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Chi sono gli xennial e quale musica ascoltavano
Gli xennial, i nati tra il 1977 e il 1983, sono la generazione più adatta(bile) ai cambiamenti. Dall’infanzia analogica all’età adulta digitale, ecco chi sono e che musica ascoltano.
Si discute sempre più spesso dello stile di vita, delle abitudini e degli interessi delle nuove generazioni. Dopo le sei o forse già sette generazioni che vivono nel mondo moderno, ne è stata individuata un’altra, quella degli xennial. Una delle parole più chiacchierate dell’estate 2017, xennial è un neologismo introdotto per definire in modo specifico una parte dei “giovani” nati tra il 1977 e il 1983, a cavallo fra la generazione X e quella Y dei millennial (da cui il nome composto).
Una porzione piccola, ma importante perché racchiude la gioventù ibrida, quella cresciuta in un mondo ancora analogico prima di affacciarsi all’età adulta, dove ha scoperto internet e imparato a usare le tecnologie digitali. La testimonianza e il simbolo vivente dell’adattamento dell’uomo al più grande cambiamento sociale, economico e culturale della storia dai tempi della guerra, facendo da ponte a due epoche ben distinte.
Ultime generazioni a confronto
Se sull’appartenenza generazionale c’è un generale consenso, i confini temporali, specie quelli delle ultime generazioni segmentate, non sono mai del tutto precisi. Dopo i baby boomer, nati durante il boom demografico tra il 1946 e il 1964, ottimisti e soddisfatti sul lavoro, ci sono gli appartenenti alla generazione X (Mtv Generation), nati tra il 1964 e la fine degli anni Settanta, considerati precari, apatici e pessimisti, ma anche pionieri delle grandi società informatiche di oggi. Vivono la fine della guerra fredda e la caduta del muro di Berlino, amano il junk food e ascoltano musica alternativa, metal, grunge, new wave, pop trasmesso in tv, elettronica e hip hop.
Secondo lo schema tradizionale adottato finora, segue la generazione Y dei millennial (Peter Pan Generation), nati tra la l’inizio degli anni Ottanta e la fine dei Novanta. A differenza dei predecessori, i millennial sono da sempre a loro agio con le tecnologie digitali, ottimisti, sicuri di sé, individualisti, intraprendenti e narcisisti. Assistono alla tragedia dell’11 settembre, all’invasione dell’Iraq e all’avvento dei reality show. Nativi digitali, mangiano bio e sposano la sharing economy. Infine la generazione Z (iGeneration), quella dei Duemila, totalmente dipendente dall’information technology, una vita su smartphone scandita da primavere arabe, riscaldamento globale, crisi economiche ed energetiche, wikileaks e cloud. E già si parla della generazione Alpha, i nati dal 2010 con l’arrivo dell’iPad.
Xennial, una generazione di mezzo
Il termine xennial è stato tirato in ballo di recente dal sociologo 37enne Dan Woodman, che tuttavia non ne rivendica la paternità, sul sito australiano Mamamia e poi ripreso nel resto del mondo. Woodman, professore associato dell’università di Melbourne, afferma che i nati tra il 1977 e il 1983 hanno avuto la fortuna di attraversare la società pre e post internet, superando con successo la fine della prima era e l’inizio dell’altra. “Un’esperienza unica”, come la ricorda lui stesso, di passaggio, ma che tuttavia non è assimilabile completamente ai millennial.
Questi soggetti, privilegiati ma non necessariamente migliori, sono passati con facilità dal telefono fisso agli smartphone con le app, dalle compilation sulle audiocassette a nastro magnetico ai brani su Youtube, dai walkman ai lettori mp3, dagli 8 bit dei Gameboy ai giochi in 3D sulla Play Station, dai lentissimi e rumorosi (ricordate il dial-up?) modem a 56k dei primi pc ai tablet connessi in fibra ottica, dalle lettere scritte a mano alla posta elettronica di Hotmail e poi Google, dalle chat e i forum di discussione dell’Internet 1.0 ai social network.
