Perché il Brasile ha bloccato X?

Il giudice brasiliano Alexandre de Moraes ha ordinato la chiusura del sito X in Brasile, con un mercato di 21 milioni di utenti. La decisione, nel rispetto della legge, porta l’attenzione sulla libertà d’espressione.

Era noto da tempo che il Brasile fosse un paese importante per X, ovvero il social network che prima si chiamava Twitter e ora è guidato dall’imprenditore Elon Musk, ma la dimostrazione del peso dell’utenza brasiliana nella piattaforma è stata svelata questo fine settimana, quando il governo del paese ha annunciato la chiusura del social. In poche ore, account di ogni tipo e di grande successo hanno detto arrivederci (addio?) al loro pubblico di follower, proprio perché gestiti da persone brasiliane. Nemmeno l’uso dei Vpn, i software in grado di eludere certi blocchi internet facendo risultare gli utenti come provenienti da altri paesi, potrà aiutare X in Brasile, poiché la legge punisce il loro utilizzo con una multa che può arrivare a ottomila euro al giorno.

Un mercato da 21 milioni di utenti, essenziale per un social network che sta perdendo utenti e investitori pubblicitari, sparito in poche ore. Com’è stato possibile? Al centro della vicenda, una persona, Musk, che da quando ha acquistato Twitter nel 2022 per 44 miliardi di dollari l’ha usato per rilanciarsi come paladino globale della nuova destra, nonché protettore della libertà d’espressione, minacciata dai governi e dalla cosiddetta cultura “woke”.

La vicenda brasiliana è iniziata pochi mesi fa, anche se le radici della discordia sono profonde e risalgono forse alle scorse elezioni in Brasile, nel corso delle quali Musk si spese per sostenere Jair Bolsonaro, presidente ultrapopulista, che perse poi contro Luiz Inácio Lula da Silva, progressista. Il legame, quasi una bromance, tra Musk e Bolsonaro è parte della campagna di sostegno della destra statunitense per l’ex presidente contro il governo attuale.

Inevitabile lo scontro diretto, quindi, che è arrivato a metà agosto, quando Musk ha annunciato che X avrebbe “chiuso le sue operazioni” in Brasile a causa delle “richieste di censura” ricevute dal giudice brasiliano Alexandre de Moraes, nome che da allora ossessiona Musk e i suoi. Così facendo, però, la società è rimasta di fatto senza un rappresentante legale nel Paese, andando contro alla legge locale: a X sono state date alcune settimane di tempo per nominare un rappresentante, si è rifiutata di farlo e la legge è stata applicata, inevitabilmente, rendendo non raggiungibile il social nel Paese.

Attacchi e censure su X

Nel corso dello scorso fine settimana, l’escalation è proseguita con l’apertura di un account su X chiamato “Alexandre Files”, gestito da X stesso e dedicato ad attaccare, e infangare, il giudice Moraes, mentre lo stesso Musk faceva lo stesso dal suo seguitissimo profilo. Alexandre Files ha persino pubblicato i documenti ufficiali ricevuti dal governo e reso quindi note le “richieste di censura” originali: si tratta di otto account di politici, attivisti e influencer di destra, tra cui il senatore Marcos Ribeiro do Val (che prese parte all’attacco al Congresso brasiliano del 2023, ispirato a quello trumpiano del 2020) e Daniel Silveira, ex poliziotto già arrestato per aver minacciato membri della Corte suprema del Paese, come ha scritto il giornalista Ryan Broderick.

Dietro a questi bisticci c’è in realtà molto di più: non solo una questione di principio, per quanto figlia di un’interpretazione viziata del concetto di libertà d’espressione, ma soprattutto una battaglia politico-identitaria per cui sembra pronto a perdere molto, in termini economici. Altre ricostruzioni hanno raccontato come lo scorso aprile X avesse accettato le richieste brasiliane, prima che Musk cambiasse idea, anche perché fu definito “fuorilegge” da Moraes, che condannò “la diffusione massiccia di disinformazione, discorso d’odio e attacchi allo stato di diritto democratico” nella piattaforma.

Visita a sorpresa a Palazzo Chigi per Elon Musk
Elon Musk © ordan Vonderhaar/Bloomberg via Getty Images

La collaborazione di X con i governi

Prima di incensare Musk per la sua difesa della libertà d’espressione bisogna ricordare che X collabora da tempo con governi, spesso illiberali, e ha accettato l’83 per cento delle richieste di censure da governi come quello turco e indiano, che hanno chiesto e ottenuto la limitazione o rimozione di contenuti poco graditi, anche durante le campagne elettorali, secondo El País.

X non è poi disponibile in Cina, paese caro a Musk come mercato per le auto elettriche, sia pure in restringimento a causa dell’ascesa di marchi locali, e per la presenza di fabbriche Tesla che producono in Cina modelli venduti in tutto il mondo. Ma soprattutto, nelle ultime settimane, sono stati rivelati i nomi degli investitori che hanno aiutato Musk a comprare l’azienda: tra questi figurano persone legate alla famiglia reale saudita e a oligarchi russi. Non proprio esempi di libertà.

Domenica scorsa, infine, Starlink, servizio di collegamenti satellitari di SpaceX, azienda di Musk, ha annunciato trionfalmente di volersi rifiutare a rispettare le leggi brasiliane, aprendo di fatto una breccia al “ban” del social network nel paese. Sembrava l’inizio di una nuova battaglia tra Musk e il governo brasiliano ma pochi giorni dopo anche Starlink ci ha ripensato ed è tornata sui suoi passi: X rimarrà “spento” in Brasile nel nome di una strana idea di libertà d’espressione, che a quanto pare non vale per Turchia, India e Cina. In Brasile, invece, sì.

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