Intervista a Piera Tortora, coordinatrice del progetto Sustainable ocean for all dell’Ocse: “Si rischiano effetti globali catastrofici e irreversibili”.
Metà delle specie rischia l’estinzione in 35 regioni della Terra
C’è anche il Mediterraneo tra gli ecosistemi che il Wwf ha identificato come habitat di biodiversità insostituibile. E dove animali e piante moriranno, se non facciamo qualcosa.
Metà delle specie animali e vegetali che vivono nei luoghi più ricchi sul pianeta dal punto di vista della biodiversità rischia l’estinzione entro i prossimi 60 anni. Questo nel peggiore dei casi, ovvero se non agiremo per contrastare l’aumento della temperatura globale – scenario che gli scienziati chiamano “business as usual”.
Se gli stati rispetteranno gli impegni presi con l’Accordo di Parigi sul clima, la percentuale di specie che rischiano di scomparire si riduce al 25 per cento, dato comunque allarmante. Lo annuncia il Wwf, in un report che svela come molti dei luoghi più affascinanti della Terra “potrebbero diventare irriconoscibili agli occhi dei nostri figli”. Questo a causa di siccità, inondazioni, eventi meteorologici estremi, incapacità degli organismi di adattarsi alle modifiche ambientali.
Lo studio del Wwf analizza tre possibili scenari
Il Wwf, insieme a ricercatori dell’Università dell’East Anglia e della James Cook University, ha preso in esame oltre 80mila specie in 35 regioni della Terra, scelte come zone prioritarie a causa della loro unicità e rilevanza ai fini della conservazione. Si tratti di luoghi come l’Amazzonia, il Madagascar e l’Australia sudoccidentale, ma anche il mar Mediterraneo. Studiando come gli esseri viventi rispondono ai cambiamenti climatici, gli scienziati hanno stilato delle previsioni su quanto potrebbe accadere in tre scenari differenti: un aumento della temperatura di 4,5 gradi, cioè quello destinato a verificarsi se non agiamo in alcun modo, un incremento pari a 3,2 gradi, che al momento sembra essere l’opzione più plausibile, ed infine una crescita di 2 gradi, come auspicato dall’Accordo di Parigi.
Se la temperatura dovesse aumentare di 3,2 gradi come previsto, l’Amazzonia rischia di perdere il 59 per cento delle sue specie vegetali, il 50 per cento dei mammiferi e addirittura il 62 per cento degli anfibi. La zona più vulnerabile è il bioma a miombo, che copre gran parte dell’Africa centrale e meridionale ed è caratterizzato dalla presenza di radure e alberi di piccola taglia che ospitano mammiferi erbivori come rinoceronti, zebre e giraffe. Lì, se la temperatura aumentasse di 4,5 gradi, l’80 per cento di questi animali potrebbe estinguersi, il 90 per cento degli anfibi sarebbe a rischio così come l’81 per cento delle piante.
Leopardi delle nevi, orsi polari, tartarughe marine. Cosa hanno in comune? Sono #animali minacciati dal #climatechange https://t.co/6RhdoJMOns Il report pic.twitter.com/MAkx53rnQA
— WWF Italia (@WWFitalia) 14 marzo 2018
Il Mediterraneo è tra le zone più a rischio
Il mar Mediterraneo, inserito nell’elenco delle zone prioritarie, è un importante sito di riproduzione per tre specie di tartaruga marina: la tartaruga liuto, la tartaruga verde e la caretta caretta. Stando al Wwf “la temperatura della sabbia dove le tartarughe depongono le uova è un fattore che determina il sesso dei nascituri. Temperature elevate possono risultare in nidiate di sole femmine o, sopra un certo valore, in nessun sopravvissuto”. Anche nella migliore delle ipotesi, cioè nel caso di un aumento della temperatura che non superi i 2 gradi centigradi, oltre il 20 per cento degli uccelli, dei mammiferi e degli anfibi rischia l’estinzione, percentuale che sale al 36 per cento nel caso delle specie vegetali.
Leggi anche: Mediterraneo sempre più caldo e salato, gli effetti dei cambiamenti climatici
L’altra faccia della medaglia
“Splendide icone come le tigri dell’Amur o i rinoceronti di Giava, vissuti sulla terra per 40 milioni di anni, rischiano di scomparire, così come decine di migliaia di piante e altre piccole creature, fondamentali per la vita sulla terra”, è la triste opinione di Donatella Bianchi, presidente di Wwf Italia. In molte zone sono previste temperature massime più elevate, precipitazioni inferiori e siccità più lunghe. Se questi dati sono inquietanti, bisogna anche guardare l’altra faccia della medaglia. Se riusciremo ad evitare un aumento della temperatura superiore a 2 gradi, il 56 per cento della superficie inclusa nelle zone prioritarie rimarrà climaticamente adatta alla sopravvivenza delle specie, percentuale decisamente più alta rispetto al 18 per cento associato ad un incremento di 4,5°C.
Se da un lato il Wwf suggerisce tra le possibili soluzioni la migrazione delle specie verso ecosistemi meno vulnerabili, dall’altro sottolinea quanto sia importante che i paesi mantengano le promesse e continuino a impegnarsi per ridurre le emissioni di CO2. Qualcosa a cui tutti noi possiamo contribuire. In più, il Wwf mira a lavorare in ogni zona prioritaria per aumentare l’estensione e l’integrità delle aree protette, per creare corridoi ecologici e rifugi climatici.
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