Nati con la trilogia di Guerre Stellari, impauriti dalla prima visione dei Goonies (poi diventati un loro culto), gli xennial si sono spostati dagli anni Novanta ai Duemila nutrendosi con le immagini di Jurassic Park, Pulp Fiction, Empire Records, Trainspotting, Il grande Lebowski e Matrix, ma anche di serie tv come Willy, il principe di Bel-Air e Dawson’s Creek. Tra i nomi alternativi degli xennial, oltre a quello del videogioco Oregon Trail Generation per Apple II (diffuso nelle scuole americane alla fine del secolo scorso), figura Generation Catalano, dal protagonista della serie (mai arrivata in Italia) My So-Called Life, un giovane Jared Leto nei panni di Jordan Catalano in compagnia di Claire Danes.
Gli xennial, dunque, hanno vissuto un’infanzia genuina e un’adolescenza apparentemente serena, senza gli abusi dei social media o le umiliazioni del web. “Gli incontri con gli amici si organizzavano dalla rete fissa, si decideva un luogo e ci si presentava all’ora stabilita per l’appuntamento”, racconta Woodman. “In seguito abbiamo potuto adottare in modo selettivo le nuove tecnologie”, cosa impensabile al giorno d’oggi, aggiungendo di non condividere il mood depressivo della generazione X ma neppure l’eccesso di sicurezza e l’ottimismo dei millennial.
La fortuna di essere xennial, pro e contro
Negli Stati Uniti si parla di xennial almeno dal 2014, quando i giornalisti Sarah Stankorb, nata nel 1980, e Jed Oelbaum, classe 1983, si confrontano su Good magazine sul modo di sentirsi una cuspide a metà tra le generazioni X e Y, e sui rispettivi stereotipi.
Scrive Stankorb:
Le nostre subculture adolescenti erano ancora organiche e intime e non immediatamente cooptate come opportunità di fare soldi. Siamo atterrati in un luogo ancora dolce prima che la recessione affliggesse il lancio dei millennial. Eravamo abbastanza giovani quando il mercato si è schiantato, non avevamo investito molto e non abbiamo perso tanti risparmi o le pensioni, a differenza di molti della generazione X. Abbiamo avuto la possibilità di ottenere posti di lavoro e andare al college da giovani adulti, trovare impieghi seri, mollarli e ottenerne altri.
Più critiche, invece, le parole di Oelbaum:
Bush contro Gore, la guerra in Iraq, Abu Ghraib. Non ci ha mai scosso nulla, almeno fin quando l’intera economia non è saltata. Vivevamo una normalità anacronistica e futile, poco stimolati al successo e all’età adulta. Su Internet abbiamo rubato musica come se non ci fosse un domani, diventando retromaniaci e rivalutando anche il peggio degli anni Novanta. Siamo una micro-generazione strana, non possiamo vivere senza smartphone, ma le nostre mani impacciate digitano meglio su una tastiera qwerty che su un touchscreen. Non siamo il futuro, non abbiamo più importanza demografica, e non ci siamo ancora sistemati. Non abbiamo risparmi e non siamo mai stati molto cool. Noi xennial siamo un triste, cinico, dispiacere.
La musica degli xennial
Gli xennial crescono musicalmente in uno dei momenti più confusi e meno noiosi della storia della musica popolare, al passaggio dagli anni Novanta ai Duemila. Vedono in classifica le hit di Britney Spears e delle boy band. Vivono una frammentazione estrema dell’universo rock, mai del tutto dissolto, anzi mischiato con altri generi quali il metal, il funk e l’hip hop, che origina fenomeni crossover planetari come Red Hot Chili Peppers, Rage Against The Machine e Korn. Pietre miliari del grunge di Nirvana, Pearl Jam e Soundgarden si trascinano per anni, e alcune di queste cercano di rivivere nel punk commerciale di Green Day e Offspring.
Le contaminazioni più avvincenti, tuttavia, accadono fra pop, rock ed elettronica, con continue sperimentazioni tra soft jazz, pratiche dub, post-psichedelia, minimalismi, suoni ambient e glitch. Anche nella musica dance, nel frattempo esplosa nelle sue forme più dure come la seconda ondata della techno di Detroit. Album di Massive Attack, Tricky e Portishead aprono le nuove seducenti strade del trip hop, mentre il classicismo rock si rigenera nel brit dei grandi numeri di Oasis, Blur, Pulp e Verve. L’indie rock muta, la gente balla.
Qui c’è la selezione di brani che gli xennial hanno consumato nei loro vent’anni, su cassetta o compact disc, e che forse ancora oggi ascoltano in cuffia.
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