamfarm. Creare un’alternativa sostenibile e gustosa a uno dei prodotti italiani più amati nel mondo è sicuramente una bella sfida, ma Mattia Sandei e Maddalena Zanoni. I fondatori di questa società benefit parmense sono partiti da un dato di fatto: i formaggi vegetali in commercio, anche quei rari casi che riescono a replicare colore e consistenza degli originali, sono comunque sbilanciati a livello nutrizionale. Da qui la scelta di puntare sulle mandorle di provenienza siciliana, povere di grassi saturi e ricche di antiossidanti, vitamina E, proteine e grassi insaturi.
Dreamfarm le fa fermentare naturalmente con un metodo originale (in attesa di brevetto europeo) che ne eleva ulteriormente gusto, consistenza e profilo nutrizionale. L’aggiunta di fermenti lattici vegan, in grado di produrre acidi organici simili a quelli latto-caseario, richiama le note dei latticini e mitiga molto il gusto della mandorla. Per questo il sapore dei formaggi vegani non somiglia per nulla a quello del latte di mandorla. Con l’aggiunta di fibre naturali si ottiene poi la consistenza più vicina al latticino originale. Emulsionando infine il tutto, il grasso della mandorla si lega a proteine e acqua, conferendo al prodotto il caratteristico colore bianco. Oltre alla mozzarella, Dreamfram produce anche un formaggio spalmabile (gli ingredienti sono praticamente gli stessi, cambia solo la consistenza), acquistabili in tutta Italia in negozi specializzati e online.
Revo Foods
Mentre il mercato della carne plant-based ha registrato un boom negli ultimi anni, l’offerta di prodotti ittici a base vegetale è rimasta relativamente limitata. Eppure, l’overfishing è un problema globale. Senza contare il fatto che, visto l’aumento dei livelli di inquinanti e microplastiche, oggi purtroppo mangiare pesce non è più così salutare.
Revo Foods è un’azienda viennese che produce “pesce” 100 per cento vegan, recentemente salita agli onori delle cronache per il suo ultra-realistico filetto di salmone stampato in 3D. Ma come riesce a ricreare la consistenza, la struttura, il gusto e il profilo nutrizionale di alimenti come il salmone e il tonno? Utilizzando proteine del pisello e micoproteine dei funghi, addizionate con derivati di alghe, ricche di vitamine e omega-3 e da sempre impiegate nella cucina vegetale per conferire ai piatti quel tipico “sapore di mare”.
Fondato nel 2020 da Robin Simsa, con un background in biotecnologie e una passione per la sostenibilità degli oceani e selezionato da Forbes per la lista 30 under 30, Revo Foods è il più grande fornitore di alternative al salmone in Europa. Rispetto al salmone convenzionale, genera dal 77 all’86 per cento di CO2 in meno, consuma il 95 per cento di acqua dolce in meno e ha calcolato di aver salvato 18.908 pesci (dati di agosto 2023). La gamma di prodotti della startup comprende anche salmone affumicato, con o senza alghe, e creme spalmabili al tonno e salmone. Per ora si possono acquistare all’estero in catene della grande distribuzione, nel sito ufficiale e attraverso siti specializzati.
Good Meat
È una narrazione certamente non scevra di polemiche quella sul cibo creato in laboratorio; anche noi di LifeGate ce ne siamo occupati in molteplici occasioni. Pareri personali a parte, resta un dato di fatto: “fabbricare” carne con lo stesso valore nutrizionale di quella tradizionale eviterebbe di occupare pascoli, consumare mangimi e antibiotici e infliggere sofferenze agli animali.
Per il World vegan day focalizziamoci su Good Meat, un marchio dell’azienda americana Eat Just che produce carne coltivata in un ambiente sterile e controllato, escludendo di fatto dal processo la macellazione ed eliminando quasi totalmente il rischio di malattie. “Partendo dal presupposto che mangeremo sempre carne, se vogliamo continuare a vivere insieme sul pianeta Terra dobbiamo farlo in modo diverso”, dichiara l’azienda, parlando di “una tecnologia in grado di portare un cambiamento disperatamente necessario al modo in cui il mondo mangia”.
In pratica, Good Meat estrae (con metodi indolori) cellule staminali da polli, uova e mucche. Dopo averle esaminate e avere scelto le migliori, le inserisce in appositi bioreattori, simili alle cisterne utilizzate per la fermentazione della birra, nei quali esse crescono e si moltiplicano in un terreno di coltura costituito da sostanze nutritive. La carne così ottenuta raggiunge poi la forma e la consistenza desiderata grazie a tecniche di cottura, modellazione e tecnologia 3D. L’intero processo dura dalle quattro alle sei settimane e, una volta avviato, consente di continuare a produrre carne all’infinito senza aggiungere nuove cellule. Con questo procedimento, Good Meat dichiara di abbattere del 92 per cento le emissioni di CO2 e del 95 per cento i terreni occupati. La scorsa estate Good Meat ha ricevuto l’approvazione finale dal dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti per mettere in commercio la sua carne di pollo coltivata che, attualmente, si può gustare in un ristorante di Washington D.C e in uno di Singapore.
Remilk
Come purtroppo sappiamo, la tradizionale industria lattiero-casearia produce emissioni di gas serra, genera rifiuti e consuma risorse in enormi quantità, oltre a spingere gli animali oltre i loro limiti fisici, causando grandi sofferenze. È quindi palesemente distruttiva e non più sostenibile; eppure, i latticini sono, sin dalla preistoria, un ingrediente fondamentale (e per molti imprescindibile). Partendo da queste premesse, la startup foodtech israeliana Remilk ha sviluppato un approccio brevettato per una produzione scalabile di proteine identiche a quelle del latte, ottenute da un processo di fermentazione che richiede una frazione delle risorse rispetto al latte tradizionale. Per la prima volta nella storia si eliminano le mucche dalla produzione lattiero-casearia su scala industriale, senza compromettere gusto, funzionalità e valori nutrizionali.
Ma come avviene tutto questo? In poche parole, il gene responsabile della produzione di proteine del latte di mucca viene inserito in un lievito, sul quale lavora come un “libretto di istruzioni”, insegnandogli a produrre proteine in modo altamente efficiente. Il lievito viene poi inserito in fermentatori dove si moltiplica rapidamente e produce proteine identiche a quelle del latte vaccino, cui vengono poi aggiunti minerali, vitamine, grassi e zuccheri non animali. Il latte così ottenuto serve per produrre formaggi, gelati, yogurt e qualsiasi altro prodotto lattiero-caseario.
Come dimostrato da test in doppio cieco condotti dall’azienda, i prodotti Remilk sono indistinguibili dai latticini tradizionali: hanno lo stesso gusto e la stessa consistenza, pur essendo privi di lattosio, colesterolo, ormoni e antibiotici. Secondo quanto dichiarato dai co-founder Aviv Wolff e Ori Cohavi a Times of Israel, il modello di produzione alimentare di Remilk è fino a 100 volte più efficiente in termini di sfruttamento del suolo rispetto all’attuale sistema lattiero-caseario, 20 volte più efficiente in termini di tempo e 10 volte più efficiente in termini di consumo di acqua. Attualmente l’azienda punta prevalentemente al dialogo con i produttori di latticini, ma non è escluso che in futuro possa rivolgersi direttamente ai consumatori.
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